martedì 15 luglio 2025

Viaggio in Liguria. Albenga e l'Isola Gallinara

Viaggio in Liguria - Seconda giornata
Albenga e l’Isola Gallinara. Fra streghe, gatti e rilucenti fanciulle


Era ancora pomeriggio inoltrato quando, partiti dalle bellissime Grotte di Toirano ci siamo diretti ancora poco più in là, verso Albenga. È abbastanza vicina e abbiamo deciso che, dopo aver visto un paio di cosine veloci, avremmo cenato lì.
Così quando siamo arrivati, ho parcheggiato e ci siamo infilati nel centro storico, dove a ogni angolo si ergono antiche torri e palazzi. Ripensandoci, il centro mi è piaciuto molto e avrei voluto fermarmi di più per esplorare ogni viuzza e ogni negozietto, ma eravamo decisamente stanchi, affamati, e più tardi ci avrebbe aspettato il viaggio di ritorno a casa.


Per questo ho cercato subito ciò che mi ero appuntata e non ho perso tempo. Prima di tutto, la Cattedrale di San Michele – nella quale in quel momento si stava celebrando la messa serale – con l’affresco del 1456 di Santa Clara, o Chiara, che mi era capitato di vedere e mi era piaciuto molto; quindi lo splendido battistero paleocristiano, che ho visitato in solitaria.


Mi aveva colpita il mosaico blu intenso con le dodici colombe bianche e una miriade si stelle. Solo leggendone i cenni storici, ho scoperto che l’originaria vasca battesimale a immersione, alla quale si accedeva tramite alcuni gradini, era “internamente ottagona ed esternamente “a stella”.” (1)
Ormai non mi stupisco più di questa lucente presenza, soprattutto perché non sono io a cercarla, è sempre lei a tornare a me e a mostrarsi per ricordarmi ciò che lei sa, e che forse so anche io.




Dopo aver lasciato il battistero paleocristiano, ho quindi seguito brevemente il sentiero della leggenda, che mi ha portata a incontrare un antico palazzo e una casa-torre, poco distanti l’uno dall’altra.
Il Palazzo Peloso Cepolla, in Piazza San Michele, nasconde un segreto impresso sulla sua facciata. Si tratta di una finestra murata, sulla quale i colori di un antico dipinto hanno perso intensità, e lasciano solo intuire ciò che, un tempo, avevano ritratto con maggiore brillantezza. A questa finestra, appare infatti la cosiddetta Dama del Mistero.
La si vede affacciarsi, col volto sbiadito, mentre guarda lontano con sguardo malinconico, e poco o nulla si conosce sulla sua vita. Eppure è diventata parte di una triste leggenda.
“Si narra che una giovane rampolla della famiglia Cipolla ebbe l’ardire di innamorarsi di un uomo di miseri lignaggi, cosa non gradita alla sua nobile famiglia. L’amore della ragazza fu osteggiato con ogni mezzo, motivo per il quale la fanciulla non volle più uscire dalla sua stanza, accontentandosi di ammirare la cittadina dalla finestra della sua stanza. Alla sua morte la finestra fu murata e, nel ricordo del suo perduto amore, la sua immagine fu dipinta sulla facciata.”
Gli abitanti di Albenga raccontano ancora che “nelle notti senza luna il viso della dama s’illumini di luce propria, guardando benignamente dall’alto le coppie di fidanzati che transitano sotto il suo malinconico sguardo.” (2)
Trovo questa leggenda molto dolce, ma soprattutto il dettaglio del viso della dama, che nelle notti più buie si illuminerebbe di luce propria, mi incanta. Chissà se qualcuno ha avuto la fortuna di vederlo rilucere dalla finestra, mentre i suoi dolci occhi benedicevano l’amore che lei non poté vivere.



