L’autunno sembra ancora lontano, a parte la mattina presto e la sera, quando l’aria si fa pungente e i primi strati leggeri di nebbia velano le campagne.
Se non altro, nonostante il sole ancora caldo le temperature sono più sopportabili, e domenica scorsa erano decisamente fresche. Così, approfittando delle ultime giornate di apertura prolungata delle Isole Borromee – da ottobre a novembre i palazzi chiuderanno prima – abbiamo finalmente visitato l’ultima che ci mancava, la più solitaria e selvatica: l’Isola Madre.
Partiti nel primo pomeriggio e arrivati a Pallanza, dopo qualche peripezia tragicomica nel determinare la posizione esatta del traghetto da prendere – sorvolo sulla mia mezza crisi isterica – e un notevole colpo di fortuna perché per la prima volta, inspiegabilmente, era in ritardo, siamo quindi approdati sull’isola verdissima nel momento in cui si svuotava della maggior parte dei turisti. Un’immagine che mi ha procurato un intenso godimento.
Invertendo il programma, abbiamo preferito ristorarci subito al bar, con un buon caffè e una tortina di mele squisita – il prezzo un pochino meno – circondati da uccellini golosi che si posavano dappertutto e beccavano le briciole di torta dalle mani, e persino da due pavoni bianchi. Anche loro hanno beccato, con una delicatezza che non mi aspettavo, le briciole più grandi dalle mani, e quello un po’ spelacchiato che ho avuto accanto per tutta la durata della merenda mi è rimasto nel cuore.
Solo quando abbiamo finito di mangiare abbiamo notato il foglio plastificato, inserito nel porta-menù, dove c’era scritto di non offrire cibo a uccellini e pavoni – probabilmente la loro presenza irruenta e vivace può dare fastidio a un certo tipo di persone. Non gli avrei dato retta prima, e non l’ho fatto dopo. Con più discrezione, ho lasciato cadere a terra tutte le briciole rimaste nel piatto, fra il tripudio di gioia di tutti i volatili e una buona dose di soddisfazione mia.
Salutati uccellini e pavoni, iniziamo quindi l’esplorazione vera e propria dell’Isola, partendo dal cortile, con la splendida vasca di ninfee fiorite, e proseguendo nel Palazzo Borromeo, con le sue numerose stanze, i grandi letti a baldacchino, la sala da pranzo, lo studio, la biblioteca, i due teatri delle marionette – quello del paradiso e quello dell’inferno – e il Salotto Veneziano, con le pareti affrescate e il soffitto che richiama un pergolato fiorito, ma che, ammetto, mi ricorda una grande ed elegante ragnatela.
Leggendo i testi presenti sulla mappa dell’isola, scopro una piccola parte della sua storia:
Per il suo patrimonio botanico, tale da renderla esotica e particolare, Gustave Flaubert la definiva “il luogo più voluttuoso al mondo”.
“Emersa già nell’era glaciale, un documento del 22 settembre 846 testimonia la presenza sull’isola – allora nominata Isola di San Vittore – di poche case, una chiesetta dedicata al santo e alcune piante d’ulivo destinate alla produzione dell’olio da usare nelle liturgie.”
“L’Isola Madre, con i suoi otto ettari di estensione, è la più grande delle Isole Borromee. (…) I lavori sull’isola cominciarono nel 1513”, con il passaggio di proprietà dal vescovo di Novara al nobile Lancillotto Borromeo, “e le prime notizie documentate risalgono al 1583, quando Renato I Borromeo affida il cantiere di Palazzo all’architetto Pellegrino Tibaldi.”
“L’anima dell’isola è il suo parco che nel tempo ha donato a questo angolo di paradiso un’immagine sempre nuova. Da tenuta agricola con piantagioni di viti, ulivi, fichi, castagni e ciliegi alla creazione di terrazze all’italiana con aranci, limoni e cedri. A partire dall’Ottocento la vasta area agricola viene trasformata progressivamente in un giardino all’inglese, con la costruzione nel 1826 delle prime serre.
