domenica 28 aprile 2019

Esplorazione a Sesto Calende - Parte II

Se c’è una cosa che proprio non riesco ad accettare, sono le cose lasciate a metà. Quando inizio qualcosa, qualsiasi cosa, devo portarla a termine, e se per qualche motivo non ci riesco non mi sento tranquilla finché non lo faccio. Per questo – oltre che perché la adoro – oggi sono tornata a Sesto Calende, così da ripercorrere lo splendido itinerario che avevo raccontato la settimana scorsa e cercare alcune piccole cose che non avevo trovato, e che mi interessavano particolarmente.

Il fiume Ticino a Sesto Calende

Innanzitutto sono tornata all’abbazia, perché volevo risolvere un piccolo mistero. Volevo assolutamente trovare il bassorilievo che raffigura uno strano animale che sputa fuoco, e che sembra essere molto antico. È stato interpretato come un simbolo dell’inferno, una “potenza demoniaca” che minaccia “il progetto di Dio” e tenta “la perdizione dell’uomo”, per cui presumo sia considerato un monito, ma il fatto che sia posto in una chiesa antica che sorge su un tempio pre-cristiano, esattamente a pochi passi dal luogo in cui, secondo la leggenda, l’amante della Dea Venere era stato mutato in drago dalle fauci fiammeggianti, e aveva creato la conca che si stende ai piedi del masso erratico della Preja Buja - chiamata ancora oggi la Fossa del Drago, non mi è sembrato del tutto casuale. E che raffiguri o meno un animale dell’inferno, me ne sono innamorata.

L'antico bassorilievo dell'animale sputa fuoco

Trovarlo non è stato facile, tant'è che la settimana scorsa non ci ero riuscita. Sapevo che era nel nartece, ma lo cercavo in alto, e pensavo fosse abbastanza grande, invece è nascosto a mezzo metro da terra, vicino alla porticina sulla parete a sinistra dell’ingresso, proprio dietro la statua di San Giuseppe, ed è davvero piccolino, non più grande della mia mano.
Soddisfatta per averlo finalmente trovato, e fotografato a fatica, dato che era quasi al buio e io odio il flash, ho scattato qualche altra foto alla lunetta di Santa Caterina, che non so per quale motivo la settimana scorsa avevo tralasciato…

La lunetta con la disputa di Santa Caterina

La splendida Santa Caterina

Poi sono uscita e ho raggiunto di nuovo le altre tappe dell’itinerario, questa volta soffermandomi di più sulla cappelletta dedicata alla Madonna, posta a lato della strada che porta all’Oratorio di San Vincenzo. Purtroppo, nonostante sia affrescata internamente, la rete esterna ha una trama talmente fitta che non solo non è possibile far passare l’obiettivo per fotografare i dipinti, ma si fa addirittura fatica a vederli.

La cappella della Madonna

Ciò nonostante, aver fermato la macchina in quel punto, mi ha permesso di guardarmi intorno con tutta calma, e rendermi conto ancora una volta della bellezza indescrivibile del paesaggio, con i suoi prati punteggiati di ranuncoli e abbracciati da alberi e arbusti.
La zona che circonda la Preja Buja è davvero incantevole, e ogni volta mi rapisce il cuore.
Ho passeggiato ancora una volta intorno alla chiesetta di San Vincenzo, che spero prima o poi di vedere dall’interno, e ho ascoltato il canto ipnotico dei grilli, mentre il sole giocava a nascondino dietro le nuvole.

L'Oratorio di San Vincenzo

L'Oratorio di San Vincenzo

L'Oratorio di San Vincenzo

Nonostante fossi tentata di avventurarmi di nuovo alla ricerca del misterioso dolmen, ho deciso di aspettare un momento migliore, evitando di andarci da sola. Non è il bosco a farmi paura, non mi ha mai fatto paura. Sono le persone che mi spaventano, sono loro il vero pericolo. E se ripenso a quante volte in passato sono stata inconsapevolmente fortunata, mi rendo conto che non è più il caso di sfidare la sorte.
Tornata nel centro di Sesto, ho fatto tappa in un negozio che adoro, la Galleria dei Cristalli, dove ho acquistato un regalino di compleanno per mia mamma, oltre che un pendente di quarzo ialino a punta grezza e un altro ciondolo più grande, di sodalite blu notte a forma di goccia. Bianco trasparente e blu notte, due colori che oggi hanno attirato la mia attenzione, e che appoggiati sulla pelle hanno creato un armonia di colori a cui non ho voluto rinunciare.
Dopo una bella passeggiata alla piccola fiera dei fiori allestita nella piazzetta, con una brioche integrale alla crema di miele in mano, mi sono fermata a guardare e ascoltare l’acqua, con le sue leggiadre creature dalle candide piume…

