martedì 21 febbraio 2023

Orta San Giulio e la foschia azzurra

Un paio di giorni fa sono tornata al Lago d’Orta, ci ero stata poche settimane fa ma avevo voglia di rivederlo, anche perché ogni volta è diverso, non è mai uguale.
Questa volta era immerso in una fitta foschia azzurra, accentuata da un sole talmente brillante che, riflettendosi sull’acqua, non permetteva di tenere gli occhi aperti. Mano a mano che i suoi raggi penetranti calavano dietro la montagna, la foschia diventava più densa e al contempo più luminosa, e l’Isola di San Giulio scompariva completamente.


Alla fine se ne intravedeva solo un debole contorno, e qualche macchia di colore.
Come tutte le isole sacre, anche lei compare e scompare, e a seconda del momento, magico od ordinario, e di chi la visita, si mostra come attrazione turistica o meta oltremondana.
Guardarla dall’alto del sacro monte, mentre scompare fra i veli azzurri della bruma, è stato un momento magico. Come quando il cuore canta…


Eppure mi piace passare dal viaggio interiore a quello che si snoda per le vie comuni. Mi piace saltare sulla linea di confine, avanti e indietro, al di là e al di qua, e osservare il mondo comune da oltre il velo – per quanto possibile, se possibile – e l’altromondo da dentro il mondo… perché per quanto ami l’uno, non posso fare a meno dell’altro. In entrambi i versi.



Nelle fotografie scattate ieri, insieme al mio compagno di viaggio, emerge una Orta sacra e mondana – nel senso letterale di riguardante il mondo, diurna e notturna.
E nella notte, l’Isola dei Serpenti – o di San Giulio che dir si voglia – vegliata da due stelle, che brillavano nel cielo eppure anche nell’acqua, è stata una visione commovente.
Bello restare a guardarla, accovacciata sulla riva, mentre due cigni nuotavano nel buio.


A proposito di saltellare tra sacro e mondano, per la prima volta mi sono seduta in una vineria, io che di vino non ne bevo. Si mangiava anche, per cui “sono potuta entrare”, ed era così calda e accogliente, col suo soffitto in legno e l’atmosfera allegra – è una vineria, del resto – che mi è piaciuto molto.
Ogni tanto, fare finta di essere normale – anche se il proprio corpo certe cose non se le può permettere – è davvero piacevole.



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ALBUM FOTOGRAFICO COMPLETO

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Note di Viaggio:
Orta San Giulio si raggiunge comodamente percorrendo l’autostrada A26 e uscendo a Borgomanero. Si prosegue poi seguendo le indicazioni per il Lago d’Orta e la si raggiunge facilmente. Il Sacro Monte si raggiunge in un paio di minuti, seguendo l’indicazione all’inizio della strada che porta al centro di Orta.
La accogliente e piacevolissima vineria è il Re di Coppe, all’inizio di Piazza Motta, che offre non solo vino, ma anche diversi piatti poco impegnativi eppure ottimi. Se poi avete la fortuna di passarci quando il caminetto è acceso, ancora meglio!

martedì 14 febbraio 2023

Il Santuario di Oropa. Di cunicoli, fontane e rocce narranti

Dopo la mia prima visita al Santuario di Oropa, per giorni non ho fatto altro che pensarci e sognarlo quasi ogni notte. Sognavo di guidare lungo la stradina in salita, con le sue numerose curve, per raggiungerlo, oppure di essere già là. Nell’ultimo sogno di pochi giorni fa, il santuario non c’era ancora. Ho sognato come doveva essere il luogo prima della sua costruzione, ma è un sogno per me prezioso, e preferisco non aggiungere altro.
In ogni sogno e sensazione, sentivo di essere chiamata, e soprattutto, attesa.
Non sono riuscita a tornarci prima di ieri, ma sono felice di aver aspettato tanto da viverlo con la neve, se non altro quella rimasta.


