domenica 13 aprile 2025

Cannobio, Cannero e l'Orrido di Sant'Anna

Quando viaggi considerati lunghi e complicati diventano semplici e leggeri, una porta si è aperta, un limite è stato superato, un piccolo muro si è infranto. Amo quando succede.
Con questo stato d’animo e con questa leggerezza, semplicemente per perdersi nella bellezza, sabato scorso siamo approdati alle riviere di Cannobio e di Cannero, sul Lago Maggiore. Era da tanto tempo che desideravo vedere i castelli immersi nel lago, e sono felice che presto, molto presto, saranno addirittura visitabili. Come spesso succede, tuttavia, spinta dal desiderio di vedere una cosa, ne ho trovate altre che ho amato di più, e quella prima spinta è sfumata e si è allontanata, divenendo quasi inconsistente.

Per questo viaggio in tre tappe abbiamo preferito cominciare da quella più lontana, ovvero Cannobio, dove ci siamo immersi in una passeggiata ventosa sul lungolago, esplorando poi i vicoletti del centro storico e la bella chiesa, il Santuario della SS. Pietà, con le vetrate luminose e colorate.



Il nome di Cannobio deriva semplicemente dal canneto, ovvero dalle canne che un tempo crescevano numerose vicino alle rive del lago. Adesso invece è un paesino molto ricercato, che attira turisti stranieri durante tutto l’anno. Abbiamo scelto uno dei locali che danno sul lago, il Bar Sport – che a discapito del nome è molto carino ed elegante – e abbiamo gustato una fetta di torta di mele squisita, una delle più buone mai assaggiate, accompagnata da panna montata con cannella e amaretti.


Dopo aver girovagato in assoluta tranquillità per Cannobio, ci siamo spostati poco più sopra, all’impressionante Orrido di Sant’Anna. Nonostante fosse ancora pomeriggio era già in ombra, racchiuso fra le sue protettive montagne. Davanti all’orrido passa un antico ponte medievale, costruito probabilmente nel XII secolo, e lì accanto sorge la chiesetta originariamente dedicata alla Madonna Nera di Loreto, della quale esiste un antico affresco del XVI secolo. In seguito è stata intitolata a Sant’Anna, così come l’orrido. Due madri molto antiche, la nera e la madre della madre di Dio, come a richiamare qualcosa di primigenio, qualcosa che precede l’inizio stesso del tempo. Di certo, richiama un tempo molto più antico del cristianesimo, una radice più profonda e misteriosa che si unisce al mistero dell’orrido, dei suoi anfratti rocciosi, delle sue acque sinuose e scroscianti.



Passeggiando attorno allo strapiombo, più di una volta ho provato quella sensazione di mancanza di respiro che suscitano le altezze vertiginose. Sensazioni viscerali e innate, potenti, inevitabili, che ricordano quanto noi esseri umani siamo piccoli nei confronti della natura, nonostante ci sentiamo alla sua altezza, o peggio, più grandi di essa.


Tornerò presto all’Orrido di Sant’Anna, con più luce e le fronde verdi, per scattare qualche fotografia dalla spiaggetta sottostante, raggiungibile con una comoda scalinata proprio a lato della strada. Solo in un secondo momento ho infatti ricordato quanto fossero belle le fotografie che mi era capitato di vedere, scattate dal basso verso l’alto e con la luce del primo meriggio. Una buona occasione per rivivere, e risentire, questo posto – letteralmente – mozzafiato.