Rare specie botaniche provenienti da tutto il mondo, animali dai piumaggi variopinti e una vegetazione lussureggiante fanno ancora oggi di quest’isola un Eden sospeso sull’acqua. (…)
La dimora venne a lungo abitata dalla famiglia Borromeo, soprattutto tra Settecento e Ottocento.”
Intorno al 1990 “la principessa Bona Borromeo ha intrapreso un’importante campagna di restauri delle sale del Palazzo, aprendole poi al pubblico.”
Usciti all’esterno del palazzo, scopriamo di fronte all’ingresso un gigantesco cipresso del Kashmir, la sua grandezza è impressionante, e fagiani e pavoni sostano volentieri sotto i suoi folti rami piangenti. Da lì in avanti si apre il parco botanico, ombroso e freschissimo, abitato da fagiani e pavoni di tutti i colori, che indisturbati dalla nostra presenza ci camminano accanto attraverso i prati e lungo i sentieri che si affacciano sul lago.
Ammiro soprattutto il boschetto di altissimi bambù, che fanno sembrare, per qualche attimo, di essere davvero in qualche paese orientale, lontano ed esotico.
Anche il lato opposto del palazzo è ricco di vegetazione, questa volta fatta di fiori di molte specie diverse. Buganvillee, lantane, solani, ipomee e tante altre piante, creano armonie di colori brillanti lungo le mura illuminate dal sole.
Mentre camminiamo, continuo a sentire un profumo buonissimo, dolce e inebriante, ma pur annusando la maggior parte dei fiori non riesco a capire da dove provenga. Rimarrà un mistero che, dopotutto, mi piace che resti insoluto.
Il tramonto si avvicina, e con lui l’ultimo traghetto che riporterà alla terraferma. Nell’attesa, scatto ancora qualche fotografia ai fiori dell’isola e alle acque turchesi che amo tanto.
Saliti sul traghetto, l’ultimo raggio di sole svanisce oltre la montagna, e il lago si tinge di blu scuro. Mentre navighiamo sulle acque calme, in lontananza alcune vette oltre le vette appaiono fra veli bianco azzurri, in un momento liminale di assoluta bellezza.
Mi specchio in quella visione, in quei colori, e riconosco i colori della mia anima. Fra quelle sfumature posso perdermi e ritrovarmi, e sciogliermi, e dimenticare, per poi ricordare.
È un amato riflesso, e lo porto via con me.
Sono luoghi meravigliosi, queste isole, e le amo moltissimo. Sono certa che le incontrerò di nuovo, molto presto, quando l’autunno sarà arrivato, e le nebbie che salgono dal lago nasconderanno le loro sponde.
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ALBUM FOTOGRAFICI
Il Palazzo Borromeo
Il Giardino Botanico
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Note di Viaggio:
L’Isola Madre è la più lontana delle Isole Borromee rispetto a Stresa, e per limitare la durata della navigazione è possibile arrivare fino a Pallanza, a pochi chilometri da Verbania, e prendere il traghetto all’imbarcadero di Viale delle Magnolie. La traversata da lì dura solo 10 minuti, mentre da Stresa sono circa 40 minuti.
Per arrivare a Pallanza occorre prendere l’autostrada A26, in direzione Gravellona Toce, superando il casello di fine autostrada, proseguendo sulla SS33 e uscendo poco dopo, a Verbania.
Gli orari di visita all’Isola Madre dipendono dalla stagione, le date esatte sono sempre aggiornate sul sito delle Isole Borromee, alla pagina dedicata all’Isola Madre.
Da aprile a settembre l’isola è aperta tutti i giorni dalle 10:00 alle 17:30 (ultimo ingresso), il Palazzo chiude alle 18:00, mentre i giardini alle 18:30; nel mese di ottobre le chiusure sono anticipate di mezz’ora, il Palazzo chiude alle 17:30 e i giardini alle 18:00. Per i primi giorni di novembre la chiusura è anticipata alle 17:00. Da novembre a marzo, per la stagione invernale, l'isola resta chiusa alle visite.
Consiglio sempre di visitare il sito Isole Borromee per conoscere ogni aggiornamento di date e orari di visita.
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