Ho nutrito questo piccolo sogno per anni. Certo, lo immaginavo in qualche landa boscosa della Svezia, su di un lago immenso circondato dalle conifere, ma nel suo piccolo è comunque un sogno che si è avverato. Pattinare su un vero lago ghiacciato, circondato dal bosco e dalla neve. Quale sorpresa quando, un anno fa, ho scoperto che sarebbe stato possibile, peraltro in un paesino che già amavo. Avrei solo dovuto aspettare un anno, perché le temperature dello scorso febbraio non erano abbastanza basse e il lago aveva cominciato a sciogliersi prima del tempo. Di pazienza ne ho tanta, e negli anni ho imparato ad aspettare il momento giusto. Molti ne ho persi, qualcuno l’ho colto. Come questa volta.
A Gressoney Saint Jean, nella mia amata Valle del Lys, c’è infatti il piccolo lago artificiale di Gover. In estate ha colori caldi e brillanti, in inverno è una fiaba invernale. La sua acqua si ghiaccia completamente e in profondità, così è possibile pattinare, affittando i pattini accanto al bar, proprio di fronte, oppure usando i propri. I miei erano rimasti chiusi in un cassetto per più di venticinque anni, e anche se la loro pelle si è indurita, e l’imbottitura si è disintegrata, sono ancora degli ottimi pattini da ghiaccio. Li avevo ricevuti in regalo, uno dei più belli e desiderati, a Natale di tanti anni fa. Avevo fatto in tempo a usarli per poco, perché l’anno dopo il palaghiaccio vicino a casa mia non ha più riaperto. Un colpo al cuore per me, che ci avevo passato così tanti sabati della mia giovinezza. Ed essendo praticamente cresciuta su una vera pista di ghiaccio, anche solo pensare di entrare su una di quelle sedicenti “piste di pattinaggio” cittadino – in realtà degli improponibili rettangolini di ghiaccio grattato – insieme a un mucchio di gente che gira in tondo e cade a caso, è una vera offesa.
Anni fa una ragazza svedese mi aveva raccontato che là, in Svezia, i laghi si ghiacciano completamente, e lei era solita pattinare su queste distese bianchissime, solitaria, in un silenzio quasi irreale interrotto solo dal frusciare della neve che dai rami delle conifere cadeva sul ghiaccio. Avevo desiderato tanto di vivere un sogno simile, e anche se non è stato esattamente la stessa cosa, è stato un buon compromesso.
Arrivata quindi a Gressoney Saint Jean con il mio compagno di viaggio, e raggiunto il laghetto Gover, ho indossato – con gran fatica – quei vecchi pattini bianchi, e ho tentato di arrivare alla pista, accorgendomi che lì non c’era l’ombra di un bordo o di una recinzione che permettesse, quanto meno, di riprendere confidenza col ghiaccio. Mi sarei dovuta buttare… e mi ha colta il terrore. Sono rimasta aggrappata alla scaletta per diverso tempo, pensando di tornare indietro. Sono tornata indietro, poi mi sono opposta alla rinuncia e sono tornata ad aggrapparmi alla scaletta.
L’aria era gelida e non c’era vento, ma ad un certo punto una forte ventata mi ha letteralmente spinta da dietro verso la pista. Mi sono aggrappata più forte, e il vento ha spinto ancora. Per come l’ho sentito io, sembrava davvero che stesse dicendo Vai, coraggio. Sei arrivata fino a qui, adesso supera la paura e vai avanti.
Così sono andata. E ho scoperto subito che anche se avevo avuto paura, il mio corpo ricordava.
Non ci ho messo molto a riprendere confidenza, scoprendo tuttavia che i veri laghi ghiacciati non hanno la superficie liscia e omogenea a cui mi ero abituata, ci sono punti in cui l’acqua si è increspata e ha ghiacciato così, punti ruvidi e punti lisci e scivolosi come specchi – i miei preferiti – per cui bisogna fare attenzione. Il mio punto preferito era vicino al ponticello, col bosco ombroso dietro. Da lì potevo anche prendere velocità – per quanto possibile – e sentire l’emozione del volo. Un volo sul ghiaccio, pura gioia.
Quando il responsabile dei pattini a noleggio ha annunciato l’orario di chiusura, e tutti si sono diretti a riconsegnare i pattini, io sono rimasta ancora un po’. Avrei potuto restare quanto volevo, il lago è sempre accessibile e non avevo nulla da restituire. Ho benedetto ancora i miei pattini. Ho pensato a quanto sarebbe stato bello e magico pattinare lì quella sera, da sola, con la luna piena. E anche se non mi sono fermata così a lungo, so che posso farlo.
Un nuovo, piccolo sogno, che nasce dal primo e va oltre.
Un volo sul ghiaccio, di notte, con la luna piena.
Presto… chissà.
Lasciato a malincuore il laghetto Gover, con la promessa di tornarci, io e il mio compagno di viaggio – che aveva preferito evitare cadute e ha scattato tante belle fotografie – siamo andati nel centro di Gressoney. Piccolo, raccolto e perfetto, con un albero di Natale splendido, le casette di pietra e legno, le lucine, la neve. La montagna come piace a me.
Lì ci aspettava la pasticceria Lyskamm – dal nome della sorgente che dà origine al torrente Lys – dove ci siamo scaldati davanti a un tè speziato, una cioccolata con panna artigianale, una crostatina alla crema di limone, una fetta di torta di mele e un dolcetto di frolla sottile ripieno di mele. Tutto squisito! Al negozietto accanto ho poi acquistato una bella tazza, color verde salvia con impressi i fiocchi di neve bianchi. Un bel ricordo del posto e delle emozioni che mi ha donato.
Sapevo che poco più su di Gressoney Saint Jean, a Gressoney La Trinité, c’erano i mercatini di Natale, e anche se ormai era un po’ tardi e di sicuro stavano chiudendo, abbiamo comunque fatto un giretto lassù. Appena scesi dalla macchina ci ha accolto una luna piena lucentissima. Talmente lucente da essere quasi accecante. Illuminava le strisce di neve sulla alta parete verticale della montagna accanto, e rendeva tutto ancora più magico e sospeso.
Ci siamo diretti alla piazzetta, dove c’erano ancora i fuochi accesi nei grandi bracieri di ferro, e qualche bancarella aperta.
Il freddo era davvero intenso, così dopo poco tempo ci siamo infilati nuovamente al bel locale che dà sulla piazza, io con un nuovo tè bollente a scaldarmi le mani e la pancia, lui con un bombardino caldo squisito.
La prima parte del ritorno a casa è stata una fiaba. Avrei voluto fermarmi ogni minuto davanti al paesaggio innevato rischiarato dalla luna, e alle casette dalle cui finestrelle illuminate da calde luci si intravvedevano gli alberi di Natale.
Questa per me è la vera montagna, il vero inverno, il vero Natale, ho pensato. Ho lasciato lì un pezzetto di cuore e non vedo l’ora di tornare.
Del resto, adesso ho un nuovo sogno da realizzare, al laghetto Gover.
E ho promesso che non lo avrei fatto aspettare troppo.
