mercoledì 26 ottobre 2022

Il Castello Bolognini di Sant'Angelo Lodigiano

Nuvole grigie e pioggia sottile sono fedeli compagne in questo incerto ottobre. Creano l’atmosfera giusta per andare a incontrare e conoscere un altro castello, questa volta lombardo. Si erge accanto al Lambro, in un punto dove il fiume è tanto stretto da sembrare un piccolo torrente, e appare quasi inaspettatamente, nel centro di Sant’Angelo Lodigiano.

Il viaggio comincia in modo turbolento, sono reduce da un noioso malessere e sono in ritardo. La visita è prenotata e ci tengo ad arrivare in tempo. La strada da percorrere è lunga e caotica, non avevo mai percorso le tangenziali milanesi, sono abituata ad autostrade tranquille e strade piacevoli, e trovarmi in mezzo a una marea di guidatori isterici mi inquieta e mi indispone. Per fortuna non viaggio da sola, e in questi casi una buona compagnia rende più sopportabili anche i tragitti più sgradevoli.
Finalmente il paesaggio cambia, tornano le amate campagne, immerse in una leggera foschia e profumate di umido, e dopo aver attraversato un passaggio sullo stretto e sinuoso Lambro, compare la grande fortezza dalle spesse mura di mattoni rossi.
Scesa dalla macchina, sento immediatamente lo stridulo verso che tanto mi sta a cuore. Le taccole ci danno il benvenuto, sono nascoste fra le guglie della torre. Le sento, non le vedo, ma so che ci sono, e dentro di me sorrido.


Una corsa per acquistare i biglietti – per fortuna il gruppo precedente aveva finito in ritardo, così perdiamo solo qualche parola – e la visita guidata ha inizio. Siamo nell’ampio cortine interno, nel cui centro si trova un bel pozzo di origine veneta posto in loco recentemente, all’inizio del 1900, e la giovane guida racconta delle origini del castello, “rocca a base quadrangolare irregolare” eretta dai Milanesi, la cui costruzione venne terminata nell’ottobre del 1224.
Inizialmente il castello fu proprietà dei Signori di Milano, “prima i Della Torre e poi i Visconti. Intorno al 1370 Bernabò Visconti donò la fortezza e le terre di S. Angelo alla moglie Regina della Scala (…).
Il castello fu poi conquistato con le armi da Francesco Sforza il 14 aprile 1452 per recuperare le terre appartenute ai Visconti e il 24 aprile dello stesso anno (…) lo Sforza donò il castello e le terre di Sant’Angelo ad un capitano di ventura, Michele Matteo detto il Bolognino, per favori ricevuti, e per l’occasione gli conferì il titolo di Conte con un nuovo nome: Michele Matteo Attendolo (nome Sforzesco) Bolognini.
Diverse vicissitudini misero il castello in pessime condizioni, e solo verso la fine del 1800, quando la fortezza venne ereditata dal Conte Gian Giacomo Morando Bolognini, iniziò per sua volontà la grande ristrutturazione. Il Conte “riaprì le finestre gotiche, restaurò la torre e coprì il ponte levatoio; inoltre ripristinò le sale al piano terra, portò mobili, quadri e suppellettili che acquistò per l’occasione o che trasportò da altre sue proprietà.
Nel 1911 il castello subì un disastroso incendio che distrusse anche gran parte della biblioteca, con i preziosissimi volumi, fra cui gli antichi archivi di famiglia che erano conservati al suo interno.
Il Conte Gian Giacomo, tuttavia, fece riprendere subito i lavori, e in un solo anno il maniero venne restaurato completamente, sia nelle parti interne che esterne.
Divenne Museo sin dai primi decenni del 1900, intitolato proprio al Conte Gian Giacomo Morando Bolognini.

Resto ferma, in piedi, ad ascoltare, immersa nella tranquillità del posto. Il tempo si ferma, e poi riprende a scorrere, più lento. Ciò che era fuori è dimenticato, sembra non esistere più, e tutto ciò che esiste è il castello, con il suo tempo che scorre diversamente, con le sue stanze rimaste ancorate al passato, remote e silenziose, con la sua storia secolare e le sue atmosfere uniche e irripetibili.



