sabato 18 gennaio 2025

Levone, il Paese delle Masche

Una suggestione nata da un libro, l’immagine di quattro donne che si abbracciano, una dolorosa storia del passato, e quattro nomi: Antonia, Francesca, Bonaveria e Margarota. Ecco cosa mi ha accompagnata nelle ultime settimane e mi ha spinta ad andare a conoscere più da vicino il luogo in cui tutto è accaduto.
Era il 1474 a Levone, nel Canavese, e le quattro donne, Antonia de Alberto, Francesca Viglone, Bonaveria Viglone e Margarota Braya vennero accusate di essere eretiche, apostate e streghe, e processate nel vicino castello di Rivara, dove vennero tenute prigioniere prima del compiersi della loro sorte. Bonaveria rimase imprigionata a lungo, più di tutte le altre, risulta ancora presente fra le accusate anche del secondo processo, quello di Rivara del 1475, ma la sua conclusione non ci è pervenuta, per cui non si conosce la sua sorte. Margarota ebbe fortuna, riuscì a fuggire. Era giovane, forse bella, forse venne aiutata. Scomparve dalle prigioni e di lei non si seppe più nulla. Antonia e Francesca invece ebbero la fine peggiore. Vennero messe al rogo. Per loro, a causa della gravità dei crimini di cui erano accusate – l’uccisione di un gran numero di bambini, tra le varie cose – non venne messa in atto nemmeno la tortura che spesso precedeva le fiamme, e che per quanto dolorosa avrebbe provocato il loro svenimento. Furono legate su una catasta di legna in un prato poco fuori Levone – oggi difficile da identificare – il cosiddetto Prà Quazoglio, e perfettamente sveglie e coscienti, vennero bruciate.
Il loro caso è uno dei più preziosi e unici in Piemonte, in quanto gli atti del processo sono sopravvissuti integralmente. La documentazione venne infatti scoperta per caso a metà del 1800 dallo studioso Pietro Vayra, il quale si interessò all’argomento e si occupò di tradurre dal latino quelle antiche pagine delicate e ingiallite. Vayra pubblicò quindi la sua traduzione nel 1874, esattamente 400 anni dopo il processo, e la stessa traduzione – lievemente riveduta e commentata – è stata riproposta integralmente pochi anni fa, completa delle fotografie delle pagine degli atti originali, dall’autore levonese Pier Luigi Boggetto nel suo prezioso libro Le streghe di Levone. Tra realtà e mito.
Ed ecco la mia prima suggestione. Mi sono procurata il libro alcune settimane fa e, appena arrivato, l’ho divorato in poco più di una notte. L’ho trovato estremamente ben fatto, ispirante, e mi ha invogliata a incontrare i luoghi della storia, nonché le belle iniziative che il comune ha organizzato per ricordare queste quattro donne. Levone è stato infatti registrato come Il Paese delle Masche; ne è nato un logo, la sagoma delle quattro donne che si abbracciano e che accolgono chi visita Levone, proprio accanto alle porte del minuscolo ricetto; è stata intitolata loro una via, Via le Masche o Strada delle Masche; è stato organizzato un concorso poetico, le cui poesie erano dedicate a loro – una di queste è incisa nel bel rilievo accanto al cancello del parco comunale; sono state create e donate al parco due statue raffiguranti le due streghe bruciate; e infine, una azienda agricola all’ingresso della strada che porta a Levone, chiamata non a caso Azienda Agricola Le Masche, ha dedicato alle streghe e alla loro storia alcuni vini particolari, prodotti tipici delle vigne canavesane.




