lunedì 31 marzo 2025

Villa Simonetta a Pella e la visione dell'Isola sacra

Le pesanti nuvolone grigie e la pioggerella non hanno spento la voglia di spostarmi verso un altro luogo aperto in occasione delle giornate del FAI, ovvero una villa molto particolare situata ad Alzo di Pella, sul Lago d’Orta, che avevo scelto soprattutto per il desiderio di rivedere quella parte di lago per poi proseguire verso un altro paesino poco lontano. Della Villa Simonetta infatti non sapevo nulla e apprendendone un pochino la storia devo ammettere che le mie sensazioni sono state molto contrastanti.
L’abbiamo raggiunta, io, il mio compagno di viaggio e mia mamma, dopo aver guidato sotto una pioggia persistente, che tuttavia aveva trasformato il lago, con le nuvole bianche e bassissime, quasi a toccare l’acqua, in un paesaggio magico, più di quanto avrei immaginato. Dapprima sono apparsi gli stracci di nubi alla base delle montagne, poi le acque mosse, e la mia anima ha iniziato a cantare. Le avrei raggiunte più tardi, con gioia.


Villa Simonetta, o delle Azalee, è senza dubbio molto bella, anche se abbiamo potuto vedere solo l’esterno, una saletta interna dove abbiamo ascoltato la sua storia, e il giardino. Si tratta di una villa interamente costruita in granito, lo stesso scavato per decenni dalla montagna alle sue spalle, sotto il santuario della Madonna del Sasso. Germano Simonetta con la sua famiglia giunse ad Alzo nel 1844 per intraprendere l’attività estrattiva della montagna. Nel corso degli anni l’attività passò ai suoi discendenti – oggi estinti – che esportarono il granito in tutto il mondo, continuando l’estrazione anche durante la Seconda Guerra Mondiale, quando blocchi di granito partirono da Pella, destinati ad “abbellire” il Palazzo della Vittoria a Berlino. Vista la gloriosa sconfitta dei nazisti, invece, la pietra venne impiegata altrove.
La costante scavatura rese pericolante parte della montagna, rischiando di far crollare la porzione di roccia e il santuario della Madonna del Sasso, pertanto grazie alle proteste, finalmente ascoltate, degli abitanti di Pella, le attività estrattive vennero bloccate a metà del 1900. L’ultimo dei Simonetta, per sfidare chi sosteneva che la montagna sarebbe potuta crollare, fece appositamente costruire la sua villa sotto la sporgenza della montagna, esattamente sulla linea di direzione del suo crollo, se questo fosse avvenuto – e che potrebbe ancora avvenire se la zona fosse interessata da un moderato terremoto. Una sfida non solo alla natura, dopo averla deturpata per decenni, ma anche al destino – e al buonsenso, aggiungerei. Questo rappresenta la Villa Simonetta. Ciò nonostante – e con una certa irritazione che personalmente ho provato nell’ascoltare questa storia – la sua forma, i suoi colori, e il suo giardino, con la ghiacciaia anch’essa costruita in granito, sono oggettivamente belli.



Nel giardino sono presenti alcuni alberi solitamente conosciuti allo stato di arbusti o siepi, che lasciati crescere si sono sviluppati in forme e dimensioni mai viste. Ricordo in particolare un albero di lauro ceraso, un cedro del Libano e un grande osmanto, sotto la pioggerella, con le foglie lucide e gocciolanti, immersi nel lieve canto d’acqua, sotto a una sporgenza di montagna impressionante.
Io il timore per quelle rocce l’ho sentito, e gli rendo onore. Coloro che non temono la natura, ma la sfruttano fino all’osso, per poi sfidarla con spavalderia, prima o poi ne conosceranno le conseguenze. Se non in una vita, nelle prossime.


