mercoledì 26 ottobre 2022

Il Castello Bolognini di Sant'Angelo Lodigiano

Nuvole grigie e pioggia sottile sono fedeli compagne in questo incerto ottobre. Creano l’atmosfera giusta per andare a incontrare e conoscere un altro castello, questa volta lombardo. Si erge accanto al Lambro, in un punto dove il fiume è tanto stretto da sembrare un piccolo torrente, e appare quasi inaspettatamente, nel centro di Sant’Angelo Lodigiano.

Il viaggio comincia in modo turbolento, sono reduce da un noioso malessere e sono in ritardo. La visita è prenotata e ci tengo ad arrivare in tempo. La strada da percorrere è lunga e caotica, non avevo mai percorso le tangenziali milanesi, sono abituata ad autostrade tranquille e strade piacevoli, e trovarmi in mezzo a una marea di guidatori isterici mi inquieta e mi indispone. Per fortuna non viaggio da sola, e in questi casi una buona compagnia rende più sopportabili anche i tragitti più sgradevoli.
Finalmente il paesaggio cambia, tornano le amate campagne, immerse in una leggera foschia e profumate di umido, e dopo aver attraversato un passaggio sullo stretto e sinuoso Lambro, compare la grande fortezza dalle spesse mura di mattoni rossi.
Scesa dalla macchina, sento immediatamente lo stridulo verso che tanto mi sta a cuore. Le taccole ci danno il benvenuto, sono nascoste fra le guglie della torre. Le sento, non le vedo, ma so che ci sono, e dentro di me sorrido.


Una corsa per acquistare i biglietti – per fortuna il gruppo precedente aveva finito in ritardo, così perdiamo solo qualche parola – e la visita guidata ha inizio. Siamo nell’ampio cortine interno, nel cui centro si trova un bel pozzo di origine veneta posto in loco recentemente, all’inizio del 1900, e la giovane guida racconta delle origini del castello, “rocca a base quadrangolare irregolare” eretta dai Milanesi, la cui costruzione venne terminata nell’ottobre del 1224.
Inizialmente il castello fu proprietà dei Signori di Milano, “prima i Della Torre e poi i Visconti. Intorno al 1370 Bernabò Visconti donò la fortezza e le terre di S. Angelo alla moglie Regina della Scala (…).
Il castello fu poi conquistato con le armi da Francesco Sforza il 14 aprile 1452 per recuperare le terre appartenute ai Visconti e il 24 aprile dello stesso anno (…) lo Sforza donò il castello e le terre di Sant’Angelo ad un capitano di ventura, Michele Matteo detto il Bolognino, per favori ricevuti, e per l’occasione gli conferì il titolo di Conte con un nuovo nome: Michele Matteo Attendolo (nome Sforzesco) Bolognini.
Diverse vicissitudini misero il castello in pessime condizioni, e solo verso la fine del 1800, quando la fortezza venne ereditata dal Conte Gian Giacomo Morando Bolognini, iniziò per sua volontà la grande ristrutturazione. Il Conte “riaprì le finestre gotiche, restaurò la torre e coprì il ponte levatoio; inoltre ripristinò le sale al piano terra, portò mobili, quadri e suppellettili che acquistò per l’occasione o che trasportò da altre sue proprietà.
Nel 1911 il castello subì un disastroso incendio che distrusse anche gran parte della biblioteca, con i preziosissimi volumi, fra cui gli antichi archivi di famiglia che erano conservati al suo interno.
Il Conte Gian Giacomo, tuttavia, fece riprendere subito i lavori, e in un solo anno il maniero venne restaurato completamente, sia nelle parti interne che esterne.
Divenne Museo sin dai primi decenni del 1900, intitolato proprio al Conte Gian Giacomo Morando Bolognini.

Resto ferma, in piedi, ad ascoltare, immersa nella tranquillità del posto. Il tempo si ferma, e poi riprende a scorrere, più lento. Ciò che era fuori è dimenticato, sembra non esistere più, e tutto ciò che esiste è il castello, con il suo tempo che scorre diversamente, con le sue stanze rimaste ancorate al passato, remote e silenziose, con la sua storia secolare e le sue atmosfere uniche e irripetibili.