Per cercare tutto questo sono partita ieri pomeriggio con il mio compagno di viaggio, alla volta di Levone. Non c’era molto da vedere, era piuttosto tardi e molto non sono riuscita a trovarlo – motivo per tornarci più avanti – ma è comunque stato piacevole.
Arrivati nel Paese delle Masche, nella piazzetta con il pannello delle quattro donne, per prima cosa mi sono diretta al parco comunale, accanto alla chiesa parrocchiale. Lo spazio dove adesso sorge il sagrato, all’epoca del processo ospitava il piccolo cimitero di Levone, dedicato a San Giacomo, ed è l’unico luogo realmente citato negli atti. Si diceva che Antonia e Francesca avessero prelevato il corpicino di molti bambini dalle tombe del cimitero per farne polveri e unguenti.


Nel parco comunale sono state poste due statue molto particolari. Realizzate in ferro battuto, raffigurano Antonia e Francesca al rogo, la gonna di fiamme, le braccia sollevate, l’urlo di dolore.
Ho scattato qualche foto, potendo finalmente vederle da vicino. Il freddo era davvero pungente, per cui non mi sono trattenuta a lungo.




Ho quindi esplorato qualche minuto il minuscolo ricetto, più simile a un cortile di case abitate, silenzioso e quieto, e poi ci siamo rintanati a scaldarci un pochino nell’unico bar del posto. Qui ho dovuto ascoltare alcuni discorsi “da bar” di un levonese pieno di pregiudizio e rabbia verso tutto e verso tutti. Dopotutto, mi sono detta, certe cose non cambieranno mai.



Usciti, prima che facesse buio, mi sono recata dall’altra parte del paese rispetto al ricetto. Qui scorre il torrentello Levona, nel quale si immette un piccolo rio che lambisce il paese ma che non sono riuscita a individuare. Il suo nome, rio Bardassano, in origine faceva sorridere i bambini, eppure potrebbe nascondere un significato estremamente interessante. Si chiamava infatti rivus Merdanzanus, o Merdanzone, e a lungo si è pensato che la parola fosse dovuta al cattivo odore che il corso d’acqua emana nei periodi di secca. Tuttavia, c’è chi sostiene che la parola provenga – in modo curioso e forse poco plausibile – dal francese, e che sia una italianizzazione di “Mère, dansons!”, ovvero “Madri, danziamo!”. A me ha naturalmente ricordato le madri danzanti delle nostre zone, le care Matronae cisalpine che tanto sono presenti in queste terre, nelle quali ancora – non viste, dimenticate – danzano e danzano. E non ricorda forse la loro danza dalle braccia intrecciate, il logo delle quattro streghe di Levone? Una coincidenza involontaria, eppure emblematica.
In ogni caso il piccolo rio è rimasto celato, così mi sono accontentata del torrentello Levona, che gorgogliava leggero nel crepuscolo, sotto le prime stelle della sera e un curioso allineamento di pianeti.


Lasciato il torrente Levona, abbiamo percorso in macchina – il freddo era rigido – il breve tratto della Strada delle Masche, che collega Levone alle borgate Viettone e Crosaroglio. Anche queste si dice siano legate ad altre vicende di masche, ma non ho ancora potuto approfondire.
Il tempo era poco ed è volato via, così con le ultime luci del giorno ci siamo recati all’Azienda Agricola Le Masche. Anche se non bevo vino – al massimo intingo il becco – ci tenevo assolutamente a portarne a casa almeno una bottiglia. Ammiro e supporto le iniziative che mantengono viva la memoria delle nostre streghe, e se posso adottare ciò che è a loro dedicato, lo faccio con piacere.
I vini dedicati alle quattro donne levonesi, nonché all’epoca del processo, sono sei: due rossi, il Bonaveria e il Margarota, un erbaluce di Caluso, bianco, dedicato ad Antonia, e un rosato, il Francesca. Ho scelto Francesca, mentre il mio compagno ha scelto Bonaveria. Gli altri due sono spumanti, e dato il periodo natalizio appena passato, erano esauriti. Sono lo spumante 1474, a ricordo della data del processo alle streghe, e il Faja, che invece ricorda la Fata, entità benefica che abiterebbe ancora queste zone boscose – così come molte altre. Mi piace segnalare anche che in un’altra azienda agricola poco distante, gestita da Monia Peroò, vengono prodotte anche le Gallette delle Masche. Non ci siamo andati ma, se tornerò da quelle parti, non mancherò di portarne a casa qualche profumato pacchetto.