In questa seconda esplorazione io e il mio compagno di viaggio ci siamo dedicati ad alcune cose che la volta precedente non avevamo visto.
La prima tappa mi è particolarmente cara. La Cappella del Trasporto – la cui leggenda è raccontata qui – in sé non è nulla di speciale, ma cela dietro di sé uno stretto passaggio di pietre, buio, umido e gocciolante, che sembra fosse legato ad antiche ritualità femminili mai del tutto dimenticate. Mi aspettavo un cunicolo piccolo, corto, strettissimo, ma scendendo dalla stradina asfaltata dietro la cappella rimango stupita e affascinata dalla sua profondità e altezza. Il costante gocciolare delle pietre risuona dolcemente, ed è bello restare accovacciate ad ascoltarlo… la sua voce parla qui e ora, eppure è la stessa che parla da tanto, tanto tempo.



Prima di percorrerlo con attenzione – è molto buio e occorre guardare bene dove si mettono i piedi – ricordo il brano che ho letto tante volte prima di trovarmi lì, a toccare con mano ciò che racconta.
(…) accostandosi alla porta d’ingresso si nota accanto al muro, proprio sotto la strada asfaltata, uno spazio vuoto, una cavità che corre come una galleria fra lastre di pietra che sfiorano ma non toccano l’edificio. Vi si entra facilmente da un lato, uscendo dall’altro percorrendo una sorta di “passaggio stretto”. Dalla roccia scendono gocce d’acqua e l’atmosfera in quel cunicolo piccolo e buio è certamente suggestiva.” (Roberto Gremmo, Il Biellese magico e misterioso, pag. 124)


Leggerne, è una cosa, ma vederlo, ascoltarlo, percorrerlo, viverlo – e finalmente scattare anche qualche foto per mostrarlo a chi non lo ha mai visto – è ben diverso. Sono entusiasta per la bellezza di questa piccola scoperta vissuta.

Entriamo quindi nel complesso del santuario, e prima di proseguire con la seconda tappa ci soffermiamo alla Fontana del Burnell, risalente al 1596 e fatta di serpentino verde. Al momento – per motivi di sicurezza sanitaria – è ancora asciutta e sprovvista dei cosiddetti cassuij, i mestoli con cui attingere e bere l’acqua. Acqua che, quando aperta, sgorga dalla colonnina centrale e proviene dalla sorgente Maggia, alla base del Monte Mucrone.


La seconda tappa è quindi il Museo dei Tesori di Oropa, che la prima volta avevamo trovato chiuso. A me personalmente, i paramenti religiosi, gli strumenti liturgici e gli ornamenti preziosi non interessano, ma devo dire che i gioielli dell’incoronazione centenaria della Madonna Nera sono davvero belli. L’aureola cosparsa di preziosissime stelle, in particolare, è incantevole.
In ogni caso, il Museo è importante perché, oltre alle sale dei Savoia, contiene altre due statuette lignee della Madonna Nera. O meglio, la prima è una Madonna Nera molto bella, dal viso delicato e gentile, realizzata da uno scultore piemontese nel 1600; la seconda non posso dire se sia considerata una Madonna Nera – è realizzata in legno abbastanza scuro, ma la sua posizione, rivolta al bambino divino, è diversa da quella consueta e non sono presenti gli elementi che accomunano questo genere di sculture. Oserei però dire che sia la più preziosa, in quanto molto più antica, risalente al 1300, ovvero al periodo romanico nel quale le prime e vere Madonne Nere – quelle legate alle simbologie iniziatiche – sono state tutte realizzate. Questa statua venne scolpita da uno scultore valdostano – come la leggenda vuole che sia la Madonna Nera presente nella Basilica Antica – ed è stata acquistata dall’Amministrazione del Santuario di Oropa nel 1942.


Usciti dal Museo rimaniamo ancora incantati a guardare la neve, con le sue delicate sfumature azzurre, e dopo una meritata e piacevolissima pausa caffè, è il momento della terza tappa, che in realtà ne rivela un’altra inaspettata quanto suggestiva.
Ci spostiamo per vedere da vicino la Cappella di Sant’Eusebio, situata lungo la strada che sale dietro la Basilica Superiore, perché poggia su un masso che penso possa essere importante, e che mi è sempre parso fare parte di un cerchio di pietre. In effetti sembra sia così, ma non ho le conoscenze adatte per affermarlo e forse si tratta solo di una mia suggestione personale. In ogni caso, è innegabile che attorno alla Cappella siano presenti diversi massi che sembrano disposti a cerchio, e quel che è certo è che chi l’ha costruita in quel punto preciso, non agiva per caso.