Il fiume Ticino a Sesto Calende

Il fiume Ticino a Sesto Calende e le sue creature acquatiche

Il fiume Ticino a Sesto Calende e le sue creature acquatiche

Poi, quando il sole ha iniziato a tramontare, mi sono incamminata verso casa.
Un’altra giornata stupenda in uno dei miei posti del cuore, che ogni volta, da tanti anni, mi rivela scorci e dettagli inaspettati, e mi fa sentire a casa.

Il fiume Ticino a Sesto Calende

Il famoso salice di Sesto Calende

Note di Viaggio:
L’itinerario completo, proposto dall’archeologa Lucina Caramella, lo potete scaricare al link indicato nel post prima di questo.
Consiglio vivamente una tappa alla Galleria dei Cristalli, in Piazza Giuseppe Mazzini, e se siete golose/i e vi piacciono i piccoli arredi e stoviglie in stile country, non mancate di far visita alla Boutique del Gusto, proprio di fronte alla Galleria.
Per vedere le altre fotografie scattate durante il percorso, cliccate questi link:
Percorso di Sesto Calende - Le Chiese e il Paesaggio
Percorso di Sesto Calende – Il Fiume

venerdì 19 aprile 2019

Esplorazione a Sesto Calende - Parte I

Quante volte crediamo di conoscere un posto e poi ci rendiamo conto che molti dei suoi angoli più magici ci erano completamente ignoti…? Uno di questi posti è per me Sesto Calende, un paesino che si sviluppa sulla sponda sinistra del fiume Ticino, poco prima che le sue acque sfocino nel Lago Maggiore.
Sesto è come una seconda casa per me, da tanti anni. Il centro storico, proprio al margine del fiume, è molto carino, e poi basta allontanarsi di poco dalle abitazioni per scoprire angoli sacri antichissimi, come il masso erratico chiamato Sass da Preja Buja, e a pochi chilometri, il grande sito archeologico della cultura di Golasecca (VIII – IV secolo a.C.), con la necropoli e tutti i segni di un passato lontanissimo.
Proprio facendo ricerca su questo argomento, un paio di giorni fa ho trovato per caso un itinerario che suggeriva una visita ai luoghi più antichi e sacri di Sesto Calende, muovendosi a ritroso del tempo, ovvero partendo dalla Abbazia romanica di San Donato, luogo legato alla prima cristianità, e arrivando alla Preja, ai cui piedi si onorava l’antica Madre Pietra e tutte le piccole e grandi divinità di un animismo naturale e armonioso.
Rendendomi conto che dei luoghi proposti dall’itinerario ne conoscevo solo un paio, mi sono subito lanciata in questa bellissima esplorazione.

Abbazia di San Donato

La prima tappa era appunto l’Abbazia di San Donato, fondata nell’841 e ampliata nel corso dei secoli, con i suoi affreschi dei primi del XVI secolo, dei quali ho apprezzato Santa Apollonia, Santa Lucia, la lunetta con Santa Caterina, la splendida Madonna dei Limoni dipinta alla fine del Cinquecento… e ovviamente l’immancabile Madonna del Latte.

Gli affreschi del nartece - Parete destra

Santa Apollonia

La Madonna del Latte

La chiesa è davvero molto bella, soprattutto il nartece con i suoi capitelli e alcuni bassorilievi molto interessanti. La piccola abside in fondo alla navata sinistra è estremamente patriarcale, ma artisticamente apprezzabile, e la cripta… l’ho adorata. Sono fatta così, quando vedo una cripta mi ci fiondo dentro. Mi dà sempre l’impressione di trovarmi in un luogo segreto, misterioso, a volte un po’ inquietante, oppure accogliente e raccolto. La cripta di San Donato in particolare era molto accogliente, oserei dire femminile – perché incentrata sulla vita della Vergine, come mostrano gli affreschi sul soffitto della piccola cupola sopra l’altare – e mi è piaciuta molto.