Lasciata Villa Simonetta, ci siamo spostati verso il lago, e qui ho visto qualcosa che mi rimarrà dentro per sempre.
Ricordo, ormai più di dieci anni fa, una donna di Briga Novarese che, riferendosi alla vista nebbiosa della montagna sulla quale sorge la Torre del Buccione – che vista da lontano ricorda veramente il Tor di Glastonbury – l’aveva definita la sua Avalon. Allora, anche un semplice viaggio sul Lago d’Orta era per me una piccola impresa, ma il desiderio di quella visione, di sentirla in quel modo, mi era rimasta impressa. Proprio nelle ultime settimane, lavorando sul simbolo della torre, quella necessità era tornata a chiamarmi forte, eppure non mi aspettavo che si sarebbe realizzata così presto e in modo così inaspettato e intenso.


Raggiunta la sponda piovosa del lago, a Pella, volgendo lo sguardo verso le acque e i profili sfumati delle sponde opposte, semplicemente me la sono trovata davanti. Una montagna nebbiosa, con un profondissimo lago davanti, e una torretta sulla cima a ricordare proprio quella Avalon.
Seppur mutate dentro di me o abbandonate nel corso degli anni, certe vie a cui si ha appartenuto non se ne vanno mai del tutto, e con loro il modo in cui forse, in un tempo passato, erano state immaginate e intensamente amate.



Quella Avalon adesso era lì, davanti a me, in quel momento inatteso e quindi ancora più commovente. Ricordi passati sono riemersi dalle nebbie, dalle nuvole, dalle acque increspate, e con loro una grande nostalgia. Mi sei mancata, ho pensato.
Sono rimasta lì davanti, in un momento in cui, pur non essendo sola, ero sola dentro di me, sola con me stessa. Io e la visione. Io e il sogno dimenticato, eppure mai abbandonato.


Non è stato facile tornare nel presente, ma faceva freddo e avevo bisogno di bere un caffè caldo e mangiare qualcosa, per cui siamo andati nella minuscola e splendida crêperia e gelateria La Torre. Un elemento costante, ultimamente.
Davanti alla crêpe alla Nutella per un attimo ho dimenticato tutto, mentre mia mamma ne gustava una salata alla toma piemontese e Giuseppe una deliziosa alla marmellata di arance e Grand Marnier. Mi ha ricordato le crêpe flambé che da piccolina, nei numerosi viaggi in Francia con i miei genitori, vedevo spesso apparire nei ristoranti. Quel fuocherello azzurro mi piaceva da morire, e mi dicevo che da grande le avrei prese anche io. Non ho ancora realizzato quel piccolo semplice desiderio di bambina, e spero di farlo presto.
Usciti dalla crêperia, non ho potuto fare a meno di affacciarmi di nuovo sulle acque del lago, cercando di nuovo quella visione tanto amata. Ma le visioni sono quello che sono. Avalon è ciò che è. Un’isola ultraterrena, che compare e scompare, che si rivela e che subito dopo nebbie e nuvole nascondono nuovamente. C’è ma non la vedi, è lì e un attimo dopo non lo è più.
Le nuvole e la foschia avevano coperto completamente quell’immagine lontana e inafferrabile. E non poteva che essere così. La magia era compiuta.


Mi sono commossa di nuovo. Forse un giorno ricomincerò a cercarla, con quell’amore viscerale con cui l’avevo cercata tanti anni fa – molto prima che diventasse ciò che è oggi. Perché per me non è mai stata né sarà mai un luogo fisico da raggiungere con i mezzi di trasporto, per me non è una cittadina pittoresca della campagna inglese. Per me è sempre stata e sempre sarà altro. Un luogo dell’anima, una visione, un istante, ciò che è ovunque e in nessun posto, qualcosa che a volte compare e se sei fortunata puoi raggiungere, poco prima che l’istante passi e scompaia ancora.
Quel momento che ho vissuto, nel quale la mia anima ha cantato, ha ricordato e si è sciolta in una lacrima di pioggia, è stata Avalon, per me.
Di certo, non la dimenticherò di nuovo.