La seconda leggenda era a pochi passi dalla prima, e coinvolgeva la casa-torre Lengueglia Doria, in Via Ricci. Oggi al piano terra accessibile dalla strada c’è una farmacia, nella quale non ho mancato di provare a chiedere notizie della suddetta leggenda, purtroppo senza che nessuno la conoscesse. Tentar non nuoce, mi sono ripetuta, e sono rimasta stupita quando una delle farmaciste, stupita più di me, mi ha risposto che non ne aveva mai sentito parlare, eppure ero la seconda persona a chiederglielo quel giorno. Strane coincidenze.
Si tratta di una storia che mi è subito diventata molto cara e da quando l’ho letta, più e più volte, la custodisco come un vero incantesimo ancora attivo.
Si narra che fino al XVIII secolo si potesse leggere, affissa sul muro della facciata della casa-torre, una strana e misteriosa iscrizione incisa su di un vecchio pannello di legno.
L’iscrizione diceva così:
Fra il crepuscolo e la mezzanotte le anime del Purgatorio assumono la forma di alcuni animali domestici che non devono mai essere maltrattati in quelle ore.
Dopo la mezzanotte e fino all’avemaria del mattino sotto le forme di un animale, specialmente di un gatto nero, può nascondersi una strega.
” (3)
Si dice ancora che l’ammonimento fosse reale, poiché se qualcuno avesse osato maltrattare o uccidere un gatto, quando sarebbe giunta la sua ora il cuore non avrebbe potuto cessare di battere, lasciandolo in una perpetua agonia. L’unico modo per rompere la maledizione e permettere al morente di passare oltre sarebbe stato “far passare sul suo capezzale un gatto, preferibilmente nero.” (4)
Così come il gatto-strega maledice, il gatto-strega guarisce, e permette il trapasso.
La leggenda è alquanto curiosa e interessante. Ma le parole dell’iscrizione, per come le percepisco, sono davvero magiche… e nascondono certamente una antica e potente magia. Le streghe lo sanno.
Purtroppo non vi è più traccia dell’iscrizione – sarebbe stato strano il contrario, essendo sparita nel 1800 – eppure c’è il segno – quattro tasselli di legno – di una tavola che un tempo era affissa proprio sulla facciata dell’edificio. Probabilmente si riferiva ad altro, ma a me e al mio compagno – che ha notato i tasselli – piace pensare che la magica iscrizione fosse proprio lì.


Dopo aver passeggiato ancora per le vie storiche di Albenga, ci siamo rifugiati in un ristorante e finalmente ci siamo sfamati con una grigliata di pesce e una pasta allo scoglio. Era una vita che non la mangiavo e mi sono quasi commossa.
Rifocillati e riposati, ci mancava solo un’ultima piccola tappa prima di ripartire: la spiaggia di Albenga di fronte all’Isola Gallinara – chiamata in questo modo perché in epoca romana era abitata dalle galline selvatiche. E più di fronte all’isola della lingua di Scogli di Andrea non poteva proprio essere. A portarmi lì, un’altra delle leggende più amate, che pur provenendo da Imperia giunge proprio sull’Isola Gallinara.
Si narra infatti che a Costarainera, un paesino in provincia di Imperia, le streghe fossero solite trasformarsi nottetempo in uccelli, e che in tale forma volassero fino all’Isola Gallinara (5).
È probabile che le misteriose streghe-uccelli si posassero poi nei boschi inaccessibili dell’isola e qui, ripresa la forma di donne, danzassero in libertà, celebrando il sabba e compiendo i loro sortilegi.



Di certo, con il mare agitato e il vento freddo che si stava alzando, non era difficile per me immaginare lo stregato stormo dirigersi verso le sponte proibite.
Proibite alle persone normali. Non a coloro che attraversano il velo.

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Ormai faceva decisamente fresco quando siamo risaliti in macchina per tornare a casa. Il viaggio di ritorno è stato impegnativo e sempre più lungo del previsto. Ci siamo dati il cambio alla guida e nell’ultimo tratto di strada sono crollata addormentata sul sedile del passeggero.
La prossima volta ci rilasseremo un pochino di più, ma le bellezze incontrate e vissute sono state impagabili e hanno valso la fatica.
Questo non è che l’inizio, e ciò che verrà saranno voli ancora un poco più alti, più lontani, più liberi.

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ALBUM FOTOGRAFICI
Centro storico di Albenga
L’Isola Gallinara

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Note:

1. Tratto dal pieghevole Museo Diocesano Battistero. Diocesi di Albenga, consegnato all’inizio della visita.
2. Cfr. Marco Alex Pepè, Liguria magica e stregata, De Ferrari, Genova, 2018, pag. 170.
3. Ibidem, pag. 171.
4. Ibidem.
5. Cfr. Luisella Ceretta, Sante, streghe ed eretiche. Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Edizioni Susalibri, Torino, 2025, pag. 124.

lunedì 14 luglio 2025

Viaggio in Liguria. Le Grotte di Toirano

Viaggio in Liguria - Seconda giornata
Le Grotte di Toirano, nella pancia della Strega