La visita inizia, come succede quasi sempre, dall’atrio, in questo caso un ingresso con una lunga scalinata sulla sinistra e, accanto ad essa, l’affresco con lo stemma della famiglia Morando Bolognini. Il suo motto mi stupisce, è lo stesso degli scozzesi e dell’Ordine del Cardo di Scozia, e lo conosco bene: Nemo Me Impune Lacessit. Nessuno mi provoca impunemente.
L’esplorazione prosegue per le numerose stanze, a partire dalla Sala di Ricevimento, nella quale, in uno dei quadri – come avevo visto solo in certi film – una delle figure ritratte ha due buchini al posto degli occhi. Servivano ai proprietari del castello per spiare ciò che avveniva nella stanza in loro assenza.



La Sala del Trono, con i ritratti del conte Gian Giacomo Morando Bolognini e della misteriosa Contessa Lydia Caprara, mostra uno degli alberi genealogici più belli che abbia visto; la Sala degli Antenati conserva alcuni ritratti di famiglia, mentre la Biblioteca è particolarmente affascinante: nasconde una stanzetta segreta, nascosta dietro una delle porticine che richiudono gli scaffali – quella contrassegnata, non a caso, dalla lettera S – nella quale venivano conservati i documenti più preziosi e dalla quale, di nuovo, i proprietari spiavano le conversazioni che avvenivano nella stanza. Noto anche una scritta interessante sulla cappa del camino, “Luceant Vetera Ex Obscuro Labore”, e proprio dove veniva acceso il fuoco, una lamina di metallo con il rilievo di una testina femminile che rappresenta il Sole.
Entriamo nella Sala dei Limoni, chiamata così per via delle piante di limoni affrescate su tutto il soffitto; poi nella Cappella e in alcune stanze ricostruite, come la Sala della Tessitura, con un enorme telaio antico ancora funzionante, la Sala della Cucina, la Sala Ottagonale, la Stanza da Letto della Contessa e quella Rosa della Contessina, il Salottino, la Sala dell’Ottocento, e la splendida Sala da Pranzo, una delle mie preferite per i colori brillanti e i mobili caldi e accoglienti.


La Sala del Rinascimento o degli Specchi è suggestiva, con tanti specchi che dovevano creare “un’atmosfera romantica riflettendo la luce serale della stanza”, una luce data dal fuoco acceso nel camino e dai numerosi candelabri. Qui è conservata, ancora funzionante, l’antica spinetta suonata dalla Contessa Lydia.




Infine, la Sala Veneziana o del Casanova, dove niente meno che Giacomo Casanova trascorse alcune notti – senza purtroppo riuscire a conquistare la bellissima contessina Ortensia; e la splendida, grande e luminosa Armeria.
L’ultima stanza del castello che vediamo è proprio la sala delle armi e delle armature, che per me, da sola vale il viaggio.




Dopo la bella esplorazione del castello, ci aspettano quelle degli altri due musei: il Museo del Pane, e il Museo di Storia dell’Agricoltura, dal Neolitico a oggi.
Questi due musei sono senza dubbio interessanti, ma devo dire che questa seconda visita, condotta da un’altra guida, si è prolungata talmente a lungo che purtroppo non sono riuscita ad apprezzarla. Ero letteralmente stremata, così come molte delle altre persone presenti.
Voglio però soffermarmi un attimo sul Museo del Pane, allestito al piano superiore del castello in spazi ampi e suggestivi, con i loro archi di mattoni rossi. Sono presenti teche con una gran varietà di spighe di cereali, strumenti antichi che fanno parte dei processi di semina e raccolto, e di panificazione – con una macina di pietra di epoca preistorica – e tantissimi tipi di pane diverso per ogni regione d’Italia e Paese del mondo.



