L’abbiamo raggiunta, io, il mio compagno di viaggio e mia mamma, dopo aver guidato sotto una pioggia persistente, che tuttavia aveva trasformato il lago, con le nuvole bianche e bassissime, quasi a toccare l’acqua, in un paesaggio magico, più di quanto avrei immaginato. Dapprima sono apparsi gli stracci di nubi alla base delle montagne, poi le acque mosse, e la mia anima ha iniziato a cantare. Le avrei raggiunte più tardi, con gioia.
Villa Simonetta, o delle Azalee, è senza dubbio molto bella, anche se abbiamo potuto vedere solo l’esterno, una saletta interna dove abbiamo ascoltato la sua storia, e il giardino. Si tratta di una villa interamente costruita in granito, lo stesso scavato per decenni dalla montagna alle sue spalle, sotto il santuario della Madonna del Sasso. Germano Simonetta con la sua famiglia giunse ad Alzo nel 1844 per intraprendere l’attività estrattiva della montagna. Nel corso degli anni l’attività passò ai suoi discendenti – oggi estinti – che esportarono il granito in tutto il mondo, continuando l’estrazione anche durante la Seconda Guerra Mondiale, quando blocchi di granito partirono da Pella, destinati ad “abbellire” il Palazzo della Vittoria a Berlino. Vista la gloriosa sconfitta dei nazisti, invece, la pietra venne impiegata altrove.
La costante scavatura rese pericolante parte della montagna, rischiando di far crollare la porzione di roccia e il santuario della Madonna del Sasso, pertanto grazie alle proteste, finalmente ascoltate, degli abitanti di Pella, le attività estrattive vennero bloccate a metà del 1900. L’ultimo dei Simonetta, per sfidare chi sosteneva che la montagna sarebbe potuta crollare, fece appositamente costruire la sua villa sotto la sporgenza della montagna, esattamente sulla linea di direzione del suo crollo, se questo fosse avvenuto – e che potrebbe ancora avvenire se la zona fosse interessata da un moderato terremoto. Una sfida non solo alla natura, dopo averla deturpata per decenni, ma anche al destino – e al buonsenso, aggiungerei. Questo rappresenta la Villa Simonetta. Ciò nonostante – e con una certa irritazione che personalmente ho provato nell’ascoltare questa storia – la sua forma, i suoi colori, e il suo giardino, con la ghiacciaia anch’essa costruita in granito, sono oggettivamente belli.
Nel giardino sono presenti alcuni alberi solitamente conosciuti allo stato di arbusti o siepi, che lasciati crescere si sono sviluppati in forme e dimensioni mai viste. Ricordo in particolare un albero di lauro ceraso, un cedro del Libano e un grande osmanto, sotto la pioggerella, con le foglie lucide e gocciolanti, immersi nel lieve canto d’acqua, sotto a una sporgenza di montagna impressionante.
Io il timore per quelle rocce l’ho sentito, e gli rendo onore. Coloro che non temono la natura, ma la sfruttano fino all’osso, per poi sfidarla con spavalderia, prima o poi ne conosceranno le conseguenze. Se non in una vita, nelle prossime.
Lasciata Villa Simonetta, ci siamo spostati verso il lago, e qui ho visto qualcosa che mi rimarrà dentro per sempre.
Ricordo, ormai più di dieci anni fa, una donna di Briga Novarese che, riferendosi alla vista nebbiosa della montagna sulla quale sorge la Torre del Buccione – che vista da lontano ricorda veramente il Tor di Glastonbury – l’aveva definita la sua Avalon. Allora, anche un semplice viaggio sul Lago d’Orta era per me una piccola impresa, ma il desiderio di quella visione, di sentirla in quel modo, mi era rimasta impressa. Proprio nelle ultime settimane, lavorando sul simbolo della torre, quella necessità era tornata a chiamarmi forte, eppure non mi aspettavo che si sarebbe realizzata così presto e in modo così inaspettato e intenso.
Raggiunta la sponda piovosa del lago, a Pella, volgendo lo sguardo verso le acque e i profili sfumati delle sponde opposte, semplicemente me la sono trovata davanti. Una montagna nebbiosa, con un profondissimo lago davanti, e una torretta sulla cima a ricordare proprio quella Avalon.