Come sento e scrivo spesso, molte volte parti per vedere qualcosa, e scopri che ciò che in realtà dovevi vedere era altro. Ringrazio quelle mete che mete non sono, ma mezzi per raggiungere altre mete, più profonde, magiche e inaspettate. Quelle che sono lì per te in quel momento, e che solo tu puoi cogliere, vivere, e far rivivere dentro e attorno.

***

La pioggia ha continuato a cadere, la visione era sfumata, io ero piena di bellezza.
Il paesino che avremmo dovuto raggiungere è stato rimandato. Faceva molto freddo e l’idea di tornare a casa, questa volta a bere un tè bollente al calduccio, ha avuto la meglio su tutto.
Per me, non vi era altro che quella giornata, iniziata in modo turbolento e terminata nella perfezione, poteva dare.
Avevo tutto ciò che potevo desiderare. Una calda luce nel cuore e una storia da raccontare.
Sì, la magia era compiuta.

***

ALBUM FOTOGRAFICO

***

Le rovine e la torre del Castello di Sopramonte

Probabilmente ricorderò questi piccoli viaggi quando avrò recuperato il benessere del mio corpo, e mi onorerò per averli fatti nonostante i disagi, il fastidio, e a volte il dolore. Mi guarderò indietro e celebrerò la pazienza avuta, con amore.
D’altra parte, quando il risveglio della natura riempie l’aria, è molto difficile stare chiuse in casa, soprattutto durante le giornate del FAI. Questa volta le mete che ho scelto, comode e vicine a casa, sono state solo due, anche per via della pioggia. Una delle due, in particolare, mi aveva molto incuriosita, sia per via dell’accenno a una misteriosa leggenda, sia perché si trattava delle rovine di un antico castello, nel quale era presente un simbolo su cui sto lavorando interiormente in questo periodo, la torre.
Si tratta dei resti del Castello di Sopramonte, a Prato Sesia, risalente a XII secolo, di cui non conoscevo l’esistenza pur essendoci passata sotto svariate volte. La sua leggenda mi aveva affascinata a tal punto da fare diverse ricerche prima di andare sul posto, e da acquistare appositamente un libro, unica copia disponibile, di uno sconosciuto autore pratese ottocentesco. Il tutto per scoprire che con ogni probabilità la leggenda non è altro che un’invenzione recente, in quanto pare non esistere fonte alcuna, a parte il libro suddetto, che però in realtà racconta una storia diversa.


La leggenda dice che nel castello aveva vissuto una bambina, una contessina di nome Beatrice, e che durante un brutale assalto i suoi genitori, per salvarle la vita, l’avevano fatta nascondere all’interno della torre, per poi venire uccisi davanti ai suoi occhi. La bambina nascosta era quindi sopravvissuta e la torre era stata risparmiata dalla devastazione degli invasori. Ancora adesso, è l’unica superstite rimasta pressoché intatta tra le rovine del castello che le sorgeva accanto.
Per giorni ho cercato l’origine di questa storia, quella bimba nella torre mi aveva colpita. Ho recuperato quindi l’unico libro che sembrava potesse contenerla, il romanzo ottocentesco dell’avvocato Anselmo Prato, intitolato Beatrice di Sopramonte, ma leggendone diverse parti mi sono accorta che non aveva nulla a che vedere con essa.
L’introduzione scritta in occasione della sua ristampa del 1982 lo indicava come un romanzo che di storico non aveva nulla, ma che era tuttavia interessante per via delle note storiche contenute, mentre prima ancora, nel 1871, ne faceva cenno con queste parole l’autore Carlo Dionisotti:

Sul colle di Sopramonte (…) che in breve si ascende, e da cui lo sguardo si pasce di gradevole vista, sorgeva un castello costrutto da Bartolomeo Tornielli circa il 1300, di cui si osservano alquanti avanzi, ed una torre isolata. (…) Scrisse una leggenda sul detto castello l’avvocato Anselmo Prato, intitolata: Beatrice di Sopramonte; leggenda immaginaria, in cui si raccontano le vicende di contrastate affezioni.” (1)