I pannelli espositivi raccontano la storia del pane a partire dalle prime civiltà. Trascrivo dal pannello che racconta la panificazione nell’antica Grecia ciò che, come sempre, mi piace e mi ispira di più:
“[Da Erodoto] apprendiamo che la panificazione si svolgeva in ambito domestico e che era incombenza tipicamente femminile.
Con la protezione di una potente divinità, Demetra, sotto il cui nome si adombra la Madre Terra, le donne micenee non solo si occupavano della panificazione, ma avevano anche “un ruolo più importante degli uomini nella mietitura, nella trebbiatura, nella conservazione e utilizzazione dei cereali”.



(…) L’aia era considerata un’invenzione di Deò, dea dell’orzo. Ogni famiglia era provvista di una piccola macina litica che consentiva di ottenere la farina e la semola. Alle donne era affidato il compito di preparare, una volta al mese, l’impasto per il pane, farlo lievitare, infine lavorarlo bene con le mani, quindi infornarlo; con l’aggiunta di semi di sesamo, di papavero, di finocchio o di cumino si facevano i dolci.” In un rilievo in pietra, “Persefone, dea della vegetazione primaverile, e Ades sono rappresentati con un fascio di spighe, simbolo dell’agricoltura.



L’esplorazione nella storia passata e presente finisce. Tornata nei pressi del pozzo, scatto ancora qualche fotografia, e proprio mentre mi sto avviando verso l’uscita, un gruppo di taccole attraversa il cielo sopra il cortile del castello. Eccovi finalmente, penso.
Le osservo andare e venire, nelle loro piume nerofumo, e ricambio con affetto il loro saluto.


Al termine delle visite ci precipitiamo letteralmente a prendere un meritatissimo caffè con biscotti, al bar di fronte al castello. Ne abbiamo tutte/i un grande bisogno.
Giusto il tempo di riposare un pochino, prima di tornare ad affrontare l’isterismo caotico della tangenziale milanese. Questa, non mi mancherà.

E di fantasmi questo castello non ne aveva? Mi chiede incuriosito il mio compagno di viaggio.
In effetti sì, uno c’era, solo che non era lì.
Nel castello è rimasto solo il suo ritratto. Si tratta proprio della Contessa Lydia Caprara, moglie del Conte Gian Giacomo Morando Bolognini, che nel quadro della Sala del Trono è raffigurata con un elegante abito nero e una lunghissima collana di perle.
In vita era stata esperta di esoterismo, organizzava sedute spiritiche e leggeva il futuro in una vera e propria sfera di cristallo, e pare che dopo il suo decesso il suo fantasma cominciò ad apparire e a infestare non il Castello di Sant’Angelo Lodigiano, ma la seconda dimora dove la donna trascorse la maggior parte del tempo: il Palazzo Morando Bolognini, nel centro di Milano, oggi allestito a Museo del Costume.
Questa però è un’altra storia, e spero di poterne parlare un’altra volta… magari dopo una bella giornata a Milano.

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Le varie citazioni fra virgolette sono tratte dagli espositori all’interno del castello e dai brani presenti sul sito del Castello Bolognini.
Consiglio la visione del video presente in questa pagina del sito: Museo Morando Bolognini

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ALBUM FOTOGRAFICI
Castello e Museo Morando Bolognini
Museo del Pane e Museo di Storia dell’Agricoltura

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Note di Viaggio:
Il Castello Bolognini, che comprende tre musei – il Museo Morando Bolognini, ovvero il Castello stesso, il Museo del Pane e il Museo di Storia dell’Agricoltura – si trova a Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi, non distante da Milano. È aperto solo durante alcune domeniche dell’anno, da marzo a ottobre, con visite che partono alle 14:30, alle 15:30 e alle 16:30. Il biglietto costa 10 euro.
Durante tutto l’anno, in qualsiasi giorno della settimana, è tuttavia possibile prenotare una visita, ma solo per gruppi di almeno 15 persone.
Potete trovare tutte le informazioni utili, e le date di apertura, sul sito ufficiale: Castello Bolognini

mercoledì 12 ottobre 2022

Il Castello Sannazzaro di Giarole

Fuori piove, gocce fini e leggere, e la prima foschia si solleva dai campi bagnati e crea quel velo impalpabile oltre il quale tutto può succedere. Le gocce cadono dalle foglie, e una grande porta verde sta per chiudersi…
Se volete seguirmi, vi accompagno oltre quella porta, in un antico castello del nostro Monferrato, fra vecchie stanze e indimenticati fantasmi…