***
ALBUM FOTOGRAFICI
Lago Gover
Gressoney Saint Jean e Gressoney La Trinité
Naturalmente non c’era giorno migliore per dimenticare a casa la macchina fotografica. Le foto sono un po’ quello che sono, scattate col mio cellulare che sta tirando le cuoia. Lì ho deciso che, prima di rimanere senza, era giunto il momento di acquistarne uno nuovo, approfittando di una fortunata occasione. Ora sono curiosa di vedere come saranno le prossime fotografie.
***
Note di Viaggio:
Per arrivare a Gressoney Saint Jean bisogna prendere la strada che da Pont Saint Martin, all’ingresso della Valle d’Aosta, porta nella Valle del Lys. Il Lago Gover è facilmente raggiungibile a piedi da uno dei parcheggi vicini al centro di Gressoney Saint Jean. Sul lago è possibile pattinare, considerando tuttavia gli aumenti della temperatura, a partire dagli inizi di dicembre agli inizi di marzo. Il noleggio dei pattini costa 10 euro e vanno riconsegnati entro le 17:00.
domenica 15 dicembre 2024
mercoledì 11 dicembre 2024
Selva di Cravagliana e la Stria del Mulinet
La voglia di compiere questo breve viaggio nella Val Mastallone è nata immediatamente dopo esserci stata la prima volta, alcuni giorni fa. Nel seguire il filo delle ricerche ero infatti incappata in una leggenda, nota come La Stria del Mulinet, che mi ha riportato alla memoria le molte altre simili, lette in più occasioni e provenienti da varie parti d’Europa. Leggende delle misteriose e spesso sconcertanti visite di una strega, o di una vecchia che ben conosce l’arte della filatura, nella casa isolata di qualche donna, che per motivi ignoti ha attirato su di sé l’attenzione del mondo altro. Aver scoperto questa storia in prossimità del solstizio d’inverno, quando secondo la tradizione proprio questo genere di visite – compiute dalla divina Berchta, la Signora di tutte le Filatrici – è molto più frequente e fatidico, è stato per me emozionante e mi ha dato un moto di profonda gioia.
In effetti, il luogo in cui è ambientata la leggenda non è raggiungibile. Si tratta di una minuscola località, chiamata Mulinetto o Molinetto, che si trova fronte alla frazione Selva di Cravagliana, e che ad oggi è una proprietà privata che comprende solo un paio di case abitate. Per questo mi sono diretta a Selva, se non altro mi sarei potuta fare un’idea del posto e del suo paesaggio.
La giornata non era delle migliori, sia io che il mio compagno di viaggio non eravamo in forma, così abbiamo invertito le tappe e ci siamo rintanati subito alla Locanda del Cacciatore, nel carinissimo paesino di Cravagliana, per bere un tè bollente prima di avviarci verso Selva. Ci ha fatto bene, e oltretutto abbiamo ritrovato i Biscutin dal Strii di Fobello, che sono stati ottimi insieme al tè e ci hanno aiutato a rimetterci in sesto – ho amato da morire i Muns al latte di montagna, credo che al momento siano i miei preferiti.
Come speravo, ho avuto modo di chiacchierare con la proprietaria della locanda, che aveva sentito parlare della leggenda e mi ha aiutata a capire alcune delle frasi in dialetto valsesiano che contiene.
È stato un momento molto piacevole, per cui sicuramente, quando ripasserò da quelle parti, tornerò alla locanda a salutare la gentile signora e a prendere un altro delizioso tè caldo con i biscottini della strega.
Lasciata la Locanda del Cacciatore, siamo quindi tornati verso Selva e, parcheggiata la macchina a lato della strada, ci siamo avviati verso la minuscola frazione, raggiungibile solo a piedi. In realtà è molto vicina, per arrivarci occorre solo attraversare un ponte di legno e ferro e salire alcuni gradoni di pietra. Nel farlo, ho ripensato a ciò che avevo letto, e che la signora della locanda aveva confermato, ovvero che Selva non viene mai toccata dal sole, dagli inizi di novembre ai primi di febbraio, per precisione al giorno della Candelora. Solo allora un raggio di sole la sfiora, e comincia a illuminarla, ogni giorno di più, fino al novembre successivo, quando ritorna nella sua irremovibile ombra.
A Selva, tuttavia, ciò che ha attirato la mia attenzione e mi ha condotta in quello stato di sospensione incantata che tanto amo, non sono state le poche case deserte e spoglie, ma il torrente Mastallone, che scorre sotto al ponte.
Per questo, dopo aver perlustrato un pochino i dintorni, sono tornata sul ponte e lì sono rimasta.
L’acqua scorreva bassa fra le distese di sassi asciutti, e dalla poca neve rimasta esalava una foschia bianco-azzurra, quasi luminosa, che lambiva il letto del torrente e si confondeva con le montagne velate. La nebbiolina che sale dalla neve è una delle manifestazioni naturali che amo di più. Mi sono persa a guardarla, mentre si faceva sempre più bianca, e le montagne da azzurre diventavano blu.
Mi riconosco in quella foschia, ho pensato, nella sua sostanza impalpabile, nei suoi colori azzurrini, nel suo muoversi sospesa, fra la terra, l’acqua e il cielo.
Il tempo si è dilatato in quell’attimo. Ho raccolto il mio momento magico, e sono tornata in me. Solo allora sono stata pronta a lasciare il ponte.
Dietro di me, la luna coperta dalle nuvole si è mostrata per un attimo. Un alone di luce al suo apice e un raggio delicato, a indicare la via di casa.
E la Stria del Mulinet? Chissà dove si è nascosta, non sono certa di averlo capito. Ma porto con me questo nuovo volo nella bellezza. E una leggenda che, adesso, ha anche il volto del luogo in cui è nata.
Anche questa volta, sono partita per cercare qualcosa, senza sapere esattamente cosa, e non l’ho trovato. Ma ciò che ho trovato è un riflesso di bellezza nel quale mi sono persa e poi ritrovata.
Del resto, anche se spesso mi inganno nel credere di cercare qualcosa di altro e di diverso, ciò che cerco veramente non è che questo. Il mio momento magico, nel quale volare e del quale, una volta tornata a casa, continuare a sognare.
***
ALBUM FOTOGRAFICO
***
Di seguito riporto, così come l’ho trovata, la leggenda della Stria del Mulinet. La storia è stata raccolta da fonti orali a Brugaro di Cravagliana nel febbraio 1982. La versione che riporto è stata condivisa da Gianmarco Regaldi. (1)
La Stria del Mulinet
Al Mulinet di Cravagliana viveva una giovane coppia che, per via della posizione isolata, trascorreva le serate di veglia in solitudine: lui a spaccare le noci, lei a filare la canapa.
Durante una di queste serate, una sconosciuta entrò in casa e si sedette sulla panca, restando in silenzio senza rispondere ai saluti e alle domande dei due giovani.
Queste visite misteriose si fecero quotidiane: la donna entrava e si sedeva sulla panca, senza dire nulla.
Una sera mentre la giovane donna era sola in casa a preparare il buiet – una polenta “liquida” con burro – la sconosciuta entrò in casa saltando e cantando a squarciagola:
“Viva la stria del mulinet,
la piss’n terra, la fa buiet.