La visita inizia, come succede quasi sempre, dall’atrio, in questo caso un ingresso con una lunga scalinata sulla sinistra e, accanto ad essa, l’affresco con lo stemma della famiglia Morando Bolognini. Il suo motto mi stupisce, è lo stesso degli scozzesi e dell’Ordine del Cardo di Scozia, e lo conosco bene: Nemo Me Impune Lacessit. Nessuno mi provoca impunemente.
L’esplorazione prosegue per le numerose stanze, a partire dalla Sala di Ricevimento, nella quale, in uno dei quadri – come avevo visto solo in certi film – una delle figure ritratte ha due buchini al posto degli occhi. Servivano ai proprietari del castello per spiare ciò che avveniva nella stanza in loro assenza.



La Sala del Trono, con i ritratti del conte Gian Giacomo Morando Bolognini e della misteriosa Contessa Lydia Caprara, mostra uno degli alberi genealogici più belli che abbia visto; la Sala degli Antenati conserva alcuni ritratti di famiglia, mentre la Biblioteca è particolarmente affascinante: nasconde una stanzetta segreta, nascosta dietro una delle porticine che richiudono gli scaffali – quella contrassegnata, non a caso, dalla lettera S – nella quale venivano conservati i documenti più preziosi e dalla quale, di nuovo, i proprietari spiavano le conversazioni che avvenivano nella stanza. Noto anche una scritta interessante sulla cappa del camino, “Luceant Vetera Ex Obscuro Labore”, e proprio dove veniva acceso il fuoco, una lamina di metallo con il rilievo di una testina femminile che rappresenta il Sole.
Entriamo nella Sala dei Limoni, chiamata così per via delle piante di limoni affrescate su tutto il soffitto; poi nella Cappella e in alcune stanze ricostruite, come la Sala della Tessitura, con un enorme telaio antico ancora funzionante, la Sala della Cucina, la Sala Ottagonale, la Stanza da Letto della Contessa e quella Rosa della Contessina, il Salottino, la Sala dell’Ottocento, e la splendida Sala da Pranzo, una delle mie preferite per i colori brillanti e i mobili caldi e accoglienti.


La Sala del Rinascimento o degli Specchi è suggestiva, con tanti specchi che dovevano creare “un’atmosfera romantica riflettendo la luce serale della stanza”, una luce data dal fuoco acceso nel camino e dai numerosi candelabri. Qui è conservata, ancora funzionante, l’antica spinetta suonata dalla Contessa Lydia.




Infine, la Sala Veneziana o del Casanova, dove niente meno che Giacomo Casanova trascorse alcune notti – senza purtroppo riuscire a conquistare la bellissima contessina Ortensia; e la splendida, grande e luminosa Armeria.
L’ultima stanza del castello che vediamo è proprio la sala delle armi e delle armature, che per me, da sola vale il viaggio.




Dopo la bella esplorazione del castello, ci aspettano quelle degli altri due musei: il Museo del Pane, e il Museo di Storia dell’Agricoltura, dal Neolitico a oggi.
Questi due musei sono senza dubbio interessanti, ma devo dire che questa seconda visita, condotta da un’altra guida, si è prolungata talmente a lungo che purtroppo non sono riuscita ad apprezzarla. Ero letteralmente stremata, così come molte delle altre persone presenti.
Voglio però soffermarmi un attimo sul Museo del Pane, allestito al piano superiore del castello in spazi ampi e suggestivi, con i loro archi di mattoni rossi. Sono presenti teche con una gran varietà di spighe di cereali, strumenti antichi che fanno parte dei processi di semina e raccolto, e di panificazione – con una macina di pietra di epoca preistorica – e tantissimi tipi di pane diverso per ogni regione d’Italia e Paese del mondo.