Quando si imbocca la via che si addentra nell’entroterra e si comincia a salire verso le Grotte di Toirano, il paesaggio cambia completamente. Le cicale onnipresenti cantano ancora più forte, e nonostante il caldo, il vento è fresco, leggero e rigenerante. Avevamo un pochino di tempo prima che iniziassero le visite pomeridiane, così abbiamo mangiato alla caffetteria delle grotte – una focaccia schiacciata bianca, con olio e rosmarino, squisita – e poi ci siamo riposati in macchina. Io ero veramente stremata e ho dovuto chiudere gli occhi per un pochino prima di essere pronta a ciò che ci aspettava. Abbiamo poi fatto un giretto nel negozio di minerali alla base delle grotte, e ho adottato una streghina-campanella con la scopetta, per stare in tema con la prima delle grotte, la più suggestiva.
Quando è arrivato il momento della visita ci siamo quindi inerpicati verso l’ingresso delle grotte – una salita veramente intensa e stancante sotto al sole – e dopo aver ripreso energia, e aver infilato la felpa – la temperatura interna delle grotte è di 15° – abbiamo seguito la bravissima guida verso il cancello che si apre su uno dei più antichi misteri mai scoperti. E lei lo ha aperto, invitandoci a entrare.
L’esplorazione delle Grotte di Toirano è qualcosa di impagabile e indescrivibile. All’ingresso ci ha accolti una graziosa streghina appesa, a ricordare il nome della prima grotta, la più grande e meravigliosa: la Grotta della Bàsura – ovvero della Strega.
Da qui in poi le parole non sono abbastanza per raccontare la meraviglia dell’esperienza. Solo gli occhi e il cuore che si perdono nell’incanto, e il silenzio, sono adatti al momento.
Scrivo pertanto solo qualche cenno storico, e ovviamente folklorico, e per quanto non all’altezza della realtà vissuta sul posto, lascio parlare le immagini.


Le Grotte di Toirano vennero scoperte ed esplorate a partire dal 1950. “Il 28 maggio del 1950, un gruppo di giovani di Toirano apre un varco nel diaframma che impedisce l’accesso alle sale interne della Grotta della Bàsura e arriva sul fondo della grotta, riportando in paese resti di orso delle caverne. La grotta viene aperta al pubblico il 1 gennaio 1953 e, nel 1960, l’esplorazione continua con la discesa nell’Antro di Cibele, il tratto terminale della Bàsura, inaccessibile fino a quel momento, e con la successiva esplorazione della Grotta Inferiore di Santa Lucia.
Il 9 luglio 1967, con il completamento del traforo del tunnel, le due grotte naturali vengono collegate, creando il circuito a senso unico utilizzato ancora oggi per la visita.” (1)

C’era tutto, proprio tutto. La strega, o bàsura – come viene chiamata con diverse varianti in Liguria – l’antro della materna dea Cibele, e Santa Lucia. Per me, il mio mondo al completo.
Ma cominciamo dall’inizio. Dopo aver salutato la streghina appesa all’ingresso, la guida ha chiuso la porta di ferro dietro le nostre spalle e ha annunciato che avremmo camminato nel cuore della terra per circa un chilometro. Inaspettatamente ho provato un leggero senso di panico e claustrofobia, ma mi sono subito fatta coraggio e tranquillizzata, pensando solo che spesso, l’unico modo per superare piccole e grandi difficoltà, è attraversarle fino in fondo.
Ci siamo quindi addentrati nella Grotta della Bàsura, fra cunicoli, aperture piene di stalattiti, stalagmiti e colonne, e penombre calde e materne. Nella pancia della mamma, o in questo caso, della strega.




Ogni più piccolo tratto di grotta era una meraviglia impossibile da descrivere, ma la mia gioia è esplosa quando siamo sbucati in una parte più ampia, chiamata il Salotto delle Streghe, per via delle conformazioni che assomigliano a un intimo raduno di misteriose figure. All’ingresso del Salotto delle Streghe, dal soffitto, pende una stalattite a dir poco particolare, a forma di lunga gamba con il piede: è chiamata la Calza della Strega.



A sentire tutte queste cose non stavo nella pelle, la mia gioia era alle stelle.
Abbiamo proseguito, incontrando diversi ambienti e conformazioni straordinarie, come il laghetto sotterraneo, nel quale vive ancora un minuscolo crostaceo simile a un gamberetto – il Niphargus longicaudatus – le stalattiti a forma di fette di prosciutto, l’organo dalle “canne” vuote – che veniva suonato picchiettandole fino a quando ha iniziato a deteriorarsi e si è convenuto di evitare di rovinarlo ancora – e la Sala dei Misteri, nella quale sono segnalate una serie di impronte appartenenti a una famiglia del Paleolitico superiore: due adulti e tre bimbi di cui uno molto piccolo.




Quindi abbiamo raggiunto a malincuore la fine della Grotta della Bàsura, solo per scoprire un’altra magia. Da qui si accede infatti all’Antro di Cibele, un piccolo spazio raccolto in cui pendono dall’alto innumerevoli concrezioni mammellonari, ovvero rotonde, simili a tanti morbidi seni stillanti gocce d’acqua lattea. Per questo è stato chiamato in questo modo, a ricordare la madre delle madri, la dea della fecondità e del primo nutrimento, signora dalle molte mammelle e del dolce latte.



Dopo l’Antro di Cibele, siamo quindi passati alla Grotta di Santa Lucia Inferiore, dove abbiamo incontrato diversi ambienti, alcuni ricoperti di miriadi di cristalli di aragonite luccicante, simili a candidi coralli che ricoprono le pareti e il soffitto.


