sabato 7 giugno 2025

Le rovine della Pieve di San Martino

Non sono sicura del fatto che riuscirò ancora a fare i miei amati viaggetti, camminando fra un mondo e l’altro – fosse anche solo quello della mia percezione interiore. L’affezione che mi ha colpita mi dà dolori sempre più frequenti, e non so cosa mi riservi il futuro. Certe volte la speranza è più dolorosa dell’accettazione, per cui prendo ciò che viene e non chiedo a me stessa di andare oltre quel poco che riesce a fare.
Ieri avevo bisogno di uscire di casa, nonostante dolore e disagio, e avevo bisogno di un luogo di potere nel quale camminare da sola, dentro e attorno. Fra le tappe semplici che in tempi non sospetti mi ero appuntata c’era quella delle rovine della Pieve di San Martino, a Gattico, un tempio che appartiene al passato, suggestivo e magico, e nonostante molto vicino alle abitazioni, già appartenente alla dimensione altra. Isolato, boschivo, sospeso.



Ho raggiunto la stradina che porta alla pieve, lasciando la macchina a pochi passi, e mi sono immersa in quel piccolo angolo magico, scoprendolo pieno di vita. Lucertole soprattutto, che spuntavano da ogni angolo, si nascondevano fra le pietre assolate, una è addirittura caduta dall’alto, mentre altre si riparavano sotto il masso scavato, un tempo utilizzato come vasca battesimale. Al suo interno era rimasta un po’ di pioggia, così ne ho raccolta qualche goccia e ho bagnato la fronte e il cuore.


La pieve naturalmente è chiusa da un cancello e non è accessibile, ma con lo sguardo e spingendosi oltre le sbarre con l’immaginazione, è possibile percorrerne l’interno, il corridoio centrale, ora coperto d’erba, le arcate laterali, le nicchie nascoste. Ho oltrepassato le sbarre e ho camminato nel centro di questo luogo sospeso e potente, che pare abbandonato, ma è più che mai vivo.
Camminare oltre le sbarre e le porte chiuse. Anche questo, forse, è possibile. Basta volerlo.




Ho percorso le rovine lungo il loro perimetro, ricordando ancora una volta di camminare con grazia, ovvero evitando di calpestare le api numerosissime che succhiavano il nettare del trifoglio bianco e avendo cura e rispetto per i fiori.
La parte posteriore della pieve è la più suggestiva. Il bosco attorno, la radura su cui sorge, il profumo selvatico che la avvolge. L’ho guardata a lungo, cercando di assorbirne la bellezza.


Ne ho percorso l’altro lato e, fra l’erba, una macchiolina di colore – il mio colore dell’anima – ha attirando la mia attenzione: una minuscola piumetta di ghiandaia. L’ho accolta come un piccolo dono e l’ho portata via con me.
Nel tornare davanti alla pieve, ho notato che la parte laterale del masso usato come vasca per l’acqua era molto particolare. Un buco poco visibile all’interno, dal quale l’acqua è colata per secoli, ha creato una fessura profonda che scorre fino a terra. Una forma sinuosa e dolce, accanto alla quale è nato il muschio.



La Pieve di San Martino, o quello che ne rimane, non è nata in questo luogo a caso. Così si legge all’ingresso del sito:
La scelta dei conti Da Castello di Gattico di costruire – fra il 1125 e il 1150 – la chiesa di S. Martino, capo della pieve, lontano dal loro castello è dovuta alla sacralità del luogo. La tradizione segnala un preesistente tempio a Mercurio e il trafugamento di una statuetta bronzea del dio.
Non ne sapevo nulla, ed è interessante l’associazione – sicuramente non isolata – del dio dal piede alato, della medicina e della comunicazione a San Martino, presente in luoghi sacri dalle energie simili.
Curioso, ho pensato, che senza sapere nulla avessi sentito la necessità di recarmi in un luogo dedicato a una delle divinità della guarigione. Così gliel’ho chiesta. Se dovrà arrivare, verrà. E se sarà, la mia gratitudine sarà talmente grande da riempire la terra, il cielo, e tutto ciò che vive nel mezzo.

Ripercorro questo luogo a occhi chiusi, e sono certa che tornerò. Nonostante distratta dal fastidio fisico, mi ha incantata. La sua magia è visibile, ed è una magia luminosa, rigogliosa, viva.



Ho salutato le lucertole, che osservavano attente ogni mio passo, poi un ultimo sguardo alle rovine immerse nella luce del sole, e sono tornata verso casa.
Adesso ho una certezza. Se e quando riuscirò a spostarmi, sarà verso luoghi di guarigione, in cui chiedere e pregare per la guarigione. Chissà che, in uno di questi, non vi sia qualche entità spirituale benevola che, come immenso dono, vorrà concedermela.


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ALBUM FOTOGRAFICO

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