La Cripta

La Cripta

Uscita dalla cripta ho percorso la navata destra e quando ne ho avuto voglia sono uscita, dedicandomi subito alla ricerca dei simboli antichi nascosti nella muratura esterna della chiesa. Parte della tappa era infatti l’individuazione certi frammenti di steli e rilievi di epoca precedente la costruzione della chiesa, i quali erano stati impiegati a modo di mattoni. Non li ho trovati tutti – ci tornerò per cercare di nuovo le steli dedicate ad antichi déi romani che non ho visto – ma ho trovato un bel frammento di nodo celtico e ho notato la base stratificata dell’angolo destro della facciata, che “suggerirebbe la possibilità che l’edificio di epoca romana sia sorto per esaugurare un precedente luogo di culto animistico”, come scrive la studiosa Lucina Anna Rita Caramella, autrice dell’itinerario.

L'abside esterna

Inserti di steli precedenti - Nodo celtico

Lasciata l’Abbazia, con addosso quella bella sensazione di arricchimento che provo quando visito qualche luogo particolarmente bello e interessante, ho proseguito verso le tappe seguenti: una cappelletta a lato della strada, dedicata alla Madonna – che però non ho fotografato – e un’altra cappella poco distante, nella quale è presente un affresco molto curioso. Si tratta di una Madonna del Latte Nera. Un’iconografia più unica che rara, che riunisce la simbologia della Madonna Nera a quella della Madonna del Latte in un connubio estremamente interessante e a mio parere molto significativo.
La Madonna, definita Nera per il volto volutamente scurito, purtroppo è poco visibile perché posta in alto, e “divisa” a metà da un listello di legno, per questo anche se ho letto che porta in mano una colomba, non sono riuscita a vederla perché coperta.

La cappella della Madonna del Latte Nera

Dettaglio della Madonna del Latte Nera

Proseguendo a ritroso nel tempo, sono tornata all’Oratorio di San Vincenzo, costruito nel XI-XII sec. d.C. sui resti di un antico tempio pagano – ricordo che all’interno, come supporto dell’acquasantiera, è stato trovato un cippo dedicato a Diana, oltre che “a tutti gli Dei e le Dee” – che ho visto molte volte da fuori, ma che non ho mai potuto visitare all’interno perché sempre chiuso; e ovviamente alla mia amatissima Preja Buja, con la sua forma di chioccia e la testa d’ariete, che è stata luogo di culto pre-cristiano per millenni.

La Preja Buja

Dato che queste ultime due erano le tappe che ben conoscevo, mi sono concentrata a cercare dei particolari che non ero ancora riuscita a individuare prima d’ora. In particolare l’occhio a forma di sole della Preja, che si dice venga illuminato dai primi raggi del sole nel giorno dell’equinozio di primavera, e che finalmente, aiutandomi con lo zoom della macchina fotografica, sono riuscita a riconoscere.

Incisioni e sedili della fertilità sull'altare ai piedi della Preja

L'occhio solare della Preja

La tappa che seguiva la Preja Buja è rimasta un mistero. L’itinerario dice che in un punto non precisato del bosco intorno la Preja ci sia un antico dolmen che pochi conoscono. Io ho provato a cercarlo percorrendo il sentiero che parte a destra della Preja e sale verso la cima del colle, e dopo mezz’oretta di salita ripida e faticosissima, rischiando di svenire per la stanchezza e il caldo, ho dovuto rinunciare. Chiaramente non è da quella parte, e chiedere a un paio di persone non è servito, perché hanno detto di non averlo mai visto. Ma c’è, da qualche parte, e di sicuro tornerò a cercarlo e proverò a percorrere altri sentieri. Ormai è una sfida a cui non posso rinunciare e che non voglio perdere, anche perché era di certo un luogo caro alle sacerdotesse che vissero in questo territorio millenni fa, e fa parte del mio stesso percorso interiore ritrovare e conoscere da vicino questi antichi siti sacri.