Sul finire del nostro incantevole viaggio in seno alla terra abbiamo incontrato un’altra curiosa – e per me entusiasmante – conformazione, a forma di gatto con la coda. Non a caso è stata chiamata il Gatto della Strega.



Nell’ultimo tratto di grotte, dal 2011 viene lasciato maturare un particolare vino prodotto da vitigni autoctoni, lo spumante Bàsura: “A riposare nell’oscurità sono il Bàsura Obscura, il Bàsura Riunda e il Bàsura Rosa.” (2)

Quando abbiamo raggiunto l’uscita, col sole lucentissimo, dopo più di un’ora passata nelle ombre accoglienti e freschissime delle grotte, avrei voluto ricominciare la visita daccapo. Ma non essendo, ovviamente, possibile, ci siamo incamminati lungo il sentiero in discesa. Eppure ci tenevo tanto a vedere il Santuario Rupestre di Santa Lucia, che si trova poco più in alto e comprende la Grotta di Santa Lucia Superiore. Sapevo che è aperto solo per poche ore la domenica, ma ho comunque imboccato la stradina di nuovo in salita per andare a sbirciare nel cortiletto oltre il cancello. Da sola, accompagnata da tre grandi corvi che volavano attorno.




Ci tornerò quando sarà tempo. Qualche volta, lasciare qualcosa di incompiuto offre un motivo in più per tornare dove il cuore ha gioito e l’anima ha volato.
Un pezzettino di cuore di sicuro è rimasto là, nella Grotta della Bàsura, fra calze appese, salottini stregati, gatti e altre incantevoli stregherie.

Tornati alla macchina, abbiamo raccolto le idee e di lì a poco abbiamo ripreso la strada verso l’ultima tappa del nostro viaggio.

Continua…

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note:

1. Per approfondire, oltre a visitare le grotte, consiglio il sito ufficiale Toirano Grotte
2. Vedi Toirano Grotte – Bollicine in Grotta

Viaggio in Liguria. Spotorno e l'Isola di Bergeggi

Viaggio in Liguria - Seconda giornata
Spotorno e l’Isola di Bergeggi


Raggiunto l’albergo a Spotorno, ci siamo sistemati in camera e per qualche momento abbiamo ammirato dal terrazzino il sorgere della luna piena sul mare. Dapprima dorata, ha creato una scia d’oro lucente, poi via via sempre più alta e bianca, e la scia è divenuta d’avorio.
Cominciava a fare decisamente fresco, per cui dopo una doccia calda, siamo usciti a passeggiare ed esplorare il centro della città, troppo turistico per i nostri gusti. La stanchezza si faceva sentire, ed era già mezzanotte passata, per cui siamo rientrati presto. Per me era la prima notte lontana da casa dopo tanti anni, e mentre il mio compagno è crollato quasi subito, sono rimasta sveglia finché ho potuto. In effetti ero fiduciosa che avrei dormito serenamente… ancora ignara della piega tragicomica che avrebbe preso la nottata. Infatti, poco oltre il terrazzino della camera, si stava preparando la congiura dei gabbiani, e io, seriamente, non avrei mai potuto immaginarlo.
E dire che sono uccelli maestosi, anche se parecchio aggressivi, che mi sono sempre piaciuti, ma da quella notte si sono tramutati in bestie infernali e terribili che non guarderò mai più con gli stessi occhi. Si sono prodigati, con una precisione e costanza impeccabili, ad emettere urla, fischi, gorgheggi e risate beffarde, ogni singola volta che stavo per scivolare nel sonno, svegliandomi di soprassalto e impedendomi categoricamente di chiudere occhio fino al mattino. Ammetto di aver avuto pensieri truci, più volte, ma non avendo quantomeno una fionda a portata di mano, ho dovuto arrendermi e dargliela vinta. Alla fine, alzarmi e prepararmi per uscire è stato quasi un sollievo, ma la stanchezza era tanta, e la giornata lunga.
Sorvolando – per stare in tema – sulla nottata quasi traumatica, la giornata è stata stancante ma bellissima.
È iniziata con la spiaggia di Spotorno, molto bella, con un mare limpidissimo color verde acqua, e soprattutto l’amata Isola di Bergeggi poco lontano. Un sogno.



Dopo un bagno in quelle acquoree sfumature verde-azzurrine, abbiamo fatto colazione ai bagni Velazzurra, e poi ci siamo rivestiti per raggiungere le tappe successive. La prima, ovviamente, il belvedere sull’Isola di Bergeggi.
Proprio lì sotto, anni fa c’era stato il paradisiaco Lido delle Sirene, purtroppo distrutto da una violenta mareggiata nel 2018 e mai risistemato. Poco più in là, anche la Grotta Marina – che sognavo di vedere da tanto ma che sapevo non essere più visitabile – non è più stata rimessa in sicurezza, e quindi non è possibile vederla. Sapevo che le cose stavano così, ma mi è dispiaciuto comunque. Peccato non investire in qualcosa che richiede poco e dona tanto.