I pannelli espositivi raccontano la storia del pane a partire dalle prime civiltà. Trascrivo dal pannello che racconta la panificazione nell’antica Grecia ciò che, come sempre, mi piace e mi ispira di più:
“[Da Erodoto] apprendiamo che la panificazione si svolgeva in ambito domestico e che era incombenza tipicamente femminile.
Con la protezione di una potente divinità, Demetra, sotto il cui nome si adombra la Madre Terra, le donne micenee non solo si occupavano della panificazione, ma avevano anche “un ruolo più importante degli uomini nella mietitura, nella trebbiatura, nella conservazione e utilizzazione dei cereali”.



(…) L’aia era considerata un’invenzione di Deò, dea dell’orzo. Ogni famiglia era provvista di una piccola macina litica che consentiva di ottenere la farina e la semola. Alle donne era affidato il compito di preparare, una volta al mese, l’impasto per il pane, farlo lievitare, infine lavorarlo bene con le mani, quindi infornarlo; con l’aggiunta di semi di sesamo, di papavero, di finocchio o di cumino si facevano i dolci.” In un rilievo in pietra, “Persefone, dea della vegetazione primaverile, e Ades sono rappresentati con un fascio di spighe, simbolo dell’agricoltura.



L’esplorazione nella storia passata e presente finisce. Tornata nei pressi del pozzo, scatto ancora qualche fotografia, e proprio mentre mi sto avviando verso l’uscita, un gruppo di taccole attraversa il cielo sopra il cortile del castello. Eccovi finalmente, penso.
Le osservo andare e venire, nelle loro piume nerofumo, e ricambio con affetto il loro saluto.


Al termine delle visite ci precipitiamo letteralmente a prendere un meritatissimo caffè con biscotti, al bar di fronte al castello. Ne abbiamo tutte/i un grande bisogno.
Giusto il tempo di riposare un pochino, prima di tornare ad affrontare l’isterismo caotico della tangenziale milanese. Questa, non mi mancherà.

E di fantasmi questo castello non ne aveva? Mi chiede incuriosito il mio compagno di viaggio.
In effetti sì, uno c’era, solo che non era lì.
Nel castello è rimasto solo il suo ritratto. Si tratta proprio della Contessa Lydia Caprara, moglie del Conte Gian Giacomo Morando Bolognini, che nel quadro della Sala del Trono è raffigurata con un elegante abito nero e una lunghissima collana di perle.
In vita era stata esperta di esoterismo, organizzava sedute spiritiche e leggeva il futuro in una vera e propria sfera di cristallo, e pare che dopo il suo decesso il suo fantasma cominciò ad apparire e a infestare non il Castello di Sant’Angelo Lodigiano, ma la seconda dimora dove la donna trascorse la maggior parte del tempo: il Palazzo Morando Bolognini, nel centro di Milano, oggi allestito a Museo del Costume.
Questa però è un’altra storia, e spero di poterne parlare un’altra volta… magari dopo una bella giornata a Milano.

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Le varie citazioni fra virgolette sono tratte dagli espositori all’interno del castello e dai brani presenti sul sito del Castello Bolognini.
Consiglio la visione del video presente in questa pagina del sito: Museo Morando Bolognini

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ALBUM FOTOGRAFICI
Castello e Museo Morando Bolognini
Museo del Pane e Museo di Storia dell’Agricoltura

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Note di Viaggio:
Il Castello Bolognini, che comprende tre musei – il Museo Morando Bolognini, ovvero il Castello stesso, il Museo del Pane e il Museo di Storia dell’Agricoltura – si trova a Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi, non distante da Milano. È aperto solo durante alcune domeniche dell’anno, da marzo a ottobre, con visite che partono alle 14:30, alle 15:30 e alle 16:30. Il biglietto costa 10 euro.
Durante tutto l’anno, in qualsiasi giorno della settimana, è tuttavia possibile prenotare una visita, ma solo per gruppi di almeno 15 persone.
Potete trovare tutte le informazioni utili, e le date di apertura, sul sito ufficiale: Castello Bolognini

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