giovedì 12 gennaio 2023

Il Santuario di Oropa. Di rocce, stelle e vastità

Quando arriva l’ispirazione a partire bisogna coglierla. Me lo ripeto sempre, soprattutto quando non lo faccio, rimandando i miei piccoli viaggi a volte di poche settimane, a volte di anni.
Questa volta però l’ho colta, anche se la giornata non era delle migliori e ho deciso di partire all’ultimo momento. La voce del Santuario di Oropa mi ha chiamata forte, e finalmente l’ho ascoltata.

Avevo lavorato alla ricerca su questo immenso tempio naturale, sui suoi culti litici pre-cristiani e sulle successive edificazioni religiose, alcuni anni fa, dovevo solo ultimarla e condividerla – trovate tutto qui – per cui non mi soffermerò ulteriormente sulla storia e sui misteri del santuario. Piuttosto, voglio ricordare l’essenziale, ciò che questo luogo mi ha donato interiormente.
Prima ancora di raggiungerlo, la strada che dal centro trafficato e rumoroso della città sale l’alto pianoro, è particolare. La giornata è nuvolosa, e salendo, fra i numerosi tornanti che si snodano accanto a boschi spogli, con i loro morbidi tappeti di foglie ramate, passiamo letteralmente dentro le nuvole. Nuvole bianchissime, che in certi punti rendono quasi difficile vedere bene la strada. Le attraversiamo, e improvvisamente le superiamo, ritrovandoci nella limpidezza assoluta. Le nuvole sono rimaste giù, coprono come soffici e vaporose coltri il mondo di sotto, con la sua caotica frenesia.
La sensazione è quella di passare oltre, e al di sopra. Di attraversare il velo, lasciare la realtà comune dietro le spalle e sotto i piedi, e accedere a un luogo altro.


Oltre le nuvole, raggiunta la meta, ciò che all’inizio mi emoziona è la grandiosità della piana che improvvisamente si apre davanti agli occhi. La percezione della vastità, dell’immenso.
L’aria è limpida e leggera, pulita, e respirarla è come respirare quella stessa immensità, che riempie e dilata, apre, estende.
Sollevo gli occhi al cielo, e noto un uccello che vola alto, con le sue ali spiegate. Distensione, volo. Sento tutto.
Qui regnano le energie delle altezze, delle cime, del cielo sconfinato, penso. La leggerezza, l’elevatezza, la chiarezza di vedute. Qui la visione dall’alto non va cercata, semplicemente accade.
Le vette delle montagne che circondano il pianoro sembrano antiche guardiane. Lo tengono fra le loro braccia ruvide e scoscese, lo vegliano e lo proteggono.
Le accarezzo con gli occhi, sono bellissime.



Mi chiedo come dovesse essere questo luogo prima della costruzione del santuario. Una piana infinita, lievemente in salita, con sparse sul terreno erboso alcune grandi pietre. Una di queste assomiglia in modo sorprendente alla vulva delle donne. La chiamano ancora Roch dla Vita, Roccia della Vita, perché è da lì che la vita viene partorita nel mondo, e le donne che da sempre praticano i loro riti di fertilità dentro e attorno alla pietra, non l’hanno mai dimenticato.
Purtroppo adesso vi sorge sopra una cappella, costruita con l’intento di stendere un pudico manto cristiano sugli immorali, sconci, e squisitamente spudorati culti femminili. La litica fessura è stata chiusa da lastre levigate e cementificata. La parte di roccia che continua all’interno della cappella – chiamata appunto Cappella del Sasso o del Roch – non è visibile per via di ipotetici lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza. Ne provo tristezza e una punta di risentimento, perché ancora una volta l’uomo costringe le donne a stare lontane dal loro stesso potere. Un potere che appartiene a noi soltanto, e che il maschio ha sempre tentato di sopprimere, per l’impossibilità di farlo proprio.