Rüga rüga con an dì… tasta tasta slè saurì.” (2)
L’uomo e la donna, stupiti, per conforto si dissero che probabilmente quella donna era una pazza vagabonda che gironzolava per i paesi.
Ma le visite continuarono e per questo i giovani sposi iniziarono ad essere inquieti. Siccome la donna misteriosa interagiva solo quando la moglie era sola, decisero di ingannarla: il marito si vestì da donna e si mise a filare con la rocca ed il fuso, mentre lei andò a nascondersi nella camera.
La donna entrò, si sedette sulla panca ed iniziò ad osservare l’uomo goffo e impacciato.
Dopo un po’ disse:
“La fumna da ier sèi, fusi filava, fusi ‘distava. La fumna da stasèi, ‘cinga’ e ‘barcigna’ ma gnanca’n fuso ‘dispigna.” (3)
Si era accorta dell’inganno e si prendeva gioco dell’uomo, che reagì meditando un’altra vendetta.
La sera successiva fecero scaldare il ferro delle miacce e lo appoggiò rovente sulla panca dove solitamente la donna si sedeva.
La donna misteriosa arrivò, entrò e si sedette sulla panca… in un attimo balzò in piedi e scappò fuori dall’uscio urlando dal dolore: “Povra me dal me badess!”.
Ciò nonostante le visite della misteriosa donna proseguirono. I giovani sposi salirono a Brugaro per chiedere consiglio agli altri abitanti. Qui una comare, più astuta delle altre, gli bisbigliò nell’orecchio come fare.
Aspettarono il tramonto con impazienza. La donna entrò e si sedette sulla panca. L’uomo, nascondendo a fatica la sua agitazione, accese la pipa e uscì.
Ad un tratto lui urlò: “Le tombe bruciano! Le tombe bruciano!”.
“E la mia?”, chiese la sconosciuta.
“La tua brucia più di tutte le altre!”, rispose l’uomo.
Allora si udì un gran boato e la donna si avvolse di fiamme e scomparve: Era un pacalacc! Un demonio!
Da quel giorno più nessuno vide la donna misteriosa, che tutti iniziarono a chiamare La Stria del Mulinet.”
***
Note:
1. La leggenda è riportata da Gianmarco Regaldi nel gruppo privato Val Mastallone
2. La frase in dialetto valsesiano si traduce così: Viva la strega del molinetto / Piscia per terra, fa la buiet – la polenta / Gira gira con un dito… assaggia assaggia se è saporito.
3.La frase si può tradurre approssimativamente così: La donna di ieri sera, fusi filava, fusi riempiva. La donna di stasera, sbatte le palpebre – ovvero aguzza la vista, si concentra – ma non riempie neanche un fuso.
La Stria del Mulinet, come le altre entità simili, tutte riconducibili alla divina Signora della Filatura della tradizione più antica, osserva infatti la filatura della donna e quella dell’uomo. Le distingue chiaramente e le giudica per quello che sono. L’una abile e sapiente, l’altra goffa e inconcludente. Nulla può ingannare colei che di fusi e filatoi conosce ogni segreto.
***
Testo di Laura Rimola. Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.
In effetti, il luogo in cui è ambientata la leggenda non è raggiungibile. Si tratta di una minuscola località, chiamata Mulinetto o Molinetto, che si trova fronte alla frazione Selva di Cravagliana, e che ad oggi è una proprietà privata che comprende solo un paio di case abitate. Per questo mi sono diretta a Selva, se non altro mi sarei potuta fare un’idea del posto e del suo paesaggio.
La giornata non era delle migliori, sia io che il mio compagno di viaggio non eravamo in forma, così abbiamo invertito le tappe e ci siamo rintanati subito alla Locanda del Cacciatore, nel carinissimo paesino di Cravagliana, per bere un tè bollente prima di avviarci verso Selva. Ci ha fatto bene, e oltretutto abbiamo ritrovato i Biscutin dal Strii di Fobello, che sono stati ottimi insieme al tè e ci hanno aiutato a rimetterci in sesto – ho amato da morire i Muns al latte di montagna, credo che al momento siano i miei preferiti.
Come speravo, ho avuto modo di chiacchierare con la proprietaria della locanda, che aveva sentito parlare della leggenda e mi ha aiutata a capire alcune delle frasi in dialetto valsesiano che contiene.
È stato un momento molto piacevole, per cui sicuramente, quando ripasserò da quelle parti, tornerò alla locanda a salutare la gentile signora e a prendere un altro delizioso tè caldo con i biscottini della strega.
Lasciata la Locanda del Cacciatore, siamo quindi tornati verso Selva e, parcheggiata la macchina a lato della strada, ci siamo avviati verso la minuscola frazione, raggiungibile solo a piedi. In realtà è molto vicina, per arrivarci occorre solo attraversare un ponte di legno e ferro e salire alcuni gradoni di pietra. Nel farlo, ho ripensato a ciò che avevo letto, e che la signora della locanda aveva confermato, ovvero che Selva non viene mai toccata dal sole, dagli inizi di novembre ai primi di febbraio, per precisione al giorno della Candelora. Solo allora un raggio di sole la sfiora, e comincia a illuminarla, ogni giorno di più, fino al novembre successivo, quando ritorna nella sua irremovibile ombra.
A Selva, tuttavia, ciò che ha attirato la mia attenzione e mi ha condotta in quello stato di sospensione incantata che tanto amo, non sono state le poche case deserte e spoglie, ma il torrente Mastallone, che scorre sotto al ponte.
Per questo, dopo aver perlustrato un pochino i dintorni, sono tornata sul ponte e lì sono rimasta.
L’acqua scorreva bassa fra le distese di sassi asciutti, e dalla poca neve rimasta esalava una foschia bianco-azzurra, quasi luminosa, che lambiva il letto del torrente e si confondeva con le montagne velate. La nebbiolina che sale dalla neve è una delle manifestazioni naturali che amo di più. Mi sono persa a guardarla, mentre si faceva sempre più bianca, e le montagne da azzurre diventavano blu.
Mi riconosco in quella foschia, ho pensato, nella sua sostanza impalpabile, nei suoi colori azzurrini, nel suo muoversi sospesa, fra la terra, l’acqua e il cielo.
Il tempo si è dilatato in quell’attimo. Ho raccolto il mio momento magico, e sono tornata in me. Solo allora sono stata pronta a lasciare il ponte.
Dietro di me, la luna coperta dalle nuvole si è mostrata per un attimo. Un alone di luce al suo apice e un raggio delicato, a indicare la via di casa.
E la Stria del Mulinet? Chissà dove si è nascosta, non sono certa di averlo capito. Ma porto con me questo nuovo volo nella bellezza. E una leggenda che, adesso, ha anche il volto del luogo in cui è nata.
Anche questa volta, sono partita per cercare qualcosa, senza sapere esattamente cosa, e non l’ho trovato. Ma ciò che ho trovato è un riflesso di bellezza nel quale mi sono persa e poi ritrovata.