In ogni caso, l’Isola di Bergeggi era proprio lì davanti, immersa in un tempo-non-tempo che la rendeva quasi irreale. Immobile, silenziosa, protetta, inaccessibile, con gli uccelli che le volavano attorno nella lieve foschia. Immersa un mare incantevole.

L’Isola di Bergeggi, o di Sant’Eugenio, in ligure Insula Liguriae è un isolotto che dista dalla costa circa 280 metri. È legata ad alcune leggende cristiane sull’arrivo di Sant’Eugenio, che si vuole sia vissuto e morto sull’isola. Sulla sua sommità sono presenti i ruderi di una torre circolare di avvistamento e di una chiesetta risalente al IV secolo.
La presenza della chiesa e delle leggende sul santo cristiano fanno presumere che l’isola fosse un luogo di sacri culti in epoca precristiana. A me basta solo osservarla per averne l’intima certezza.



Ho scrutato l’isola fino a perdermici. Poi, tornata in me e ricongiunta al mio compagno, abbiamo osservato il mare, divertendoci a scegliere quali, fra le infinite sfumature dell’acqua, preferivamo. Più verdi e chiare le sue, più verde-blu intenso le mie. Avremmo voluto saltarci dentro, ma da lì chiaramente non era possibile.
Alle nostre spalle, sulle rocce, sorgeva ciò che rimane della Torre d’Ere, simile alle molte altre vicine, così come alla Torre delle Streghe che si trova più avanti, fra Noli e Varigotti.


Ci siamo riempiti gli occhi finché abbiamo potuto, quindi abbiamo ripreso la macchina e, saltando a piè pari l’autostrada ci siamo goduti la strada che costeggia il mare quasi fino alla nostra seconda tappa della giornata, un posto che entrambi avevamo visitato in gita scolastica da piccoli e che, a me in particolare, chiamava da tanto tempo: le Grotte di Toirano.

Continua…

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Viaggio in Liguria. Camogli

Viaggio in Liguria - Prima giornata
Camogli, di scogli, mare e dragonarie


Di viaggi incantati, dalle mille piccole e grandi tappe che si muovono intorno e si riflettono dentro, portando a camminare fra il visibile e l’invisibile, ne ho appuntati tanti, tanti davvero. Ognuno di essi attende da molti anni, eppure il tempo non è che illusione, e a volte semplicemente le cose accadono quando è il loro tempo, non prima.
Una serie di circostanze, anche dolorose, hanno infine portato a compiere uno – il primo – di questi viaggi, un po’ più complessi, un po’ più impegnativi, per me prove da affrontare e cercare di superare con la serenità nel cuore – per quanto possibile. Non siamo tutte uguali, e se per alcune certe cose sono come porte aperte facili da oltrepassare, per altre sono muri da scalare, o da abbattere quando si trova la forza per farlo. E non si è da meno per questo, si è solo diverse, si ha un’indole diversa e la semplicità la si trova e realizza in altro. Spesso in qualcosa che, in egual modo, è muro per altre. Ognuna ha i suoi muri, ognuna ha le sue porte aperte. E coloro che giudicano questo – spesso con malignità – semplicemente sono povere dentro, e di valore ne hanno poco.
Ebbene, per me è molto difficile, e lo è sempre stato, viaggiare lontano e dovermi fermare a dormire in un luogo che non è casa mia. Siamo poche ad essere fatte in questo modo, e ancora meno ci capiscono. Quasi nessuno comprende l’importanza del riuscire a farlo, una volta ogni tanto, e magari, poco a poco, sempre di più. Questo viaggio, pertanto, per me è valso più di quanto avrebbe potuto valere per altre, e la sua bellezza è arricchita da questa mia personale e intima consapevolezza.
Un piccolo volo più alto degli altri, più lontano, più libero.
A benedirlo, una immensa luna piena sul mare.