Una leggenda immaginaria, dunque, il romanzo Beatrice di Sopramonte, che tuttavia non fa cenno alla Beatrice bambina, in quanto nella storia la contessa è adulta ed è parte di una contrastata storia di forte impronta manzoniana.
Dal momento che la pagina del FAI faceva cenno alla leggenda, ero curiosa di andare ad ascoltare come ne avrebbero parlato, indecisa se mettere in difficoltà i poveri ciceroni con domande scomode su una bibliografia inesistente. Al di là di questo, quelle rovine e quella torre le volevo fortemente incontrare, anche se a malincuore avrei dovuto rinunciare a immaginarci la piccola contessina Beatrice.

Con queste idee per la testa, ho quindi organizzato l’esplorazione, e dal momento che non conoscevo il percorso per raggiungere a piedi il castello – e non sapevo se era adatto o meno per portare con me anche mia mamma – ho deciso di andarci prima del fine settimana, per poi tornarci in occasione dell’evento FAI.
Con il mio compagno di viaggio, arrivati a Prato Sesia, ci siamo dunque incamminati su per la stretta stradina in salita, fra pietre e tratti di fango, che sin dai primi metri si è rivelata abbastanza difficoltosa. Breve ma intensa, come si suol dire. La primavera però aveva in serbo qualche sorpresa che mi ha subito rapito il cuore. Lungo il tratto boscoso erano spuntati fiori selvatici e alcune piantine medicinali che sono stata più che mai felice di trovare. La pulmonaria, con i suoi fiorellini viola e rosa e le foglie maculate, e una piantina che desideravo trovare da un anno, la consolida maggiore, nella varietà gialla femmina. Accanto, tappeti di pervinche, anemoni nemorose e ovviamente primule.
Già solo quel tratto di salita per me valeva il viaggio, così quando abbiamo raggiunto il vasto pianoro di Sopramonte, il mio cuore era già pieno.
Per prima cosa abbiamo incontrato la torre, risalente all’XI secolo, più spoglia di come l’avevo vista in alcune fotografie nelle quali l’erba alta e alcuni alberi, di cui non c’era più traccia, la rendevano simile a un luogo fiabesco immerso nel verde e nel fogliame. Nuda e solitaria, non mi ha trasmesso ciò che speravo, ma una sua particolarità mi ha comunque affascinata. Non è ovviamente accessibile perché pericolante, ma anche se alla base è stata recentemente realizzata una porticina, in origine la sua sola e unica porta di accesso era a circa nove metri da terra, dove più tardi venne costruito il balconcino. Vi era un unico modo per accedervi dall’esterno: chi era all’interno doveva calare le trecce, o meglio, una lunga scala, che poi veniva ritirata al suo interno. La funzione della torre era infatti quella di avvistamento e protezione del luogo. Non vi abitava dunque Raperonzolo con la sua lunga chioma, e nemmeno la contessina Beatrice, ma guardie di protezione, forse poco fiabesche – anche se dipende dai punti di vista – ma quanto mai necessarie per la comunità intera.
Vegliare dall’alto, proteggere, difendere dalle minacce esterne, nobili gesti che spesso vengono sottovalutati o esecrati, ma che non dovrebbero mai venire a mancare.



Lasciata la torre, ci siamo spostati verso le rovine del castello, passando accanto al suo oratorio, la ecclesia Sanctae Mariae de Supramonte, al cui interno sono presenti alcuni affreschi interessanti e la cui prima notizia risale al 1284. È probabile che il santuario originario sia sorto per cristianizzare un luogo dedicato a una divinità delle altezze, che venne assorbita da Santa Maria di Sopramonte. Spostandoci verso il limitare del pianoro, la vista che si apre sulla catena montuosa è bellissima. Davanti a tutti spicca il caro Monte Fenera, mentre una mappa dei monti posta sul limitare dello spazio recintato aiuta a riconoscere le vette più lontane.