Stanca morta, vicina allo svenimento dopo quel tratto di cammino breve ma intenso, soprattutto se si è fuori allenamento, ho avuto la forza di raggiungere il centro di Sesto e ho potuto rifocillarmi con acqua, caffè e pasticcini nel mio posto preferito, il Bar Roma, vicino alla piazzetta che dà sul fiume.
Ho trascorso così tante giornate in questo piccolo bar, seduta al solito tavolino sul soppalco, a studiare, leggere, scrivere, pensare, che ormai lo sento casa… a volte prendevo la macchina e guidavo un’ora solo per venire a sedermi qui, bere un thè Earl Grey, con un libro nella borsa e tanti pensieri nella testa, e ogni volta ne uscivo rigenerata.
E così è stato anche pochi giorni fa. Per questo, ancora interdetta per non essere riuscita a trovare il dolmen, invece di tornare a casa ho deciso di aggiungere una tappa al mio itinerario. Ho attraversato il fiume e sono entrata a Castelletto Sopra Ticino per cercare il parco comunale, dove sapevo si trovano alcune sepolture golasecchiane.

Sepoltura maschile - Cultura di Golasecca, VII sec. a.C.

Premetto che la posizione originaria delle tombe era in un altro luogo poco distante, e di solito questo mi infastidirebbe molto, ma ho letto che nel corso dei millenni lo spostamento del terreno le aveva già fatte scivolare in una zona diversa da quella d’origine, quindi dopotutto, averle spostate ancora un po’ e ricostruite nel parco non è una tragedia.
Quello che non sapevo, e che mi ha folgorata una volta che mi ci sono trovata davanti, è che una di queste sepolture apparteneva a una delle sacerdotesse di Golasecca, ed è proprio una delle tombe in cui è stato trovato un tripode con bacile divinatorio – ora conservato al Museo di Antichità di Torino, l’avevo visto proprio un anno fa.
In quel momento mi sono resa conto che il cerchio si chiudeva, che le ricerche che sto svolgendo in questo periodo mi avevano condotta lì per un motivo, e che aver trovato quelle pietre e quella stele che copriva il corpo della donna sacra, era importante.

La tomba della Sacerdotessa di Castelletto Ticino
Cultura di Golasecca, VII sec. a.C.

La tomba della Sacerdotessa di Castelletto Ticino

Mi sono fermata accanto alle pietre, osservando la differenza nella loro disposizione: i tumuli a cerchio sono maschili, mentre quelli rettangolari sono femminili. Mi è sembrato strano, perché ho sempre sentito il maschile legato a forme lineari e geometriche e il femminile ai cerchi e alle spirali, ma evidentemente questi antichi popoli avevano una concezione diversa, e facevano le cose in questo modo per un buon motivo.

Il sito ricostruito dell'antica necropoli - Parco comunale di Castelletto Ticino

Finalmente sazia di nuove immagini, di ricordi ed esperienza, sono risalita in macchina e mi sono diretta verso casa, mentre il sole cominciava a tramontare e nel cielo saliva una luna grande e rosata.
Ora sono rimasta con la sensazione di incompiuto che mi coglie quando non riesco a realizzare per intero un proposito, specialmente nei viaggi di ricerca. Per questo spero di riuscire a trovare ciò che non ho trovato, così da terminare l’itinerario e, soprattutto, incontrare il dolmen, con le sue pietre che, nonostante il passare dei millenni, preservano dentro di sé la storia delle nostre antenate.

***

Note di Viaggio:
Se volete conoscere meglio l’itinerario che ho percorso, proposto dalla studiosa Lucina Anna Rita Caramella, trovate il PDF a questo link: Da Sass da Preja Buja al San Donato
Se passate da Sesto Calende e fate un giro in centro, non mancate di assaggiare l’eccellente caffè del Bar Roma, oppure i suoi thè pregiati e squisiti, magari accompagnati da qualche pasticcino.
Per vedere molte altre fotografie scattate durante il percorso, cliccate questo link:
Itinerario di Sesto Calende - Prime Tappe
Itinerario di sesto Calende e Castelletto Ticino - Tappe successive

domenica 7 aprile 2019

Mazzè e Caluso. Alla ricerca di Ninfe e Regine

Alcuni giorni fa, approfittando di una giornata fresca e nuvolosa, ma non ancora piovosa, ho finalmente deciso di fare la breve gita che avevo in programma da alcuni mesi in due paesini del Canavese, Mazzè e Caluso. Non sapevo se scriverne o meno qui sul mio diario di viaggio, dato che non ho visto luoghi per me particolarmente interessanti – ciò che era estremamente interessante era altro – però ho deciso di farlo comunque perché è stato un vero e proprio viaggio di ricerca, un’esplorazione che si è svolta non tanto per le strade… ma fra gli scaffali di una piccola biblioteca.
Ciò che cercavo, infatti, erano libri fuori commercio da molto tempo e reperibili solo in alcune piccole biblioteche locali canavesane che hanno molto a cuore le leggende del proprio territorio.
Approfittando del viaggio, però, mi sono annotata qualche posto da vedere proprio nelle vicinanze della biblioteca, così da fare più cose in un giorno solo.
Mi interessava soprattutto l’antichissimo megalite – definito stele funeraria – risalente al VIII - IV secolo a.C., e alcuni particolari esterni del Castello di Mazzè, oltre a un preciso murale di cui ho forse già parlato tempo fa, che si trova nel centro storico di Caluso.