Ci tenevo a introdurre questo viaggetto – svolto giovedì e venerdì scorsi – in questo modo perché per me è qualcosa di importante. Detto questo, sono pronta a portarvi con me nel cuore della bellezza.
Quello di cui sto per raccontare è uno dei molti itinerari che nel corso degli anni mi sono appuntata per esplorare in modo magico la Liguria. In questo primo percorso ho quindi scelto di svolazzare un po’ qui e un po’ là, per sfiorare più direzioni e cominciare a capire verso le quali volare ancora, per addentrarmi in modo più profondo e accurato. La ricerca delle case lontane da casa, quei luoghi del cuore e dell’anima nei quali ritrovarmi e stare bene, in compagnia – come in questo prezioso viaggio – o da sola.
Dopo aver ricordato come si fa a preparare una valigia, evitando di portarmi dietro anche gli arredi e riducendo tutto al minimo necessario, con varie spinte e incoraggiamenti del mio compagno siamo finalmente saliti in macchina, ho fatto il pieno e con una strana e immotivata serenità, che superava l’agitazione e mi sussurrava dentro finalmente, siamo partiti. Abbiamo deciso che ci saremmo dati il cambio alla guida – io soffro la macchina e preferisco guidare sempre, ma se la strada è dritta e tranquilla posso concedermi di consegnare le chiavi, con la stessa solennità di San Pietro, e riposarmi un pochino sul sedile del passeggero.
Siamo dunque partiti e ho imboccato la direzione Genova, con lo sguardo e il cuore ormai rivolti solo avanti. Il viaggio è stato piuttosto lungo, ma il momento in cui è apparso il mare, che non vedevo da tanti anni, è stato per me commovente. Credevo fosse una striscia di cielo più intensa, e invece, era lui. Ci siamo quindi fermati in un autogrill caro al mio compagno, che è subito diventato anche il mio preferito: subito dopo Masone, dove un’immensa pala eolica accarezza il vento. Dopo un caffè e una brioche abbiamo subito ripreso il viaggio, e dopo vari rallentamenti che lo hanno protratto più del previsto, siamo finalmente arrivati alla nostra prima tappa, sulla Riviera di Levante: la bellissima Camogli.



Camogli è un borgo marinaro attorniato dagli scogli, sui quali si infrangono onde dalla bianca spuma e l’incantevole acqua verde-blu. Veniva chiamata la Citta dei mille bianchi velieri, paese di capitani di mare, navigatori e bastimenti. Il suo nome potrebbe avere origini greco-liguri e derivare da cam, “basso”, e gi, “terra”, quindi “terra in basso”, significato che corrisponderebbe alla caratteristica topografica del borgo, un tratto di terra bassa sul mare. C’è però chi vuole che derivi da Camulo o Camulio, uno dei nomi attribuiti al dio Marte da Sabini ed Etruschi, oppure da Camolio, forse una divinità Gallo-Celtica.
Ciò che però veglia e protegge Camogli, ovvero la matrona della città che qui viene affettuosamente venerata, non è altri che la Stella Maris, il volto con il quale appare la Madonna in molte zone marittime. Lei è la stella che protegge e guida coloro che navigano sul mare, e riporta a casa i dispersi, materna e amorevole, signora delle acque marine e del cielo stellato. È tanto amata a Camogli che la sua festa, fatta di barche e lumini accesi sull’acqua, è la più partecipata. Nello stemma della città appare in cima una stella dorata, a simboleggiare “la forte devozione mariana verso la Stella di Mare (…).” (1)

Lasciata la macchina, abbiamo sceso scalini su scalini fino ad arrivare alla passeggiata – bollente – sul mare. La stanchezza e il caldo, eccessivo in questo tratto di percorso, mi hanno molto provata, ma la frescura e l’ombra del ponte che si affaccia sul porto, piano piano, mi hanno riportata in vita. Così di lì a poco abbiamo ripreso l’esplorazione verso il vecchio faro, passando accanto alla ringhiera dove migliaia di cuoricini sono stati appesi dagli innamorati, e attraverso la bella galleria dei pescatori, fino a incontrare le particolari installazioni a coda di balena. Non amo l’arte moderna, ma queste le ho adorate.


Salendo poi altre scale, abbiamo raggiunto la meta più ambita.
Il motivo che, prima ancora di conoscerne la storia, mi aveva spinta a scegliere questo borgo di mare, con i suoi colori caldi e vivaci, era una sua antica costruzione di guardia: Castel Dragone, chiamato anche Castello della Dragonara. Si tratta di un semplice castelletto di difesa sul mare, risalente probabilmente al XII o XIII secolo, che nel corso della storia ha avuto diverse vicissitudini ed è stato “roccaforte di avvistamento per difendere l’antico borgo e il tratto di costa circostante dalle incursioni dei pirati turco-barbareschi (…)” (2).
Il suo nome, dragonara, mi ha fatto pensare a un drago femmina che veglia e protegge il mare, oppure a una donna oltremondana dalle sembianze di serpente o drago, ma soprattutto mi ha ricordato lo spirito femminile, o la strega, che nella tradizione siciliana scatenava venti e tempesta: la dragunera. Ed è stato per me entusiasmante scoprire che, in un certo senso, è proprio a questo che la sua denominazione si riferisce.