Ci siamo fermati un pochino a riposarci, sedendoci sull’orribile panchina gigante – che a mio parere dovrebbe essere demolita insieme a tutte le altre – dove abbiamo mangiato qualcosa prima di riavviarci verso il mondo di sotto.

Ripercorrendo il sentiero in discesa ho colto qualche rametto di pulmonaria e uno solo di consolida, avendo appurato che non sono erbe protette. Le userò per creare una miscela di guarigione da bruciare o tenere vicino in un sacchettino magico.
Prima di tornare a casa, abbiamo fatto tappa in un bar di Romagnano Sesia per rifocillarci con caffè e brioche al cioccolato. Il percorso del castello era chiaramente inadatto a portarci mia mamma, per cui ci sarei tornata la domenica del FAI, in solitaria.

***

La domenica, sfidando pioggerella e nuvoloni, sono quindi tornata sul posto e ho ascoltato con piacere ciò che la giovane cicerona ha narrato con passione. Con mia sorpresa e un pizzico di delusione, non è stato fatto alcun cenno alla leggenda della contessina Beatrice. Forse era stato compreso che non era affidabile e quindi si ha preferito evitare di parlarne.
Il tempo passato di nuovo fra le rovine del castello e la torre, con i nuvoloni minacciosi che gravavano su di loro, è stato molto piacevole e suggestivo.



Il Castello di Sopramonte è stato un sito importante per il tempo in cui venne abitato e vissuto. Un luogo di altezza, separato dal mondo di sotto, vegliato e protetto.
Mi ha ispirato spunti di riflessione personali e al contempo ha confermato ciò che sento in merito a ciò che sta accadendo nel mondo attuale. Un punto di vista forse per moltə impopolare, ma giusto per me.

Ringrazio il FAI per aver fatto conoscere questo e altri luoghi, nei quali – come il prossimo – ho personalmente potuto vivere momenti di sospensione e bellezza che mi hanno nutrita e di cui avevo davvero bisogno.


***

Curiosità:
Cercando qualche notizia sull’utilizzo pratico della pulmonaria ho trovato questo breve video molto bello nel quale viene spiegato anche il motivo per cui i suoi fiorellini sono sia blu che rosa. La natura è davvero magica. Trovate il video qui: Pulmonaria

***

ALBUM FOTOGRAFICO

***

Note di Viaggio:
Per arrivare al Castello di Sopramonte raggiungere Prato Sesia e parcheggiare poco prima del campo da calcio. Quindi seguire le indicazioni per Sopramonte percorrendo a piedi il sentiero in salita. Sono raccomandate comode scarpe da trekking: la strada, per quanto breve, richiede agilità e molta attenzione.

***

Note:

1. Carlo Dionisotti, La Vallesesia ed il comune di Romagnano-Sesia, C. Favale e Comp. Editori, 1871, pagg. 38-39.

venerdì 7 marzo 2025

Quotidiana bellezza

Certe volte non c’è nulla da dire, nessuna storia da raccontare, nessuna elaborata ricerca da esporre, solo semplice, pura voglia di cogliere il momento, inaspettato, e raggiungere quell’argenteo luccicare che calma e guarisce.
A volte basta quel brillare, che è sempre lì, qualsiasi cosa accada. È lì, e fa ciò che è nella sua natura: brilla.
E basta quel momento di semplice, quotidiana bellezza per essere felici.
Una fetta di torta integrale alla confettura di albicocche, lo scintillare argenteo dell’acqua, il volo delle anatre, e la gioia.
Poco, forse per qualcuno nulla. Per me, tutto.




Un semplice pomeriggio di quotidiana bellezza a Orta San Giulio.
Niente più di questo.