Il megalite dell'Età del Ferro - VIII-IV secolo a.C.

Arrivata a Mazzè nel pomeriggio ho subito visto il megalite, e non appena la biblioteca ha aperto ci ho trascorso un’oretta molto piacevole, facendo ricerca su quei preziosi libri che avevo cercato e anelato di vedere per tanto tempo. Ho scattato fotografie alle pagine e grazie alla giornalaia che lavora proprio lì accanto, ho potuto fotocopiare per intero un libro unico che offre una splendida versione della leggenda dell’antica regina Ipa – che poi era essenzialmente l’oggetto della mia ricerca.
Infastidita da un lieve ma persistente mal di testa, sintomo dell’imminente arrivo della pioggia, ho cercato di fare l’essenziale, senza troppe distrazioni, con calma e tranquillità, e terminata la ricerca in biblioteca – per la quale ringrazio la gentilissima bibliotecaria, che dopo esserci sentite al telefono giorni prima aveva già preparato ciò che mi serviva per darmelo quando sarei arrivata – mi sono diretta al vicino Castello di Mazzè, che sapevo essere chiuso perché privato e in parte abitato, e quindi visibile solo esternamente.

La Torre del Diavolo e la Cappella del Diavolo - Castello di Mazzè

Mi piacerebbe davvero molto visitarlo, ma apre soltanto quattro volte l’anno e occorre addirittura la prenotazione, per cui sapevo di dover rinunciare. Ciò nonostante, ho percorso il suo perimetro esterno e ho potuto vedere ciò che mi interessava, la Cappella del Diavolo del XVIII secolo, con l’affresco di San Michele che uccide il Diavolo, e l’inquietante torretta che sorge proprio accanto alla cappella, forse denominata per questo motivo Torre del Diavolo. Costruita nei primi del 1900 dal conte Eugenio, della famiglia dei conti Brunetta D’Usseaux, è in marcato stile gotico, e ammetto di aver immaginato di veder apparire oltre le sue finestrelle appuntite il pallido volto del conte Dracula.

 La Cappella del Diavolo o Cappella di San Michele 

San Michele che uccide il Diavolo

Mi è rimasta la curiosità, forse ancora più accentuata di prima, di vedere l’interno del castello vecchio, perché ho letto che sono visitabili i sotterranei con le prigioni, la sala delle torture, e alcuni reperti archeologici custoditi in queste stanze. Per questo spero di poterlo visitare in occasione di una delle sue rare aperture.

Mentre il cielo si rannuvolava sempre di più e si cominciava a sentire nell’aria il profumo di pioggia, ho ripreso la macchina e mi sono spostata a pochi minuti da Mazzè, nel paesino di Caluso.
Caluso è infatti il luogo a cui appartiene per eccellenza la leggenda della ninfa Albaluce, e ci tenevo a vedere dal vivo l’unica sua raffigurazione, un murale dipinto nel 2012 dalla giovane Martina Colombo. Grazie ad esso, la piazzetta che lo ospita ne ha preso il nome ed è stata chiamata Piazza della Ninfa Albaluce.

La Ninfa Albaluce, dipinta da Martina Colombo - Caluso

Avevo accennato alla splendida ninfa acquatica Albaluce pochi mesi fa, in pieno inverno, e avevo in programma di andare a vederne il murale non appena fosse arrivata la primavera, che sento come emanazione stessa della sua essenza luminosa: l’alba e il ritorno della luce che fa crescere le viti e maturare i succosi grappoli della sua uva.