Del resto, anche se spesso mi inganno nel credere di cercare qualcosa di altro e di diverso, ciò che cerco veramente non è che questo. Il mio momento magico, nel quale volare e del quale, una volta tornata a casa, continuare a sognare.
***
ALBUM FOTOGRAFICO
***
Di seguito riporto, così come l’ho trovata, la leggenda della Stria del Mulinet. La storia è stata raccolta da fonti orali a Brugaro di Cravagliana nel febbraio 1982. La versione che riporto è stata condivisa da Gianmarco Regaldi. (1)
La Stria del Mulinet
Al Mulinet di Cravagliana viveva una giovane coppia che, per via della posizione isolata, trascorreva le serate di veglia in solitudine: lui a spaccare le noci, lei a filare la canapa.
Durante una di queste serate, una sconosciuta entrò in casa e si sedette sulla panca, restando in silenzio senza rispondere ai saluti e alle domande dei due giovani.
Queste visite misteriose si fecero quotidiane: la donna entrava e si sedeva sulla panca, senza dire nulla.
Una sera mentre la giovane donna era sola in casa a preparare il buiet – una polenta “liquida” con burro – la sconosciuta entrò in casa saltando e cantando a squarciagola:
“Viva la stria del mulinet,
la piss’n terra, la fa buiet.
Rüga rüga con an dì… tasta tasta slè saurì.” (2)
L’uomo e la donna, stupiti, per conforto si dissero che probabilmente quella donna era una pazza vagabonda che gironzolava per i paesi.
Ma le visite continuarono e per questo i giovani sposi iniziarono ad essere inquieti. Siccome la donna misteriosa interagiva solo quando la moglie era sola, decisero di ingannarla: il marito si vestì da donna e si mise a filare con la rocca ed il fuso, mentre lei andò a nascondersi nella camera.
La donna entrò, si sedette sulla panca ed iniziò ad osservare l’uomo goffo e impacciato.
Dopo un po’ disse:
“La fumna da ier sèi, fusi filava, fusi ‘distava. La fumna da stasèi, ‘cinga’ e ‘barcigna’ ma gnanca’n fuso ‘dispigna.” (3)
Si era accorta dell’inganno e si prendeva gioco dell’uomo, che reagì meditando un’altra vendetta.
La sera successiva fecero scaldare il ferro delle miacce e lo appoggiò rovente sulla panca dove solitamente la donna si sedeva.
La donna misteriosa arrivò, entrò e si sedette sulla panca… in un attimo balzò in piedi e scappò fuori dall’uscio urlando dal dolore: “Povra me dal me badess!”.
Ciò nonostante le visite della misteriosa donna proseguirono. I giovani sposi salirono a Brugaro per chiedere consiglio agli altri abitanti. Qui una comare, più astuta delle altre, gli bisbigliò nell’orecchio come fare.
Aspettarono il tramonto con impazienza. La donna entrò e si sedette sulla panca. L’uomo, nascondendo a fatica la sua agitazione, accese la pipa e uscì.
Ad un tratto lui urlò: “Le tombe bruciano! Le tombe bruciano!”.
“E la mia?”, chiese la sconosciuta.
“La tua brucia più di tutte le altre!”, rispose l’uomo.
Allora si udì un gran boato e la donna si avvolse di fiamme e scomparve: Era un pacalacc! Un demonio!
Da quel giorno più nessuno vide la donna misteriosa, che tutti iniziarono a chiamare La Stria del Mulinet.”
***
Note:
1. La leggenda è riportata da Gianmarco Regaldi nel gruppo privato Val Mastallone
2. La frase in dialetto valsesiano si traduce così: Viva la strega del molinetto / Piscia per terra, fa la buiet – la polenta / Gira gira con un dito… assaggia assaggia se è saporito.
3.La frase si può tradurre approssimativamente così: La donna di ieri sera, fusi filava, fusi riempiva. La donna di stasera, sbatte le palpebre – ovvero aguzza la vista, si concentra – ma non riempie neanche un fuso.
La Stria del Mulinet, come le altre entità simili, tutte riconducibili alla divina Signora della Filatura della tradizione più antica, osserva infatti la filatura della donna e quella dell’uomo. Le distingue chiaramente e le giudica per quello che sono. L’una abile e sapiente, l’altra goffa e inconcludente. Nulla può ingannare colei che di fusi e filatoi conosce ogni segreto.
***
Testo di Laura Rimola. Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.
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mercoledì 4 dicembre 2024
Alta Val Mastallone. Il Ponte della Gula e Fobello
Certe ispirazioni arrivano e basta, in modo inaspettato, suscitate talvolta da una curiosità inattesa a guardare dove non si voleva guardare più. Arrivano, e chiamano, e chiedono che quelle stesse vie siano ripercorse, in modo diverso, perché hanno qualcosa da dire e qualcosa da dare. E dopo aver dato tanto, volente o nolente che fossi, prendere qualcosa per me penso sia un diritto indiscusso.
Pertanto, ho colto l’ispirazione e sono andata a incontrare un luogo che, per quanto ancora inesplorato nei suoi sentieri più nascosti e impervi, mi ha trasmesso qualcosa di potente.
Il paesino che ho incontrato ieri, insieme al mio entusiasta compagno di viaggio, è Fobello, nella Alta Val Mastallone, e fa parte di una zona della quale sto cercando di tracciare una mappa magica fatta di luoghi speciali nei quali trovare dei piccoli punti di riferimento e una magia che, per quanto antica, risuoni con me qui e ora.
Pochi giorni prima di fare questo breve viaggio avevo avuto una piacevole conversazione con Roberto Gremmo – autore del libro Valsesia magica e misteriosa, e dei numerosi articoli disponibili online – con cui sono in sporadico contatto da tempo, il quale mi ha dato alcuni preziosi consigli, nonché tappe da aggiungere alle mie esplorazioni sul posto e in altre zone valsesiane. Sono pertanto partita sicura che avrei trovato ciò che cercavo.
La prima tappa lungo la via che attraversa la Val Mastallone era un posto particolare che desideravo vedere da molti anni, l’inquietante Ponte della Gula, che si erge un po’ storto su una gola profondissima, l’Orrido della Gula. Lo si credeva di epoca romana, ma pare sia successivo, come indica la data 721 incisa su uno dei suoi massi. Sotto di lui scorre il torrente Mastallone, stretto e sinuoso in questo punto, con le sue acque dall’intenso colore blu-smeraldo. Non soffro di vertigini, ma affacciarmi da quell’altezza mi ha turbata, e mi ha ricordato la triste fama del luogo, scelto da diverse persone per porre fine alla loro vita in un ultimo, vertiginoso salto nel vuoto.
Il Ponte della Gula per molto tempo è stato l’unico punto di collegamento con l’Alta Val Mastallone. Un bel coraggio percorrerlo per poi arrampicarsi dall’altra parte. E a me, che ero arrivata con la ferrea convinzione di attraversarlo, è bastato salire sui primi gradoni di pietra che portavano al suo arco “a schiena di mulo”, con la muratura laterale che a stento arrivava alle ginocchia, per decidere che preferivo vivere e che, dopotutto, la veduta da lì non valeva il rischio.