Varchiamo dunque il portone verde del Castello Sannazzaro di Giarole, vicino a Casale Monferrato, e scopriamo i suoi segreti.
A differenza di molti castelli, posseduti da famiglie diverse nel corso dei secoli, il Castello Sannazzaro di Giarole, in provincia di Alessandria, è sempre appartenuto alla famiglia Sannazzaro, che lo mantiene da più di 800 anni. A narrarci la sua storia, nel cortile interno, è il suo proprietario attuale, il Conte Giuseppe Sannazzaro Natta. Racconta di come nell’anno 1163 l’imperatore Federico Barbarossa diede l’autorizzazione a quattro cavalieri della famiglia Sannazzaro per costruire la loro dimora ovunque volessero, all’interno dei loro vasti possedimenti. Così nacque questo maniero, anche se gli anni esatti in cui venne edificato non si conoscono.
Nel corso del tempo, come sempre accade, il castello subì varie modifiche, e ad oggi viene poco a poco ristrutturato.



Dopo esserci soffermati nell’ampio atrio affrescato, nel bellissimo archivio-biblioteca, e nella sala della musica – nella quale è presente anche una fotografia del nonno dell’attuale Conte insieme al Principe Ranieri di Monaco e alla meravigliosa Grace Kelly – si sale la bella scalinata e si accede alle stanze superiori.




Una camera con un bel divano circolare e con vari ritratti, fra cui quello della bellissima dama in abito rosso, che fu moglie di uno dei proprietari del castello, la sala da ballo affrescata, sulla quale torneremo a breve, e poi la stanza verde, quella blu e quella rosa, e la piccola camera dal bellissimo letto a baldacchino bianco. Seguono altre camere da letto più semplici e un salottino.



Ma torniamo alla sala da ballo, fonte del mistero del castello. A metà del 1800, durante la realizzazione degli affreschi sulla parte superiore delle pareti e sul soffitto, accadde un evento tragico. Un giovane pittore torinese, rimasto solo nel salone per dipingere il soffitto che raffigura l’allegoria della Pace e dell’Abbondanza, nel tentativo di dare un’ultima pennellata a lume di candela, si sporse troppo dall’impalcatura e cadde a terra, morendo sul colpo. Da allora si dice che il suo fantasma vaghi per il castello, senza trovare pace, poiché non fece in tempo a finire il suo dipinto. La sua presenza è innocua, ma si dice che ami accendere le luci nei posti più impensati, dal momento che al buio non può dipingere, e che apra porte chiuse a chiave, o le chiuda quando sono aperte.
Il conte, mentre racconta questa storia, ci strappa una risata, ammettendo quanto questo fantasma costi in termini di elettricità, soprattutto in questo periodo.




L’esplorazione del castello termina dopo aver sceso una stretta scala di pietra circolare che riporta al piano terra e al cortile. La torre purtroppo al momento è inaccessibile, così come i sotterranei, che nonostante tutto meritano qualche parola. Corrono sotto la base del castello e si dice nascondano non uno, bensì due passaggi segreti: il primo, lungo circa tre chilometri, porterebbe fino al vicino castello di Pomaro, proprietà dei Conti Calvi di Bergolo – proprietari del Castello di Piovera di cui ho scritto la settimana scorsa – l’altro porterebbe al vicino Castello di Baldesco. È presente anche una antica prigione, utilizzata fino al 1796.