La Cappella venne infatti commissionata da Federico Rosazza, personalità nota per i suoi interessi esoterici, all’architetto Giuseppe Maffei alla fine del 1800, è di pianta pentagonale e contiene diversi simboli occulti. Ci tengo a dire che non amo affatto Rosazza, anche le sensazioni che ho provato nel paese biellese che porta il suo nome, con le sue numerose architetture neogotiche ed esoteriche, sono a dir poco spiacevoli. Il fatto però che la Cappella di Sant’Eusebio sia stata voluta da lui, e poggi su uno dei massi che forse delineano uno o più cerchi, mi incuriosisce e mi spinge a conoscerla più da vicino.
Mi ci soffermo comunque poco, anche questa volta sento un forte respingimento per il Rosazza e le sue costruzioni, e preferisco spostarmi verso il torrente. Proprio qui, scopro qualcosa di bello, che vibra molto più in sintonia con la mia interiorità.




Un grande masso erratico attira la mia attenzione, e avvicinandomi lentamente scopro che nasconde un angolo magico, dove la neve è ancora intatta e alcune piantine dall’intenso color rosso crescono fra i massi a creare quello che mi appare subito come un piccolo giardino d’inverno. Qui il tempo sembra fermarsi, tutto è sospeso e immobile.
I contrasti di colore mi ammaliano. Il bianco luminoso della neve, il grigio intenso della roccia, il rosso rame delle foglie.
La grande pietra mi pare una mamma, o una antica maestra, che racconta storie alle piccole pietre accucciate davanti a lei.
Mi siedo su una di esse, nella speranza di poter ascoltare anche io la sua voce.
Che conforto, restare in silenzio in un minuscolo giardino d’inverno, poggiando i piedi nella neve soffice e ammirando il rossore acceso delle foglie. Piccole fiammelle appese ai rami addormentati.
Lì accanto scorre il torrente, gorgogliando debolmente fra le rocce, e tutto è immerso nella pace più assoluta.
Questo è forse ciò che mi emoziona di più. Il giardino d’inverno, dove le pietre narrano e ascoltano storie.


Il freddo stringe la sua morsa, e intirizziti, con le mani e i piedi congelati, torniamo a scaldarci al caro Caffè Deiro.
Il loro toast è squisito, ma poco prima di uscire scopriamo una delle delizie più buone del mondo: i Mucroncini. Prendono il nome dal Monte Mucrone, che sorge proprio dietro la Basilica Superiore, e sono una sorta di baci morbidi al cioccolato – molto simili ai baci di Alassio – ricoperti di granella di nocciole piemontesi. Squisiti. Ne acquisto una scatola intera, mi terranno compagnia nei prossimi giorni, accompagnando i miei caffè pomeridiani e ricordando la magia e la dolcezza di Oropa, delle sue montagne e del suo santuario.


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ALBUM FOTOGRAFICI COMPLETI:
La Cappella del Trasporto e il passaggio nascosto
La Fontana del Burnell e il Museo dei Tesori di Oropa
La Cappella di Sant’Eusebio
Il masso erratico e il giardino d’inverno

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Note di Viaggio:
Il Santuario di Oropa si raggiunge tramite l’autostrada A4 Milano-Torino, prendendo l’uscita Carisio e proseguendo per il centro di Biella. Da qui basta seguire le indicazioni per il santuario e salire su per la montagna per una decina di chilometri. Gli orari di apertura dei locali commerciali possono variare, ma il santuario è aperto tutti i giorni dalle 8 alle 19. All’interno del complesso è possibile mangiare in diversi ristoranti e bar, e pernottare in una delle 300 camere disponibili.
Tutte le informazioni utili, compresi, se interessate/i, gli orari delle funzioni religiose, si trovano sul sito ufficiale: Santuario di Oropa