Percorrere un vecchio ponte è una delle cose che desidero sempre fare durante il periodo autunnale, uno dei miei gesti magico-simbolici che richiamano il passaggio fra il mondo comune e quello invisibile. Nel mondo invisibile però rischiavo di arrivarci per via diretta, per cui niente Ponte della Gula. Mi sono accontentata di scattare qualche fotografia, respirando l’aria gelida che proveniva dalle sue profondità.
Le sue leggende sono raccolte in una breve ricerca a fondo pagina.
Ripresa la via che percorre la Val Mastallone verso le sue altezze, attraversando la bella Cravagliana, immersi in un paesaggio gelido e ghiacciato, ci siamo incantati davanti alle spolverate di neve sui massi che emergevano dal torrente, oltre che ai punti perennemente in ombra in cui la brina avvolgeva in delicati ricami i rami, le foglie, gli aghi delle conifere.
Arrivati al paesino di Fobello, dopo una prima breve passeggiata, ci siamo recati nel posto che tanto desideravo conoscere. Una piccolissima e calorosa bottega di biscotti. Qui vengono prodotti e venduti I Biscutin dal Strii, i Biscottini della Strega. Il loro profumo delizioso mi ha inebriata non appena ho aperto la porta.
La proprietaria, Anna Maria, è stata gentilissima, abbiamo chiacchierato piacevolmente e poi, per aiutarmi a scegliere i suoi biscotti, ne ha descritto le diverse qualità, una per una. Li avrei comprati tutti, e poco ci è mancato – per cui ci tornerò per provare quelli che ancora non ho assaggiato – e sono uno più squisito dell’altro. Sono preparati con farine speciali e prodotti del posto, come il latte del Caseificio Alta Valsesia di Piode, il miele millefiori della Val Mastallone, le nocciole di Piemonte IGP e altri ingredienti di ottima qualità, oltre che spezie e cacao.
Fra le numerose produzioni, ho scelto i Rovi dal Carrett, o Ruote del Carretto, i Tenc al cacao amaro del Madagascar, i Biscotti di Gaudenzio alle spezie, i Buscaii alle nocciole, i Robi Buni, tipici biscotti Palet Breton con il fleur de sel della Camargue e le mandorle di Sicilia, i Falispi alle noci, e poi una fetta di torta-biscotto scozzese e la tortina Polenta e Mirtilli.
Ho amato trascorrere ogni minuto in quel posto, nel quale ho provato sensazioni ed emozioni passate di cui ho molta nostalgia.
Ho raccolto uno dei pieghevoli, dove sono elencati tutti i tipi di Biscutin dal Strii, e sull’ultima pagina, accanto a una bellissima campanula azzurra, è riportata la storia come segue:
Al Strii
Nel cuore del Parco Naturale dell’Alta Val Mastallone, c’è una stradina nel fitto del bosco che da Cervatto porta alla Frazione Torno. Arrivati dove il faggeto si fa più buio, esiste un luogo, nascosto alla vista dei passanti, chiamato “Al Pianel dal Strii”.
Io, da bambina, pensavo che le streghe all’imbrunire, dopo il suono dell’Ave Maria, spostandosi in volo, si riunissero là, su quel pianoro, per operare nell’oscurità i loro sortilegi.
Non potrei dire se Anna Maria sia una strega, forse sì. Chi mi ha incoraggiata ad andare a conoscerla l’ha definita una fata. Di certo ha creato tante squisitezze, in onore alle streghe del posto, nelle quali, non si può negarlo, è presente un pizzico di magia.
Poco prima di salutarla, le ho chiesto del Pianel dal Strii, che sapevo si nascondesse da qualche parte, nel bosco dietro il cimitero, e lei è stata così gentile da regalarmi una cartina di Fobello, indicando col dito un punto preciso. “Adesso però c’è la neve…”, ha detto, intendendo che non era il momento di andarci, perché troppo pericoloso. Il suo tono apprensivo è stato una sorta di consiglio materno che ho colto con gratitudine.
Non so se, quando sarà il momento, percorrerò quella strada. Probabilmente non lo farò. Ma quando e se sarà, ascolterò ciò che sussurra nello stormire delle foglie, incontrerò gli sguardi incisi nella corteccia degli alberi, seguirò la via indicata dai loro rami scheletrici, e forse, riuscirò a sentire.
Oppure rispetterò il silenzio, tornerò sui miei passi, e proseguirò altrove.
Uscita a malincuore dalla bottega dei Biscutin dal Strii, mi sono diretta con passo sicuro verso il cimitero. Non avrei percorso i boschi impervi e ghiacciati, ma li avrei osservati da lontano. Dal basso, dalle radici.
Il cimitero di Fobello è molto particolare, disposto a semicerchio attorno a una cappella spoglia, oscura e un po’ tetra. Una signora gentile proveniva da lì, probabilmente aveva cambiato i fiori a qualcuno. “Si gela”, mi ha detto sorridendo, mentre cercavo goffamente di infilarmi i guanti. Poi, mentre usciva dal cancello, senza voltarsi ha aggiunto: “Il freddo è arrivato”. Non ho potuto che concordare con lei, il freddo era senza dubbio arrivato.
Ho camminato verso la cappella oscura, il bosco al di sopra era una presenza inquietante e potente, davvero potente. Ho sentito il verso del corvo, tre volte. L’ho cercato senza trovarlo, poi l’ho visto volare dal paese alle vette, verso il fitto degli alberi. Ho osservato il suo volo, e lui ha gracchiato ancora.
Tornando verso il cancello, mi sono voltata a guardare ancora il bosco che si erge sopra le tombe. Ero ipnotizzata, richiamata da qualcosa di invisibile, che tuttavia mi intimoriva.
Ho ricordato le storie che vengono raccontate, anche in queste zone, delle notturne processioni dei morti, ognuno con la sua fiammella accesa sul mignolo. Non è difficile immaginare, lì, fra quelle arboree ombre, eterne e selvatiche, il procedere lento di misteriosi lumi che fluttuano nella notte. Poco distanti dal loro giaciglio di pietra, così da poterci tornare alle prime luci dell’alba.
Il freddo era pungente, e il pensiero di assaggiare le squisite dolcezze della bottega mi ha riportata nel momento presente. Ancora una breve esplorazione del paesino, col mio lupetto intirizzito e desideroso di una cioccolata bollente – che avremmo preso nella cara Varallo – e ci siamo avviati alla macchina.
Eppure, il potere selvaggio del bosco ha accompagnato ogni passo. Non potevo smettere di guardarlo, e di ascoltare ciò che mi suscitava dentro.
Forse ci conosceremo meglio, quando sarà tempo, ho pensato. O forse no. Per adesso preferisco osservarlo e rievocarlo da fuori. Un gigante, imprevedibile, potente e pericoloso, e una bambina che lo guarda da lontano, che lo scruta, non lo comprende, ma ne è affascinata. E a suo modo ne sente e riconosce il potere.
Sono grata di aver incontrato questo luogo. È il primo di una serie che – facendomi ispirare non tanto o non solo dalle loro storie, ma dal loro aspetto, dalle loro atmosfere e dalle risonanze sottili – traccerò sulla mia mappa magica, e piano piano, percorrerò.
