Dopo essermi immersa nella visione e nella leggenda della azzurra Sesia e del gigante Fenera, guardandoli dal caldo ma ventoso ponte di Aranco, alle porte di Borgosesia – e dopo aver zoppicato imprecando per venti minuti alla ricerca di una farmacia, quando l’immancabile vescica mi si è aperta nel tallone, facendomi vedere ad ogni passo la madonna e tutti i santi – mi sono concessa un caffè e una crostatina in un bar vicino, dove ho scambiato qualche parola con la gentilissima proprietaria. Proprio lei mi ha consigliato che strada prendere per raggiungere il posto che volevo vedere, e dopo essermi rifocillata – col mio benedetto cerotto sul piede – sono stata pronta a ripartire.
A dire il vero il posto era proprio a poche centinaia di metri, e senza rendermene conto lo avevo già visto spiccare in cima al misterioso Montrigone.
Si tratta del Santuario di Sant’Anna, ricordato per la presenza della roccia ramata, considerata fonte di guarigione e benessere. Il santuario non è antichissimo, in realtà venne costruito nel 1700 sui resti di un castello di proprietà dei conti di Biandrate, e sempre nello stesso periodo vennero costruite anche le quattordici cappelle che fanno parte della breve ma intensa via crucis che sale, in un percorso a scale quasi verticale, verso la cima del monte.
Ammetto che, col caldo che faceva e la poca voglia di guardare le solite cappelle – che personalmente mi interessano poco – ho deciso di raggiungere la cima direttamente in macchina e godermi la parte più affascinante del posto, oltre che la bellezza della natura circostante.
Dal lato settentrionale, volgendo le spalle al caro monte Fenera, si raggiungono subito le misteriose nicchie, sei in tutto, più simili a piccole grotte scavate nella roccia. Una roccia guaritiva, tanto ricca di rame da essere completamente rossa.
La prima nicchia, salendo verso la cima, è poco profonda e ospita le statue dell’apparizione della Madonna a una pastorella, la seconda e la terza invece sono vuote, o meglio, sono state chiuse, cementificate, e la presenza della roccia ramata è davvero preponderante. Accanto alla seconda nicchia è stata posta una colonnina per le ellemosine – o forse per indirizzare, o correggere, altri tipi di offerte. Quindi la quarta grottina ospita una statua di San Giovanni Battista, la quinta una Maddalena a seno nudo e lunghi capelli, con accanto il teschio, e la sesta il Cristo morto, con un angelo dal volto dolce.
Naturalmente le nicchie più interessanti e misteriose sono quelle chiuse e vuote, eppure sono piene di pietra rossa. Mi sono chiesta cosa avesse potuto contenere quella cementificata, anche perché, come ricorda l’autore Roberto Gremmo, la roccia è la stessa dei poco distanti santuari di Boca e di Azoglio, dove nel primo è stata costruita una cappella proprio sopra la roccia, per nasconderla, e nel secondo parte della chiesa, nel punto in cui la roccia era più visibile e accessibile, è stata ugualmente cementificata; e di esempi simili ce ne sono parecchi. Forse non è questo il caso, ma se invece lo fosse, anche questa volta si tratterebbe di un luogo nel quale per lungo tempo vennero perpetuate pratiche magiche per ottenere fertilità e guarigione da coloro che le antiche vie, e gli antichi modi, non li avevano mai dimenticati.
Per quanto mi riguarda, lungi dal desiderare fertilità, ho chiesto invece guarigione, e anche se un po’ dura e scomoda, perché appuntita, mi sono seduta per qualche secondo sulla nuda roccia rossa, perché l’energia arrivasse esattamente dove ne ho più bisogno.
Quindi, dopo aver temporaneamente lasciato le nicchie alle spalle, ho raggiunto il porticato della chiesa e mi sono riempita i polmoni di aria fresca e gli occhi di bellezza. La vista da lassù è davvero bella. La giornata calda e afosa non permetteva di vedere le varie cime delle montagne delineate davanti al porticato, ma in una giornata luminosa e tersa la vista dalle comode panchine deve essere splendida. Di certo vale la pena tornarci nel momento giusto, con la vista giusta.
Ho lasciato il porticato e ho percorso qualche tratto di via crucis al contrario, convenendo sul fatto che avere come destinazione spirituale il parcheggio del supermercato non era ispirante, e che di certo questa particolare via crucis è bella solo se svolta nel senso giusto, dal basso verso l’alto.
Il sole da quel lato scotta particolarmente, così mi sono rifugiata di nuovo in una delle fresche nicchie rosse, e dopo essermi rinfrescata e un poco rigenerata, ho preso la via del ritorno.
Approfondendo un pochino la sua storia, si dice che il luogo avesse generato due eventi miracolosi: la fioritura di un magnifico roseto durante una notte di Natale, e la salvezza della popolazione valsesiana dall’epidemia di peste grazie all’intercessione di Sant’Anna.
Per quanto riguarda invece il significato più suggestivo di Montrigone, ovvero del nome del monte che ospita il santuario, purtroppo non sono affatto convinta della sua credibilità – e ricordo sempre che non è ciò che piace di più a esser vero, è vero quel che è vero, anche quando piace meno.
In una guida illustrata della Valsesia pubblicata nel 1894, l’autore Federico Tonetti sostiene infatti che il toponimo del monte derivi da Mons Orionis, ovvero Monte Orione o Monte di Orione, riferendosi alla grande costellazione celeste e lasciando forse intendere che l’altura fosse dedicata a pratiche divinatorie di osservazione delle stelle (1). Certamente è un’ipotesi affascinante, ma – al di là del fatto che non mi suona giusta, ma questa è una mia considerazione personale – non esiste alcuna documentazione a riguardo, mentre altre fonti locali definiscono il toponimo come la semplice unione di Monte Rigone, “dal latino origonus, a sua volta da oro, cioè “pianoro rialzato”, un termine appartenente allo strato linguistico padano e molto diffuso in Valsesia” (2). Origine che trovo assai più verosimile, per quanto meno ispirante.
Che poi ci sia stato, o ci sia ancora, chi osserva le stelle sulla cima del Montrigone, questa è altra storia, ma credo sia sempre giusto essere onestə e correttə, e quindi attendibili, nella propria ricerca, a prescindere da ciò che piaccia o meno.
Dopo questo breve ma affascinante incontro, credo che il Santuario dedicato a Sant’Anna, ovvero a una santa che il più delle volte venne appositamente sovrapposta all’antica dea, madre di tutte le madri, in un luogo intriso di rame ed energia rigenerativa, meriti di certo una visita e forse, un’indagine più profonda. Profonda come le grottine che sono state chiuse, nascoste dal cemento, e che non è dato sapere cosa contenessero e come, un tempo, venissero utilizzate.
Forse certe cose non si possono conoscere, ma è bello provare a immaginarle, a sentirle, e forse, a scoprirle camminando fra il visibile e l’invisibile, un passo dopo l’altro, un passo dentro l’altro.
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ALBUM FOTOGRAFICO
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Note:
1. Le informazioni sono contenute in Roberto Gremmo, Valsesia magica e misteriosa, Botalla Editore, Biella, 2023, pagg. 23-25.
2. Vedi il sito ufficiale della Valsesia: In Valsesia – Santuario di Sant’Anna
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