giovedì 3 luglio 2025

Il Santuario di Sant'Euseo. Di acqua, roccia e fuoco

Sono i luoghi di potere curativo che negli ultimi mesi, anche per via della mia stessa necessità di guarigione, mi attraggono e, ogni volta, mi donano benessere e fiducia. Dopo aver conosciuto il Santuario di Sant’Anna, dove la roccia ramata ha accolto le mie parole, martedì è stato il momento di un santuario simile, accomunato al precedente, così come ad altri poco lontani – Boca, Azoglio e Varallo soprattutto – dalla presenza della stessa roccia rossa, considerata pregna di potere tellurico: il Santuario di Sant’Euseo, a Serravalle Sesia.
Ci siamo stati, il mio compagno di viaggio e io, dopo un impegno vicino a Varallo, dove sono andata a trovare la mia casetta di pietra – in attesa di essere ristrutturata – e a controllare che l’erba che avevo fatto tagliare pochi giorni prima avesse liberato il terreno e il piccolo ruscello canterino. Dopo una passeggiata nel centro della cara Varallo, dove ci siamo saziati di golosità, sotto a nuvoloni scuri e incombenti che minacciavano temporale, abbiamo quindi fatto una breve tappa al santuario.



Sapevo cosa cercare, ma non l’ho trovato immediatamente. Sul subito mi sono lasciata ingannare dalla grande scalinata che mi ha portata nella parte alta e più recente – e per me poco interessante – della chiesa. Per un breve momento ho seguito l’apparenza, ciò che si vuole che tutti seguano, e come sempre, non ho trovato nulla – del resto amo arrivare alle cose magiche lentamente, lasciandole per ultime, e godendomele solo dopo aver esaurito l’attenzione per tutto ciò che, di poco conto, le circonda.



Scendendo e cercando vicino alla terra ciò che volevo incontrare, l’ho trovato. A lato della grande scalinata, sorge infatti la parete volutamente costruita sulla roccia sacra, come ad assorbirla nelle mura della chiesa, la stessa roccia ramata dei santuari vicini.




Non solo, questo santuario contiene un altro piccolo mistero. Proprio sotto alla scalinata grande, sale infatti una scala più piccola, che porta inspiegabilmente a un muro verticale, o meglio, a ciò che vi giace accanto. Per distogliere l’attenzione dall’usanza antica è stata aperta una sorta di finestra che dà su una cappella rocciosa, nella quale è stata posta la statua di Sant’Euseo, ma ciò che ha vero valore non è questo, ma una cavità alla base del muro, un buco circolare scavato nella roccia, all’interno del quale si raccoglie l’acqua piovana. Questa acqua, che riempie naturalmente la piccola conca, era ritenuta guaritiva, tanto che in passato le donne solevano raccoglierla nelle bottigliette e portarla a casa.




Dopo aver salito la scaletta, e aver osservato a lungo il buco rotondo, ho quindi immerso le dita nell’acqua coperta di foglie secche, fredda e scura, ripromettendomi di tornare a raccoglierne una boccetta per scopo curativo e magico.
Scesa la scala, mi sono quindi avvicinata alla roccia rossa, così simile alle altre, e toccandola ho richiesto guarigione e fortuna.
Riunita al mio compagno di viaggio, che scopriva il luogo a modo suo – poiché ognuno ha il proprio modo, ed è giusto rispettarlo – abbiamo quindi esplorato il resto dell’edificio, camminandoci attorno. Mi ha attirata una vecchia campana appesa a uno degli archi del porticato superiore. Il santuario è imponente, ma forse un poco abbandonato a se stesso.


Tornando vicino alla scala della conca, e allontanandomi lentamente dopo aver scattato qualche fotografia, ho quindi notato la presenza di una fontana infissa nel muro della scala maggiore, ricordando solo più tardi che fa parte della sacralità del luogo, poiché è una fonte naturale. Questo santuario è un luogo al quale non manca nulla di ciò che, anticamente, suscitava devozione e pratiche magico-religiose. L’acqua pura della fonte, l’acqua piovana con le sue proprietà curative, e quindi la roccia rossa, ricca di rame. Si potrebbe pensare che manchi solo il fuoco, ma non è così: l’amico autore Roberto Gremmo ricorda infatti che Don Florindo Piolo nel suo Storia del Comune di Serravalle, riportava che proprio nelle vicinanze di Sant’Euseo, “alla vigilia di Pentecoste, veniva acceso un gran fuoco, con legna raccolta precedentemente di casa in casa per tutto il paese e veniva acceso in cima al dirupo che sta a fianco del santuario e che da questo fuoco prende il nome di Falòr.” (1) Un falò propiziatorio, come suggerisce Gremmo, “l’ultimo tassello di una religiosità naturale che rende straordinario il sito dove vicino al Sesia su un massiccio blocco litico si venera la cavità guaritrice, ci si disseta ad una fonte perenne e si medita fra frondosi alberi secolari accendendo fiamme propiziatrici.” (2)
Forse, ciò che sembra abbandonato a se stesso, solitario – incompreso, se non da pochə – è solo in silenziosa attesa. Ancora pregno di memorie passate, perlopiù dimenticate, svela tuttavia il suo potere ancora presente: nella roccia, nell’acqua, nella linfa, nel vento, e nel riverbero lontano di un fuoco spento, del quale, tuttavia, la parola magica falòr riaccende la fiamma.
Così ogni cosa è dove deve essere, e come deve essere. Allora come adesso.

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Tornando verso casa, è capitato di nuovo, come ormai capita quasi ogni volta. Una ghiandaia, nel suo volo turchino, ha attraversato il passaggio, volando da sinistra verso destra. Succede quasi sempre, e anche la direzione del volo è sempre la stessa. Non so se sia un messaggio – vola nell’azzurro e portalo nelle tue ali, ovunque tu vada, forse sta dicendo – ma so che fa parte dei miei piccoli momenti magici. Perché non importa dove io vada, e cosa voglia vedere ed esplorare – spesso sentendomi persino a disagio in alcuni dei luoghi che percorro. Ciò che importa è cogliere il momento magico, quello che parla dentro. È quello che nutre veramente, e che lascia la sua impronta di luce nell’anima. L’unica che può comprenderlo, e custodirlo.


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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note:

1. Tratto da Roberto Gremmo, Valsesia magica e misteriosa, Botalla Editore, Biella, 2023, pagg. 28-29.
2. Ibidem, pag. 29.

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