Provo molta gioia e impazienza, sono curiosa di scoprire quali saranno, ancora, le mie vie e le mie porte. E per quali, di queste, avrò le chiavi.
***
Le leggende del Ponte della Gula
Camminandogli accanto e osservando la sua forma azzardata, si comprende perché il Ponte della Gula, secondo i racconti popolari locali, sia considerato un luogo maledetto. Sembra che in tempi lontani fosse utilizzato come patibolo, dal quale venivano gettati i condannati a morte senza alcun processo. Per questo si dice che in certi giorni dell’anno si possano ascoltare le voci, le urla strazianti e i lamenti delle persone che in quel precipizio trovarono la morte. I vecchi abitanti della valle, invece, affermano di aver assistito, nei pressi del ponte e nei boschi circostanti, a strane apparizioni notturne. Fantasmi, demoni, e altre entità inquiete vagano nel buio, spaventando a morte coloro che hanno la sfortuna di vederli.
Le leggende più note vogliono tuttavia che sia uno dei famosi ponti costruiti dal Diavolo. La storia, con qualche variante, è sempre la stessa. Un vecchio eremita, camminando vicino all’orrido, incontra il diavolo e questi gli propone un patto. Edificherà un ponte in una notte, in cambio dell’anima di chi lo attraverserà per primo. Come sempre, l’eremita fa in modo che il primo essere vivente a oltrepassarlo sia un cane, e il diavolo, beffato e infuriato, dichiara che non abbandonerà mai il posto, e che continuerà a tentare, a ingannare e terrorizzare i valligiani, nascondendosi negli anfratti della sua gola.
Esiste tuttavia una variante di questa leggenda molto particolare, nella quale è presente un elemento che compare alcune volte in certi racconti sulle streghe.
Si narra che una donna di Fobello, che si era attardata a Varallo oltre il tramonto, si trovò a dover attraversare il ponte di notte.
Improvvisamente si ritrovò davanti un orribile diavolo, il quale le chiese: “Per chi è fatta la notte?” La donna, tremante, rispose: “Per chi non può viaggiare di giorno.”.
Il demonio tuttavia non fu soddisfatto, e affermò che il ponte era suo. La donna replicò che il ponte non era né del diavolo, né suo, ma apparteneva a tutti i cristiani. Allora il demonio, furioso, sprofondò nell’abisso, e con un colpo del suo zoccolo caprino provocò la spaccatura nella roccia che è ancora visibile sotto il ponte.
La leggenda è interessante in particolare per la presenza della domanda posta dal demonio e della risposta data dalla donna di Fobello. Una domanda molto simile, infatti – Per chi è la notte? – si dice venisse posta dalle streghe della tradizione ad altre streghe consorelle, le quali dovevano rispondere: Per tutti quelli che non possono andare in giro di giorno.
Questa formula è una reminiscenza preziosa ed essenziale che sembra portare alcuni elementi comuni a certe tradizioni stregonesche nella zona di Varallo Sesia e della Alta Val Mastallone. (1)
***
“Quelle pareti impervie slanciate al cielo e strapiombanti sovra il profondo baratro, la strada quasi aerea che s’apre temerariamente il passo attraverso i ferrigni fianchi del monte, i due ponti che arditamente scavalcano quella stretta paurosa, e le stesse acque del Mastallone che chiuse in quell’imo recesso non rumoreggiano ma, colorate d’un verde cupo, se ne stanno tristemente silenziose, tutto agghiaccia l’animo e stringe il cuore sgomentato”.
Don Luigi Ravelli
***
ALBUM FOTOGRAFICI
Ponte della Gula
Fobello e la Bottega dei Biscutin dal Strii
***
Note:
1. Purtroppo queste leggende, raccolte in rete, sono al momento prive di fonti certe. Cercherò di trovarle e di aggiungerle non appena possibile.
Fonti:
Gremmo Roberto, Valsesia magica e misteriosa. Gli antichi culti pagani delle pietre. I segreti del Fenera e dei monti sacri. Le streghe, le fate, gli gnomi. Il Badik selvatico, Fra Dolcino e Giacomaccio, Ieri e Oggi, Gaglianico, 2021
Gremmo Roberto, Valsesia magica e misteriosa: La ‘medica’ guaritrice processata nel 1863 e le tradizioni sulle streghe di Fobello, articolo pubblicato su Valsesia Notizie, 21 Giugno 2020
In Valsesia
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Pertanto, ho colto l’ispirazione e sono andata a incontrare un luogo che, per quanto ancora inesplorato nei suoi sentieri più nascosti e impervi, mi ha trasmesso qualcosa di potente.
Il paesino che ho incontrato ieri, insieme al mio entusiasta compagno di viaggio, è Fobello, nella Alta Val Mastallone, e fa parte di una zona della quale sto cercando di tracciare una mappa magica fatta di luoghi speciali nei quali trovare dei piccoli punti di riferimento e una magia che, per quanto antica, risuoni con me qui e ora.
Pochi giorni prima di fare questo breve viaggio avevo avuto una piacevole conversazione con Roberto Gremmo – autore del libro Valsesia magica e misteriosa, e dei numerosi articoli disponibili online – con cui sono in sporadico contatto da tempo, il quale mi ha dato alcuni preziosi consigli, nonché tappe da aggiungere alle mie esplorazioni sul posto e in altre zone valsesiane. Sono pertanto partita sicura che avrei trovato ciò che cercavo.
La prima tappa lungo la via che attraversa la Val Mastallone era un posto particolare che desideravo vedere da molti anni, l’inquietante Ponte della Gula, che si erge un po’ storto su una gola profondissima, l’Orrido della Gula. Lo si credeva di epoca romana, ma pare sia successivo, come indica la data 721 incisa su uno dei suoi massi. Sotto di lui scorre il torrente Mastallone, stretto e sinuoso in questo punto, con le sue acque dall’intenso colore blu-smeraldo. Non soffro di vertigini, ma affacciarmi da quell’altezza mi ha turbata, e mi ha ricordato la triste fama del luogo, scelto da diverse persone per porre fine alla loro vita in un ultimo, vertiginoso salto nel vuoto.
Il Ponte della Gula per molto tempo è stato l’unico punto di collegamento con l’Alta Val Mastallone. Un bel coraggio percorrerlo per poi arrampicarsi dall’altra parte. E a me, che ero arrivata con la ferrea convinzione di attraversarlo, è bastato salire sui primi gradoni di pietra che portavano al suo arco “a schiena di mulo”, con la muratura laterale che a stento arrivava alle ginocchia, per decidere che preferivo vivere e che, dopotutto, la veduta da lì non valeva il rischio.
Percorrere un vecchio ponte è una delle cose che desidero sempre fare durante il periodo autunnale, uno dei miei gesti magico-simbolici che richiamano il passaggio fra il mondo comune e quello invisibile. Nel mondo invisibile però rischiavo di arrivarci per via diretta, per cui niente Ponte della Gula. Mi sono accontentata di scattare qualche fotografia, respirando l’aria gelida che proveniva dalle sue profondità.
Le sue leggende sono raccolte in una breve ricerca a fondo pagina.