Il Castello della Dragonara venne infatti chiamato così dal termine popolare dragonaria, che richiama la possanza del drago e significa “vortice d’aria di tempesta”, a indicare “la sua particolare posizione a picco sul mare spesso esposta a mareggiate e tempeste” (3). Senza conoscere quasi nulla di tutto questo, ho sentito che volevo vederlo, viverlo, ascoltarlo. La sua voce, il ribollire delle onde, il loro infrangersi sugli scogli, il ruggire infuriato dei venti. Da lì, ogni cosa è visibile, ed è possibile scrutare in lontananza, preavvertire ciò che verrà, quindi anticipare le mosse e agire; ovvero vegliare, e se necessario, difendere.
Lo immagino col mare cupo e arrabbiato, sferzato dalla dragonaria dalla quale prende nome… molto diverso dall’aspetto mite e lucentissimo con il quale mi appare mentre gli sono accanto. Certe volte è negli aspetti più violenti della natura che le perle più preziose emergono dagli abissi e generano meraviglia. Tuttavia, sembra non essere questa una di quelle volte, pertanto mi godo la visione piena di bellezza luminosa, in pace.
Nessuna burrasca all’orizzonte, nessuna invasione imminente. Ogni cosa andrà bene.


Dopo aver osservato a lungo il Castello della Dragonara, ed esserci immersi nel paesaggio incantevole che lo circonda, abbiamo convenuto che se non mangiavamo un boccone saremmo probabilmente deceduti lì, così siamo scesi nuovamente verso la spiaggia di scogli, dove i numerosi negozietti e locali marinari accoglievano in un tripudio di colori e profumi – e che profumi! Abbiamo scelto un posto carino in cui mangiare e ci siamo rilassati davanti a una insalatona leggera ma gustosa per me, e la tipica focaccia ripiena al formaggio – eravamo attaccati a Recco, dopotutto – per lui.


Dopo mangiato abbiamo trascorso del tempo seduti sugli scogli a guardare il mare, mentre il sole lentamente si spostava dietro la Dragonara. Un momento di pace assoluta. Dopo la sofferenza degli ultimi mesi, è stata una medicina.


Quando abbiamo avuto voglia di alzarci, con gli occhi saturi di colori, ci siamo quindi incamminati verso la macchina. Mi sono ripromessa di tornare per adottare qualche pesciolino di legno dalle botteghe della passeggiata, ma ad attirare la mia attenzione sono state due splendide sirene dipinte che sorridevano accanto all’ingresso di un negozio di acconciature. Una delle due, in particolare, mi ha toccato il cuore. Il suo dolce sorriso è stata una carezza, e mi ha ricordato, ancora una volta, l’amore che ho sempre nutrito per loro – anche se col tempo l’ho un po’ dimenticato, o volutamente abbandonato.
Ricorda che ciò che sei non cambia col tempo e la dimenticanza, resta sempre uguale. Ciò che sei, lo sei e sarai sempre. La sirenetta dipinta sembrava proprio sussurrare queste parole. Forse, il loro vero significato, lo sappiamo solo noi.


Lasciate a malincuore le due sirene con le conchiglie e l’amorevole sorriso, abbiamo proseguito. Ci aspettava un altro tratto di autostrada per raggiungere la Riviera di Ponente, e lì, il nostro albergo.

Continua…

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Approfondimento
Radici di Strega - La dragunera, strega marina dei venti

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note:

1. Vedi Camogli e Dintorni - Cenni Storici
2. Vedi Welcome Camogli - Castello della Dragonara
3. Ibidem.

giovedì 3 luglio 2025

Il Santuario di Sant'Euseo. Di acqua, roccia e fuoco

Sono i luoghi di potere curativo che negli ultimi mesi, anche per via della mia stessa necessità di guarigione, mi attraggono e, ogni volta, mi donano benessere e fiducia. Dopo aver conosciuto il Santuario di Sant’Anna, dove la roccia ramata ha accolto le mie parole, martedì è stato il momento di un santuario simile, accomunato al precedente, così come ad altri poco lontani – Boca, Azoglio e Varallo soprattutto – dalla presenza della stessa roccia rossa, considerata pregna di potere tellurico: il Santuario di Sant’Euseo, a Serravalle Sesia.
Ci siamo stati, il mio compagno di viaggio e io, dopo un impegno vicino a Varallo, dove sono andata a trovare la mia casetta di pietra – in attesa di essere ristrutturata – e a controllare che l’erba che avevo fatto tagliare pochi giorni prima avesse liberato il terreno e il piccolo ruscello canterino. Dopo una passeggiata nel centro della cara Varallo, dove ci siamo saziati di golosità, sotto a nuvoloni scuri e incombenti che minacciavano temporale, abbiamo quindi fatto una breve tappa al santuario.



Sapevo cosa cercare, ma non l’ho trovato immediatamente. Sul subito mi sono lasciata ingannare dalla grande scalinata che mi ha portata nella parte alta e più recente – e per me poco interessante – della chiesa. Per un breve momento ho seguito l’apparenza, ciò che si vuole che tutti seguano, e come sempre, non ho trovato nulla – del resto amo arrivare alle cose magiche lentamente, lasciandole per ultime, e godendomele solo dopo aver esaurito l’attenzione per tutto ciò che, di poco conto, le circonda.