Finita la breve esperienza di Levone, rimasta per me piuttosto silenziosa e forse un po’ ritrosa, abbiamo ripreso la via di casa. Tuttavia, passando vicino a Ivrea ho ricordato la deliziosa e tradizionale Torta 900, prodotta dalla storica Pasticceria Balla. Una cara amica me l’aveva regalata proprio due anni fa per il mio compleanno, e dato che la stessa data si avvicina ho deciso di fare una piccola deviazione e farmi un regalo anticipato.
Ci siamo immersi in una Ivrea notturna, gelida, affiancata dalla Dora Baltea buia e placida. La Pasticceria Balla è davvero un posto unico e sublime, e nonostante la tentazione di comprare tutto ho fatto la brava e sono uscita orgogliosa con la mia tortina in mano. Un tè caldo in un bar poco distante, dove la barista ci ha intrattenuto con preziosi consigli su cosa esplorare a Ivrea, suggerendo anche – la prossima volta – di assaggiare non solo la Torta 900 ma anche la meno nota Dama Bianca – e potevo non innamorarmi di questo nome? – e poi, mezzi congelati, abbiamo preso la via del ritorno.

Ora, qui a casa, al calduccio, dopo essermi deliziata con una merenda a base di torta, ripenso a ciò che ieri ho visto e vissuto. E a nuove porte che si stanno aprendo su vie poco distanti, sia in Ivrea e magari nella bella Valchiusella, sia nei luoghi di altre donne dal comune triste destino. Sagge curatrici o semplicemente sfortunate: streghe.
Ieri ho iniziato a leggere un breve romanzo, sempre sulle streghe di Levone ma ambientato ai giorni nostri. Non riuscivo a staccarmi dalle sue pagine, e anche se non l’ho ancora finito mi sento di consigliarlo. Si intitola La congrega di Levone, ed è stato scritto dalla levonese Serena Girivetto.
Sono sempre infinitamente grata a queste suggestioni. Tanto all’ispirazione iniziale, quanto alla cascata di corollari che ne conseguono. Amo seguire queste vie che si rivelano passo dopo passo. Spesso le vie secondarie – le più preziose – si mostrano solo dopo aver percorso le primarie. Per ora sono storie, pagine stampate ricche di vita passata eppure sempre presente. Col tempo… chissà.

La ricerca e alcuni dettagli emersi dal processo alle streghe di Levone continueranno ad accompagnarmi nei giorni a venire. Ne scriverò presto e lascerò qualche appunto sparso qua e là, e se potrò tornare in quelle zone, e riuscirò a trovare altri luoghi e suggestioni, scriverò nuovamente e con piacere dell’argomento.
Per stasera rifletto, leggo, ascolto e onoro la memoria, con tutto il cuore.
E accendo una candela per loro.
Per Antonia, per Francesca, per Bonaveria, e per colei che si è liberata, Margarota.
Possa la loro anima aver trovato pace. Possano le loro discendenti vivere per sempre, e tramandare il loro spirito. Allora come oggi.

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Ringrazio tutto ciò che mi ha condotta su queste vie. Ringrazio l’autore Pier Luigi Boggetto per aver scritto e pubblicato il suo prezioso libro, ringrazio l’autrice Serena Girivetto, per il suo romanzo così affascinante, e ringrazio il sindaco di Levone per aver reso omaggio alle loro streghe, così che vengano ricordate.
Per chi volesse, consiglio la visione di questo video, nel quale sia l’autore Boggetto, sia il sindaco di Levone, parlano della storia del processo e di come hanno deciso di ricordarla nel loro paese:
LEVONE. Viaggio nel paese delle masche arse sul rogo


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ALBUM FOTOGRAFICO

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