Ripresa la via che percorre la Val Mastallone verso le sue altezze, attraversando la bella Cravagliana, immersi in un paesaggio gelido e ghiacciato, ci siamo incantati davanti alle spolverate di neve sui massi che emergevano dal torrente, oltre che ai punti perennemente in ombra in cui la brina avvolgeva in delicati ricami i rami, le foglie, gli aghi delle conifere.
Arrivati al paesino di Fobello, dopo una prima breve passeggiata, ci siamo recati nel posto che tanto desideravo conoscere. Una piccolissima e calorosa bottega di biscotti. Qui vengono prodotti e venduti I Biscutin dal Strii, i Biscottini della Strega. Il loro profumo delizioso mi ha inebriata non appena ho aperto la porta.
La proprietaria, Anna Maria, è stata gentilissima, abbiamo chiacchierato piacevolmente e poi, per aiutarmi a scegliere i suoi biscotti, ne ha descritto le diverse qualità, una per una. Li avrei comprati tutti, e poco ci è mancato – per cui ci tornerò per provare quelli che ancora non ho assaggiato – e sono uno più squisito dell’altro. Sono preparati con farine speciali e prodotti del posto, come il latte del Caseificio Alta Valsesia di Piode, il miele millefiori della Val Mastallone, le nocciole di Piemonte IGP e altri ingredienti di ottima qualità, oltre che spezie e cacao.
Fra le numerose produzioni, ho scelto i Rovi dal Carrett, o Ruote del Carretto, i Tenc al cacao amaro del Madagascar, i Biscotti di Gaudenzio alle spezie, i Buscaii alle nocciole, i Robi Buni, tipici biscotti Palet Breton con il fleur de sel della Camargue e le mandorle di Sicilia, i Falispi alle noci, e poi una fetta di torta-biscotto scozzese e la tortina Polenta e Mirtilli.
Ho amato trascorrere ogni minuto in quel posto, nel quale ho provato sensazioni ed emozioni passate di cui ho molta nostalgia.
Ho raccolto uno dei pieghevoli, dove sono elencati tutti i tipi di Biscutin dal Strii, e sull’ultima pagina, accanto a una bellissima campanula azzurra, è riportata la storia come segue:
Al Strii
Nel cuore del Parco Naturale dell’Alta Val Mastallone, c’è una stradina nel fitto del bosco che da Cervatto porta alla Frazione Torno. Arrivati dove il faggeto si fa più buio, esiste un luogo, nascosto alla vista dei passanti, chiamato “Al Pianel dal Strii”.
Io, da bambina, pensavo che le streghe all’imbrunire, dopo il suono dell’Ave Maria, spostandosi in volo, si riunissero là, su quel pianoro, per operare nell’oscurità i loro sortilegi.
Non potrei dire se Anna Maria sia una strega, forse sì. Chi mi ha incoraggiata ad andare a conoscerla l’ha definita una fata. Di certo ha creato tante squisitezze, in onore alle streghe del posto, nelle quali, non si può negarlo, è presente un pizzico di magia.
Poco prima di salutarla, le ho chiesto del Pianel dal Strii, che sapevo si nascondesse da qualche parte, nel bosco dietro il cimitero, e lei è stata così gentile da regalarmi una cartina di Fobello, indicando col dito un punto preciso. “Adesso però c’è la neve…”, ha detto, intendendo che non era il momento di andarci, perché troppo pericoloso. Il suo tono apprensivo è stato una sorta di consiglio materno che ho colto con gratitudine.
Non so se, quando sarà il momento, percorrerò quella strada. Probabilmente non lo farò. Ma quando e se sarà, ascolterò ciò che sussurra nello stormire delle foglie, incontrerò gli sguardi incisi nella corteccia degli alberi, seguirò la via indicata dai loro rami scheletrici, e forse, riuscirò a sentire.
Oppure rispetterò il silenzio, tornerò sui miei passi, e proseguirò altrove.
Uscita a malincuore dalla bottega dei Biscutin dal Strii, mi sono diretta con passo sicuro verso il cimitero. Non avrei percorso i boschi impervi e ghiacciati, ma li avrei osservati da lontano. Dal basso, dalle radici.
Il cimitero di Fobello è molto particolare, disposto a semicerchio attorno a una cappella spoglia, oscura e un po’ tetra. Una signora gentile proveniva da lì, probabilmente aveva cambiato i fiori a qualcuno. “Si gela”, mi ha detto sorridendo, mentre cercavo goffamente di infilarmi i guanti. Poi, mentre usciva dal cancello, senza voltarsi ha aggiunto: “Il freddo è arrivato”. Non ho potuto che concordare con lei, il freddo era senza dubbio arrivato.
Ho camminato verso la cappella oscura, il bosco al di sopra era una presenza inquietante e potente, davvero potente. Ho sentito il verso del corvo, tre volte. L’ho cercato senza trovarlo, poi l’ho visto volare dal paese alle vette, verso il fitto degli alberi. Ho osservato il suo volo, e lui ha gracchiato ancora.
Tornando verso il cancello, mi sono voltata a guardare ancora il bosco che si erge sopra le tombe. Ero ipnotizzata, richiamata da qualcosa di invisibile, che tuttavia mi intimoriva.
Ho ricordato le storie che vengono raccontate, anche in queste zone, delle notturne processioni dei morti, ognuno con la sua fiammella accesa sul mignolo. Non è difficile immaginare, lì, fra quelle arboree ombre, eterne e selvatiche, il procedere lento di misteriosi lumi che fluttuano nella notte. Poco distanti dal loro giaciglio di pietra, così da poterci tornare alle prime luci dell’alba.
Il freddo era pungente, e il pensiero di assaggiare le squisite dolcezze della bottega mi ha riportata nel momento presente. Ancora una breve esplorazione del paesino, col mio lupetto intirizzito e desideroso di una cioccolata bollente – che avremmo preso nella cara Varallo – e ci siamo avviati alla macchina.
Eppure, il potere selvaggio del bosco ha accompagnato ogni passo. Non potevo smettere di guardarlo, e di ascoltare ciò che mi suscitava dentro.
Forse ci conosceremo meglio, quando sarà tempo, ho pensato. O forse no. Per adesso preferisco osservarlo e rievocarlo da fuori. Un gigante, imprevedibile, potente e pericoloso, e una bambina che lo guarda da lontano, che lo scruta, non lo comprende, ma ne è affascinata. E a suo modo ne sente e riconosce il potere.
Sono grata di aver incontrato questo luogo. È il primo di una serie che – facendomi ispirare non tanto o non solo dalle loro storie, ma dal loro aspetto, dalle loro atmosfere e dalle risonanze sottili – traccerò sulla mia mappa magica, e piano piano, percorrerò.
Provo molta gioia e impazienza, sono curiosa di scoprire quali saranno, ancora, le mie vie e le mie porte. E per quali, di queste, avrò le chiavi.