Dopo essermi rifocillata con un buon caffè macchiato nel centro di Caluso sono risalita in macchina e ho ripreso la via di casa, mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere e la terra secca e bisognosa di umidità si preparava, finalmente, ad essere dissetata.
Tornerò a breve da quelle parti per vedere alcuni scorci che non sono riuscita a vedere la scorsa volta, per ripercorrere certi posti che avevo visitato alcuni anni fa nella vicina Candia Canavese, e quindi per completare l’itinerario di questo viaggio. Spero anche di poter visitare il Castello, non appena sarà aperto, per immergermi finalmente nei suoi antichi e misteriosi segreti.

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Questa breve gita è solo una piccola parte della ricerca che sto svolgendo su alcune leggende del territorio canavesano. Il resto del “viaggio” non si sposta da qui, poiché si svolge fra le pagine ingiallite dei preziosi libri che sono riuscita a portare a casa in copia e fotografie. Eppure proprio questa caratteristica di viaggio mi ha dato tanto, ed è questo il motivo principale per cui ho voluto annotarlo. Sento molto mia questa tipologia di spostamento, ovvero la ricerca di storie e documenti nelle vecchie biblioteche polverose di qualche paesino sperduto, che potrebbe essere qui a un’ora di strada oppure molto più lontano, in qualche storica biblioteca scozzese o inglese…
Per tanto tempo ho sognato di approdare a quelle terre e toccare con mano libri sui temi che più amo, e sono certa che quando riuscirò a compiere quel passo alcuni dei luoghi nei quali mi perderò saranno proprio le biblioteche…
Questi per me sono i viaggi nei viaggi, quei viaggi in cui lo spostamento in un certo luogo non è che una piccola parte del viaggio stesso, poiché proseguono poi all’infinito attraverso le pagine dei libri che in quel luogo sono conservati da tempo immemore, e che raccontano di altri luoghi ancora, di altre storie, di altri viaggi.
E così con un solo viaggio se ne compiono molti… e se poi lo si racconta, si accompagnano anche coloro che leggono a toccare le stesse sponde, ad ascoltare le stesse storie, a compiere gli stessi viaggi… senza spostarsi di un passo da casa.

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Approfondimento sul Megalite di Mazzè

La stele di roccia gneiss è stata trovata nel marzo del 1988, in occasione di uno degli svasamenti del bacino della Dora Baltea, vicino alla diga di Mazzè. Era inserito insieme a varie pietre di rafforzamento della sponda destra del fiume, e nel corso degli anni molte persone avevano già avuto modo di intravederlo sotto la chiara superficie delle acque.
La stele venne quindi rimossa e studiata, venne approssimativamente datata, e poi venne eretta nella piazzetta del centro di Mazzè.

Il megalite di Mazzè

Non si conosce il suo scopo, anche se si pensa che fosse un monumento funerario. Le cose interessanti sono tre: l’ipotesi della sua originaria ubicazione, sulla cima di un’altura di Mazzè, chiamata Bicocca – in questo caso la stele si ergeva in alto, ben visibile da ogni angolo del territorio; la possibilità che si trattasse di una tomba di una personalità importante per l’epoca in cui venne eretta, oppure il simbolo litico intorno al quale si svolgevano rituali e feste sacre; e la presenza di piccole coppelle e striature lungo la sua superficie. Non solo, il megalite di Mazzè è uno dei tre ritrovati a poca distanza l’uno dall’altro: il secondo si trova nel paesino di Lugnacco, e il terzo a Chivasso. Tre megaliti praticamente identici – quello di Mazzè è il più alto, ma la forma è simile per tutti e tre, e questo suggerisce che anche la loro funzione doveva essere la stessa. Un triangolo sacro, quindi, i cui tre vertici erano segnati da tre pietre alte circa quattro metri, e probabilmente poste su alture.

Una delle piccole coppelle visibile sulla superficie della stele

Possibile che fossero tutti e tre monumenti funerari? Se li si considera singolarmente probabilmente sì, ma presi nel loro insieme potrebbero indicare qualcosa di diverso, potrebbero aver avuto uno scopo diverso ed essere stati dunque legati a particolari rituali, oppure potrebbero essere stati posti nei loro rispettivi punti per indicare caratteristiche sacre del territorio stesso, come convergenze di linee energetiche sotterranee. Una particolarità non unica nelle terre canavesane che di certo merita ulteriori studi e riflessioni.

Testo, ricerca e fotografie di Laura Violet Rimola. Nessuna parte di questi testi può essere citata o utilizzata in alcun modo senza il permesso dell'autrice.