Uscendo dal portone verde, che viene presto richiuso, non ci resta che visitare la piccola chiesa di San Giacomo, costruita nel 1300, nella quale sono presenti affreschi del Cinquecento, la statua lignea della Madonna del Rosario e, a quanto pare, una cripta, che però io e il mio intraprendente compagno di viaggio non abbiamo trovato – forse era dietro una porta chiusa, ma dal momento che eravamo soli nella chiesa, per questa volta abbiamo preferito fare i bravi ed evitare intrusioni non autorizzate…


La visita del castello è stata davvero molto piacevole. Da una delle finestre aperte del piano superiore si vedeva il parco, nei suoi colori autunnali e umidi di pioggia, con la foschia che saliva dai campi, e questa è una delle immagini più belle che porterò con me, insieme al momento particolare in cui, uscita dal castello, ho sentito il verso delle taccole dalle piume fuligginose che volavano alto sopra gli alberi e la torre. Le conosco bene e le amo da sempre, ma ieri mi hanno ricordato la strega scozzese Isobel Gowdie, di cui avevo scritto poco prima, e mi si è riempito il cuore.


Spero che questo viaggio vi sia piaciuto.
La pioggerella continua a cadere, le gocce continuano a ticchettare, la foschia continua a salire dai campi, e il portone verde è chiuso. Resta però il ricordo, assaporato con calma, dell’esperienza vissuta, il quale va a unirsi agli altri ricordi di luoghi camminati e toccati con mano, e di luoghi camminati e sentiti solo col cuore e con l’anima. Di certo non meno preziosi.


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Le varie informazioni sono state raccontate durante la visita al Castello, e per integrarle e ricordare i dettagli ho utilizzato il sito ufficiale del Castello Sannazzaro di Giarole e il libro di Nico Ivaldi, Castelli maledetti. Piemonte e Valle d’Aosta, Editrice il Punto, pagg. 91-94.

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note di Viaggio:
Il Castello Sannazzaro di Giarole si raggiunge comodamente dall’autostrada Genova-Gravellona Toce, all’uscita Casale Sud. Proseguendo in direzione di Valenza in pochi minuti si giunge alla meta. Il castello è aperto durante alcune giornate dell’anno, con preferenza di prenotazione; in alternativa, è possibile visitarlo tutto l’anno solo su prenotazione, con un minimo di quattro persone. Il biglietto di ingresso, che comprende la bella visita guidata, costa 10 euro.
Per maggiori informazioni e per controllare le date di apertura al pubblico, si può consultare il sito ufficiale: Castello Sannazzaro di Giarole

lunedì 3 ottobre 2022

Il misterioso Castello di Piovera

Sono i primi giorni di ottobre, il velo si assottiglia, ed è tempo per me di percorrere antichi luoghi ricchi di storia, e di presenze invisibili. Ieri ho visitato il Castello di Piovera, in provincia di Alessandria, un luogo particolare che volevo vedere da tempo.
Sorge fra le campagne, ha l’aria molto vissuta, ed entrando fra le sue vecchie mura – in alcuni tratti ancora dipinte di nero, usanza funebre che veniva messa in atto alla morte di un personaggio illustre, in questo caso di Napoleone Bonaparte – si torna indietro nel tempo e si tocca con mano la storia.


Il Castello di Piovera nacque come fortezza per la difesa del territorio nel XIV secolo su antecedenti accampamenti di origine romana, longobarda e carolingia (Castrum Pioperae) e sulle rovine di un convento probabilmente templare. Fu rimaneggiato nel XVI secolo e in età tardo barocca con rifacimenti che, però, non hanno intaccato la sua struttura originaria. È passato indenne sotto molteplici dominazioni (…).” (*)


Durante la dominazione spagnola fu venduto dal figlio del precedente proprietario spagnolo al nobile genovese Francesco Maria Balbi, che lo mantenne fino al XX secolo.
Attualmente appartiene al conte Niccolò Calvi di Bergolo, che lo ricevette nel 1967, e mantenendolo nel modo migliore possibile lo aprì anche alle visite. La sua presenza singolare ed eccentrica rende davvero unica l’esplorazione del castello.