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Le leggende del Ponte della Gula
Camminandogli accanto e osservando la sua forma azzardata, si comprende perché il Ponte della Gula, secondo i racconti popolari locali, sia considerato un luogo maledetto. Sembra che in tempi lontani fosse utilizzato come patibolo, dal quale venivano gettati i condannati a morte senza alcun processo. Per questo si dice che in certi giorni dell’anno si possano ascoltare le voci, le urla strazianti e i lamenti delle persone che in quel precipizio trovarono la morte. I vecchi abitanti della valle, invece, affermano di aver assistito, nei pressi del ponte e nei boschi circostanti, a strane apparizioni notturne. Fantasmi, demoni, e altre entità inquiete vagano nel buio, spaventando a morte coloro che hanno la sfortuna di vederli.
Le leggende più note vogliono tuttavia che sia uno dei famosi ponti costruiti dal Diavolo. La storia, con qualche variante, è sempre la stessa. Un vecchio eremita, camminando vicino all’orrido, incontra il diavolo e questi gli propone un patto. Edificherà un ponte in una notte, in cambio dell’anima di chi lo attraverserà per primo. Come sempre, l’eremita fa in modo che il primo essere vivente a oltrepassarlo sia un cane, e il diavolo, beffato e infuriato, dichiara che non abbandonerà mai il posto, e che continuerà a tentare, a ingannare e terrorizzare i valligiani, nascondendosi negli anfratti della sua gola.
Esiste tuttavia una variante di questa leggenda molto particolare, nella quale è presente un elemento che compare alcune volte in certi racconti sulle streghe.
Si narra che una donna di Fobello, che si era attardata a Varallo oltre il tramonto, si trovò a dover attraversare il ponte di notte.
Improvvisamente si ritrovò davanti un orribile diavolo, il quale le chiese: “Per chi è fatta la notte?” La donna, tremante, rispose: “Per chi non può viaggiare di giorno.”.
Il demonio tuttavia non fu soddisfatto, e affermò che il ponte era suo. La donna replicò che il ponte non era né del diavolo, né suo, ma apparteneva a tutti i cristiani. Allora il demonio, furioso, sprofondò nell’abisso, e con un colpo del suo zoccolo caprino provocò la spaccatura nella roccia che è ancora visibile sotto il ponte.
La leggenda è interessante in particolare per la presenza della domanda posta dal demonio e della risposta data dalla donna di Fobello. Una domanda molto simile, infatti – Per chi è la notte? – si dice venisse posta dalle streghe della tradizione ad altre streghe consorelle, le quali dovevano rispondere: Per tutti quelli che non possono andare in giro di giorno.
Questa formula è una reminiscenza preziosa ed essenziale che sembra portare alcuni elementi comuni a certe tradizioni stregonesche nella zona di Varallo Sesia e della Alta Val Mastallone. (1)
***
“Quelle pareti impervie slanciate al cielo e strapiombanti sovra il profondo baratro, la strada quasi aerea che s’apre temerariamente il passo attraverso i ferrigni fianchi del monte, i due ponti che arditamente scavalcano quella stretta paurosa, e le stesse acque del Mastallone che chiuse in quell’imo recesso non rumoreggiano ma, colorate d’un verde cupo, se ne stanno tristemente silenziose, tutto agghiaccia l’animo e stringe il cuore sgomentato”.
Don Luigi Ravelli
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ALBUM FOTOGRAFICI
Ponte della Gula
Fobello e la Bottega dei Biscutin dal Strii
***
Note:
1. Purtroppo queste leggende, raccolte in rete, sono al momento prive di fonti certe. Cercherò di trovarle e di aggiungerle non appena possibile.
Fonti:
Gremmo Roberto, Valsesia magica e misteriosa. Gli antichi culti pagani delle pietre. I segreti del Fenera e dei monti sacri. Le streghe, le fate, gli gnomi. Il Badik selvatico, Fra Dolcino e Giacomaccio, Ieri e Oggi, Gaglianico, 2021
Gremmo Roberto, Valsesia magica e misteriosa: La ‘medica’ guaritrice processata nel 1863 e le tradizioni sulle streghe di Fobello, articolo pubblicato su Valsesia Notizie, 21 Giugno 2020
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domenica 1 dicembre 2024
A ognuna le sue vie, a ognuna le sue porte
Ho sempre creduto che le stesse vie non portino negli stessi luoghi. Una via tracciata può essere la stessa, eppure cambierà aspetto a seconda di chi la percorrerà. Alcune persone troveranno porte chiuse, altre vedranno aprirsi davanti a sé porte inaspettate. Alcune saranno accolte, altre respinte. A volte si troverà ciò che non si sapeva di stare cercando, altre volte ciò che si sta cercando farà di tutto per non farsi trovare. Altre volte ancora, semplicemente non è tempo, e ciò che si cerca arriverà quando sarà il momento giusto.
Di certo ognuna troverà sempre ciò che deve trovare. Che sia tutto o che sia niente.
Se c’è una cosa che ho imparato è accogliere con gratitudine ciò che arriva per me, e accettare se per me non arriva nulla.
Questo è per te, sento a volte vibrare dentro.
Qui per te non c’è niente, sento altre volte.
Questo non mi impedisce di continuare a cercare e a tentare, anzi, non fa che rendermi più curiosa e attenta.
Una cosa mi rincuora, soprattutto quando per me non c’è nulla. So che se una porta è chiusa e una via serrata, è così che deve essere, ed è giusto allontanarsi. Non è quella la via da percorrere, non è quella la porta da aprire. E va bene così.
Ma quando la via si apre, cose inaspettate e incredibili possono succedere. Le risonanze sottili creano intrecci di destini, la trama si rivela, la magia accade.
A ognuna le sue vie, a ognuna le sue porte.
Anche laddove le porte sono le stesse, chi deve trovare trova, chi non deve trovare non trova.
A volte si crede di aver trovato tanto e non si ha trovato nulla. Altre volte si pensa di non aver trovato nulla, e poi si scopre di aver trovato tutto.
A ognuna le sue vie, a ognuna le sue porte.
E la meraviglia di scoprire cosa si celi oltre ognuna di esse.
Di certo ognuna troverà sempre ciò che deve trovare. Che sia tutto o che sia niente.
Se c’è una cosa che ho imparato è accogliere con gratitudine ciò che arriva per me, e accettare se per me non arriva nulla.
Questo è per te, sento a volte vibrare dentro.
Qui per te non c’è niente, sento altre volte.
Questo non mi impedisce di continuare a cercare e a tentare, anzi, non fa che rendermi più curiosa e attenta.
Una cosa mi rincuora, soprattutto quando per me non c’è nulla. So che se una porta è chiusa e una via serrata, è così che deve essere, ed è giusto allontanarsi. Non è quella la via da percorrere, non è quella la porta da aprire. E va bene così.
Ma quando la via si apre, cose inaspettate e incredibili possono succedere. Le risonanze sottili creano intrecci di destini, la trama si rivela, la magia accade.
A ognuna le sue vie, a ognuna le sue porte.
Anche laddove le porte sono le stesse, chi deve trovare trova, chi non deve trovare non trova.
A volte si crede di aver trovato tanto e non si ha trovato nulla. Altre volte si pensa di non aver trovato nulla, e poi si scopre di aver trovato tutto.
A ognuna le sue vie, a ognuna le sue porte.
E la meraviglia di scoprire cosa si celi oltre ognuna di esse.
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