Seppur mutate dentro di me o abbandonate nel corso degli anni, certe vie a cui si ha appartenuto non se ne vanno mai del tutto, e con loro il modo in cui forse, in un tempo passato, erano state immaginate e intensamente amate.
Quella Avalon adesso era lì, davanti a me, in quel momento inatteso e quindi ancora più commovente. Ricordi passati sono riemersi dalle nebbie, dalle nuvole, dalle acque increspate, e con loro una grande nostalgia. Mi sei mancata, ho pensato.
Sono rimasta lì davanti, in un momento in cui, pur non essendo sola, ero sola dentro di me, sola con me stessa. Io e la visione. Io e il sogno dimenticato, eppure mai abbandonato.
Non è stato facile tornare nel presente, ma faceva freddo e avevo bisogno di bere un caffè caldo e mangiare qualcosa, per cui siamo andati nella minuscola e splendida crêperia e gelateria La Torre. Un elemento costante, ultimamente.
Davanti alla crêpe alla Nutella per un attimo ho dimenticato tutto, mentre mia mamma ne gustava una salata alla toma piemontese e Giuseppe una deliziosa alla marmellata di arance e Grand Marnier. Mi ha ricordato le crêpe flambé che da piccolina, nei numerosi viaggi in Francia con i miei genitori, vedevo spesso apparire nei ristoranti. Quel fuocherello azzurro mi piaceva da morire, e mi dicevo che da grande le avrei prese anche io. Non ho ancora realizzato quel piccolo semplice desiderio di bambina, e spero di farlo presto.
Usciti dalla crêperia, non ho potuto fare a meno di affacciarmi di nuovo sulle acque del lago, cercando di nuovo quella visione tanto amata. Ma le visioni sono quello che sono. Avalon è ciò che è. Un’isola ultraterrena, che compare e scompare, che si rivela e che subito dopo nebbie e nuvole nascondono nuovamente. C’è ma non la vedi, è lì e un attimo dopo non lo è più.
Le nuvole e la foschia avevano coperto completamente quell’immagine lontana e inafferrabile. E non poteva che essere così. La magia era compiuta.
Mi sono commossa di nuovo. Forse un giorno ricomincerò a cercarla, con quell’amore viscerale con cui l’avevo cercata tanti anni fa – molto prima che diventasse ciò che è oggi. Perché per me non è mai stata né sarà mai un luogo fisico da raggiungere con i mezzi di trasporto, per me non è una cittadina pittoresca della campagna inglese. Per me è sempre stata e sempre sarà altro. Un luogo dell’anima, una visione, un istante, ciò che è ovunque e in nessun posto, qualcosa che a volte compare e se sei fortunata puoi raggiungere, poco prima che l’istante passi e scompaia ancora.
Quel momento che ho vissuto, nel quale la mia anima ha cantato, ha ricordato e si è sciolta in una lacrima di pioggia, è stata Avalon, per me.
Di certo, non la dimenticherò di nuovo.
Come sento e scrivo spesso, molte volte parti per vedere qualcosa, e scopri che ciò che in realtà dovevi vedere era altro. Ringrazio quelle mete che mete non sono, ma mezzi per raggiungere altre mete, più profonde, magiche e inaspettate. Quelle che sono lì per te in quel momento, e che solo tu puoi cogliere, vivere, e far rivivere dentro e attorno.
***
La pioggia ha continuato a cadere, la visione era sfumata, io ero piena di bellezza.
Il paesino che avremmo dovuto raggiungere è stato rimandato. Faceva molto freddo e l’idea di tornare a casa, questa volta a bere un tè bollente al calduccio, ha avuto la meglio su tutto.
Per me, non vi era altro che quella giornata, iniziata in modo turbolento e terminata nella perfezione, poteva dare.
Avevo tutto ciò che potevo desiderare. Una calda luce nel cuore e una storia da raccontare.
Sì, la magia era compiuta.
***
ALBUM FOTOGRAFICO
***
Nessun commento:
Posta un commento