Durante la visita del percorso completo, accompagnata dalla guida e, a tratti – talvolta inaspettati – dal conte, si accede ai due piani del castello e alla torretta. Liberamente è possibile visitare i due musei esterni: il Museo delle Radici e il Museo degli Antichi Mestieri, che contengono attrezzi molto vecchi. Alcune stanze del castello, le più private e belle, fra cui la Stanza della Marchesa, la Stanza del Marchese con il suo Studio privato, e la Biblioteca, purtroppo non possono essere fotografate, quindi non mi è possibile mostrarle.



Provo sensazioni contrastanti riguardo a questo castello e alla mia esperienza, non sono ancora riuscita a decifrarle, per cui preferisco semplicemente mostrare le foto che ho potuto scattare e soffermarmi su ciò che mi ha incuriosita e ispirata di più. In particolare il Museo delle Radici e, naturalmente, le leggende che riguardano i fantasmi che abitano il castello. L’intera struttura è pregna di energie particolari, specialmente in alcuni punti, come la Stanza Ottagonale, che sorge sopra una sorgente ed è satura di energia. Io purtroppo non ho sentito nulla, a parte il fastidio per la presenza di numerose teste di grossi animali imbalsamati apposte sulle pareti, ma nel corso degli anni diverse/i visitatrici e visitatori hanno avuto mancamenti, malesseri, o percezioni forti proprio in quella stanza, nota anche per essere accuratamente evitata dai cani, oltre che per qualche strano accadimento. Fu anche scelta, non a caso, da una vecchia abitatrice per compiere le sue sedute spiritiche. Anche questa stanza purtroppo non mi è stato possibile fotografarla.


Il Museo delle Radici

Perfetto da visitare in questo periodo di discesa nelle profondità buie e misteriose della terra e delle proprie terre interiori, è il Museo delle Radici. Le radici sono state raccolte, ripulite, alcune cerate, e quindi esposte, dal conte del castello e da suo suocero, sin dagli anni ‘80. Sono forme affascinanti e spesso inquietanti, alcune rassomigliano ad animali, altre a uomini, alcune ad inquieti spiriti terrigeni. Proprio davanti al portone del museo sorge un maestoso tasso, albero dei morti, al momento pieno di bacche rosse dalla polpa dolce e dal seme letale. Ho trovato questo connubio molto ispirante e suggestivo, oltre che ricco di profondo significato, specialmente in questo periodo del ciclo annuale. Le radici nascono dal seme e vivono nell’oscurità della terra, e nella buia terra si sviluppano, ognuna con la propria forma, il proprio disegno, la propria voce. Assorbono il nutrimento perché l’albero cresca nell’abbondanza, e al contempo lo tengono ancorato alla terra, all’origine, laddove tutto è iniziato. Nel buio, nel grembo, nel mistero del sottosuolo.


Riporto una parte del testo esposto proprio all’ingresso del piccolo museo:
Queste opere d’arte naturali, estratte dalla loro condizione di oscurità sotterranea e portate alla luce, un tempo hanno dato origine e sostanza alle piante diventando una perfetta metafora dell’essere umano, in cui ciò che rimane nascosto, l’interiorità, nutre e dà le basi a ciò che è visibile in superficie, l’esteriorità.” (*)



Un luogo perfetto da vivere adesso, e un’ispirazione per prestare più attenzione alla terra su cui posiamo i nostri piedi, alla ricerca e nell’ascolto delle radici e dei loro atavici messaggi.