La mia entusiasta esplorazione del santuario riprende, cerco di guardare e ascoltare ogni cosa.
Finalmente mi infilo nella Basilica Antica – è appena terminata una delle messe pomeridiane e adesso è quasi deserta – e mi preparo a incontrare niente meno che la Regina dei Monti di Oropa, la Madonna Nera.
Mi avvicino a lei lentamente, e la osservo. È lì, dietro l’altare, nella sua nicchia stellata.
Cerco di capire cosa mi trasmette, eppure sento poco. Nulla a confronto di ciò che mi hanno trasmesso il vasto pianoro, le montagne, le pietre. Le scatto alcune fotografie per la mia ricerca, e la osservo di nuovo. Ma è come se non avesse nulla da dire, nulla per me.
Forse un velo di delusione mi attraversa i pensieri, ma lo lascio andare. Ricordo che non devo affidarmi alle aspettative, rimanendo delusa se vengono disattese, ma devo ascoltare l’istinto e seguire i brillii, ciò che veramente mi chiama e mi brilla dentro. Perché il vero scopo del mio viaggiare è essenzialmente questo, seguire i brillii e vedere dove mi conducono.
La mia attenzione, in effetti, è continuamente attirata altrove. Disseminata ovunque, brilla la stella a otto punte. Negli affreschi, in particolare, è sottile, fine e luminosissima, e non riesco a distogliere gli occhi dalla sua forma e dalla luce. Sento che mi brilla dentro, che l’anima risponde a quel richiamo, e assisto, da silenziosa spettatrice, a una comunicazione sottile che mi riempie di gioia.
Affidati alla stella, è lei che parla per te.
So che è così, è la mia verità.
Raccolgo stelle luminose, sparse dappertutto, e mi sento felice. Cercare di cogliere e comprendere i loro messaggi è una pratica interiore e personale a cui mi dedicherò nei mesi a venire.

Usciamo dalla chiesetta.
Ormai fuori è buio. Nel cielo nero brillano le stelle.

***

Fa molto freddo, è ora di recuperare le energie ben spese e rifocillarci in un posto caldo.
Il Bar Deiro è perfetto e pieno di cose buone. Ci accomodiamo sulle sedie foderate di velluto rosso e ci godiamo, letteralmente, cioccolata con e senza panna, caffè forte, e per chi ha proprio fame, toast e un’ottima focaccia integrale.
La strada del ritorno è un vero e proprio ritorno alla realtà comune, caotica e rumorosa, e le nuvole a coprirla non ci sono più. Ma nonostante questo, mi sento piena. Vasta, distesa, sconfinata. libera. Piena di stelle.


Tornata a casa, dopo un paio di giorni ho sentito l’esigenza di tradurre in parole ciò che la Madonna Nera, come aspetto della Grande Madre antica, mi ha suggerito. Ne è nato questo scritto, che non ha alcuna pretesa, se non quella di tradurre in parole la mia personale percezione di lei.

Madre Nera

Sono la Madre Nera. La mia pelle è bruna come la terra fertile, scura come la notte più fonda.
Sono l’origine di tutte le cose, poiché all’inizio era il buio.
Esisto nel luogo che precede il principio,
e in quello che si trova dopo la fine.
Sono il mistero imperscrutabile.
Sono la enigmatica, colei che è impenetrabile,
ma mi rivelo nell’ammissione del non sapere,
quando il bisogno di comprendere viene abbandonato,
e la vastità dell’inconoscibile viene accettata.
E pur essendo nigra come l’oscuro cielo,
infondo la luce della vita.
Il mio manto è coperto di stelle.

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note di Viaggio:
Il Santuario di Oropa si raggiunge tramite l’autostrada A4 Milano-Torino, prendendo l’uscita Carisio e proseguendo per il centro di Biella. Da qui basta seguire le indicazioni per il santuario e accedere alla Via Santuario d’Oropa, che dal centro città sale su per la montagna per una decina di chilometri. Gli orari di apertura dei locali commerciali possono variare, ma il santuario è aperto tutti i giorni dalle 8 alle 19. All’interno del complesso è possibile mangiare in diversi ristoranti e bar, e pernottare in una delle 300 camere disponibili.
Tutte le informazioni utili, compresi, se interessate/i, gli orari delle funzioni religiose, si trovano sul sito ufficiale: Santuario di Oropa