Scendendo e cercando vicino alla terra ciò che volevo incontrare, l’ho trovato. A lato della grande scalinata, sorge infatti la parete volutamente costruita sulla roccia sacra, come ad assorbirla nelle mura della chiesa, la stessa roccia ramata dei santuari vicini.




Non solo, questo santuario contiene un altro piccolo mistero. Proprio sotto alla scalinata grande, sale infatti una scala più piccola, che porta inspiegabilmente a un muro verticale, o meglio, a ciò che vi giace accanto. Per distogliere l’attenzione dall’usanza antica è stata aperta una sorta di finestra che dà su una cappella rocciosa, nella quale è stata posta la statua di Sant’Euseo, ma ciò che ha vero valore non è questo, ma una cavità alla base del muro, un buco circolare scavato nella roccia, all’interno del quale si raccoglie l’acqua piovana. Questa acqua, che riempie naturalmente la piccola conca, era ritenuta guaritiva, tanto che in passato le donne solevano raccoglierla nelle bottigliette e portarla a casa.




Dopo aver salito la scaletta, e aver osservato a lungo il buco rotondo, ho quindi immerso le dita nell’acqua coperta di foglie secche, fredda e scura, ripromettendomi di tornare a raccoglierne una boccetta per scopo curativo e magico.
Scesa la scala, mi sono quindi avvicinata alla roccia rossa, così simile alle altre, e toccandola ho richiesto guarigione e fortuna.
Riunita al mio compagno di viaggio, che scopriva il luogo a modo suo – poiché ognuno ha il proprio modo, ed è giusto rispettarlo – abbiamo quindi esplorato il resto dell’edificio, camminandoci attorno. Mi ha attirata una vecchia campana appesa a uno degli archi del porticato superiore. Il santuario è imponente, ma forse un poco abbandonato a se stesso.


Tornando vicino alla scala della conca, e allontanandomi lentamente dopo aver scattato qualche fotografia, ho quindi notato la presenza di una fontana infissa nel muro della scala maggiore, ricordando solo più tardi che fa parte della sacralità del luogo, poiché è una fonte naturale. Questo santuario è un luogo al quale non manca nulla di ciò che, anticamente, suscitava devozione e pratiche magico-religiose. L’acqua pura della fonte, l’acqua piovana con le sue proprietà curative, e quindi la roccia rossa, ricca di rame. Si potrebbe pensare che manchi solo il fuoco, ma non è così: l’amico autore Roberto Gremmo ricorda infatti che Don Florindo Piolo nel suo Storia del Comune di Serravalle, riportava che proprio nelle vicinanze di Sant’Euseo, “alla vigilia di Pentecoste, veniva acceso un gran fuoco, con legna raccolta precedentemente di casa in casa per tutto il paese e veniva acceso in cima al dirupo che sta a fianco del santuario e che da questo fuoco prende il nome di Falòr.” (1) Un falò propiziatorio, come suggerisce Gremmo, “l’ultimo tassello di una religiosità naturale che rende straordinario il sito dove vicino al Sesia su un massiccio blocco litico si venera la cavità guaritrice, ci si disseta ad una fonte perenne e si medita fra frondosi alberi secolari accendendo fiamme propiziatrici.” (2)
Forse, ciò che sembra abbandonato a se stesso, solitario – incompreso, se non da pochə – è solo in silenziosa attesa. Ancora pregno di memorie passate, perlopiù dimenticate, svela tuttavia il suo potere ancora presente: nella roccia, nell’acqua, nella linfa, nel vento, e nel riverbero lontano di un fuoco spento, del quale, tuttavia, la parola magica falòr riaccende la fiamma.
Così ogni cosa è dove deve essere, e come deve essere. Allora come adesso.

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Tornando verso casa, è capitato di nuovo, come ormai capita quasi ogni volta. Una ghiandaia, nel suo volo turchino, ha attraversato il passaggio, volando da sinistra verso destra. Succede quasi sempre, e anche la direzione del volo è sempre la stessa. Non so se sia un messaggio – vola nell’azzurro e portalo nelle tue ali, ovunque tu vada, forse sta dicendo – ma so che fa parte dei miei piccoli momenti magici. Perché non importa dove io vada, e cosa voglia vedere ed esplorare – spesso sentendomi persino a disagio in alcuni dei luoghi che percorro. Ciò che importa è cogliere il momento magico, quello che parla dentro. È quello che nutre veramente, e che lascia la sua impronta di luce nell’anima. L’unica che può comprenderlo, e custodirlo.


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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note:

1. Tratto da Roberto Gremmo, Valsesia magica e misteriosa, Botalla Editore, Biella, 2023, pagg. 28-29.
2. Ibidem, pag. 29.