I fantasmi del Castello di Piovera

Sono molti i fantasmi che abitano nel castello, e che vengono percepiti come presenze e potenti energie dalle persone più sensibili, prima fra tutte il conte, che nel castello abita da molti anni. Una delle più note è la donna dai capelli rossi, comparsa più volte nel fossato che cinge le mura esterne. La donna dai capelli rossi è stata vista in diverse occasioni, mentre correva, forse fuggiva, per poi scomparire.
Si narra anche del fantasma di un frate, apparso nelle sale interne, e questo non è poi così strano, se si considera che la parte più antica della struttura era in origine un luogo religioso, forse un convento templare.
Infine, la storia più misteriosa riguarda il periodo della dominazione spagnola, nel 1600 circa. Un illustre spagnolo, forse il proprietario del castello, era chiuso fra le sue mura, accerchiato, senza alcuna possibilità di uscire per salvarsi la vita. Una notte, nella stanza ottagonale, vide una bambina, che gli promise di aiutarlo a fuggire. Questa gli indicò un passaggio segreto sotterraneo e l’uomo la seguì, ritrovandosi poi in aperta campagna, salvo dall’assedio. La bambina gli indicò il fienile come luogo sicuro in cui avrebbe potuto dormire, e l’uomo riposò. Quando la mattina seguente l’uomo andò a ringraziare i proprietari del fienile e dell’abitazione annessa, raccontando di come la loro figlia lo avesse aiutato, questi rimasero ammutoliti, rivelando che la bambina era morta diversi anni prima.
Che si tratti di leggende o di verità storiche, non è dato sapersi. Ma come si dice, ogni leggenda ha sempre un fondo di verità… e a me piace crederci.


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Il castello di Piovera merita assolutamente di essere conosciuto e sperimentato, e una delle occasioni migliori è proprio il periodo di ottobre, quando viene anche aperto eccezionalmente la sera di Halloween, per visite suggestive a lume di candela.

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* Le citazioni sono tratte dai pannelli espositivi disposti lungo il percorso di visita e dalla brochure del Castello di Piovera.

Un piccolo appunto: Entrando nella parte più interna del castello, nelle sale più private, la guida ha gentilmente informato che in quelle stanze non era permesso scattare fotografie – anche per tutelare gli oggetti esposti e mantenere una sorta di riservatezza. Ebbene, ovviamente non l’ho fatto, e questo dovrebbe essere un comportamento scontato. Invece non lo è stato, perché credo di essere stata una delle poche. Molti degli altri visitatori, in particolare un ragazzino, hanno continuato non solo a scattare fotografie, ma il suddetto ragazzino ha filmato ogni stanza, senza che i genitori gli dicessero una parola. In un clima di menefreghismo come quello che ho visto, anche io avrei potuto immortalare quelle stanze, le più belle peraltro, per portare a casa quelle immagini e riguardarle con calma, e addirittura condividerle, ma non l’ho fatto. Rispetto il luogo e le persone che lo abitano, e se mi si chiede, a casa loro, di non fare qualcosa, io quella cosa non la faccio. E non è una questione di obbedienza o disobbedienza, ma di rispetto, puro e semplice.
Resto basita – lo sono tutt’ora – di fronte a quanto poco questo conti per molte persone. La guida avrebbe però dovuto ricordarlo, ripetutamente, invece di soprassedere. L’educazione si riceve in molti modi, e se non viene naturale, o non viene trasmessa dai genitori, è bene che venga impartita anche dagli estranei, che certe volte possono fare di più di chi vive sotto il proprio stesso tetto.

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ALBUM FOTOGRAFICI
Il Castello di Piovera
Il Museo delle Radici

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Note di Viaggio:
Il Castello di Piovera è in provincia di Alessandria, nel paesino di Alluvioni Piovera, e si raggiunge comodamente con l’autostrada A21, uscendo ad Alessandria Est e proseguendo per pochi minuti.
Le visite sono possibili solo la domenica, a parte rare eccezioni, fino a novembre. Vengono organizzate anche serate a lume di candela, concerti e mostre temporanee. Per conoscere tutte le date di apertura e gli eventi interessanti, è possibile consultare il sito: Castello di Piovera
Il biglietto per il percorso di visita completo “Raccontami il Castello” costa 12 euro e dà accesso a tutte le stanze e i musei, con visita guidata; sono disponibili altri due percorsi di visita che però danno accesso solo ad alcune stanze, o solamente al parco.