Scesi dall’Orrido di Sant’Anna, abbiamo ripreso la macchina e siamo quindi arrivati alla terza tappa, la bella Cannero, dove sorgono i famosi castelli in mezzo alle acque del lago. Sono distanti dalla riviera, li si vede più che altro dalla strada che costeggia il lago, dove però non è possibile fermarsi. Per questo credo che l’unico modo per vederli bene sia da altri angolini più impervi, oppure prendendo il traghetto. Sarà sicuramente una meta molto amata, non appena sarà possibile visitarli, a partire dalla fine di giugno.
I primi passi a Cannero sono stati un pochino problematici, il vento era davvero forte e gelido, pertanto abbiamo pensato di fermarci giusto il tempo di bere un tè bollente in uno dei bar che danno sul lago. Il tè caldo però è una delle medicine più corroboranti e rincuoranti, per cui dopo aver scaldato la pancia abbiamo recuperato coraggio per affrontare la breve esplorazione del borgo, e ne sono stata immensamente felice. Perché non appena abbiamo svoltato un angolino alla fine del lungolago, seguendo la direzione del porto vecchio, mi si è aperto il cuore. Non so cosa in particolare mi abbia fatta sentire in quel modo, se sia stata semplicemente quella bellezza racchiusa e perfetta, o sensazioni molto più antiche che hanno smosso l’anima fin nel profondo. Davanti al porto vecchio ho sentito una forte nostalgia e al contempo un profondo desiderio di appartenenza, razionalmente immotivati. Una parte di me semplicemente fremeva e scalpitava e gioiva, e da lì proprio non avrebbe voluto andarsene.




Sono rimasta il più possibile, sfidando il vento freddo che increspava il lago facendolo assomigliare molto di più al mare. Ho percorso ogni anfratto di quel porticciolo, con quelle vecchie barche attraccate, le corde e le boe. Mentre ero lì, i lampioni si sono accesi, dando il benvenuto alle sfumature rosa-azzurre della sera.
Ho raggiunto il mio compagno di viaggio, che aspettava paziente e infreddolito, e abbiamo esplorato ancora una parte del borgo. Proprio a pochi passi dal porto, semi nascosto, c’era un piccolo laboratorio di ceramica. Un’altra delle cose che amo di più. Quante altre sorprese poteva rivelare questo paesino incantevole? Il laboratorio era chiuso, ma una porta laterale era aperta, e dava sul cortiletto interno dove erano esposte le creazioni della bottega. Mi è rimasta impressa soprattutto una grande radice di albero, sulla quale erano stati fissati degli uccellini di ceramica smaltata. Chissà che, tornando da quelle parti, non deciderò di adottarla.


Prima di tornare verso la macchina mi sono soffermata ancora al porto vecchio. Non sono ancora riuscita a capire cosa esattamente mi abbia trasmesso. Cosa, a distanza di giorni, continui a sussurrarmi. Come quando si fa un bel sogno, e lo si dimentica, e per tutto il giorno si cerca di ricordarlo rievocandone le sensazioni, ma quel sogno resta celato alla memoria. Forse le mie sono memorie passate, ma non potrei dirlo. So solo che ciò che ho sentito è importante, e continuerò a rievocarlo. Chissà che quella porticina, oltre la quale è nascosto il sogno, non si apra e lo riveli…

Il viaggio di ritorno è stato rilassante e molto bello. La strada che passa accanto al lago mostra scorci stupendi, e viene voglia di fermarsi ogni minuto per incantarsi davanti a quelle immagini, per respirarle e sperare, con quel respiro, di trattenerle dentro. Vivere accanto a questa bellezza è un dono riservato a pochi, e spesso non abbastanza apprezzato.
Io mi sento fortunata per il solo fatto di esserci stata, di poterci tornare, e di amarlo tanto da riuscire a sentirne un riverbero luminoso dentro. Custodito, al sicuro.
Tornerò fra quelle azzurre sfumature, e probabilmente scoprirò e vivrò altre piccole meraviglie. Ma ciò che resta vivo e forte è quel sogno inafferrato.
Riuscirò a ricordare. E quando succederà, forse troverò quel frammento di anima antica, passata eppure sempre presente, che ancora vibra e chiama. Che si è risvegliata, eppure continua a sognare…

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ALBUM FOTOGRAFICI
Cannobio
Orrido di Sant’Anna
Cannero

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Note di Viaggio:
Per raggiungere le Riviere di Cannobio e Cannero prendere l’autostrada A26 uscendo al suo termine, a Gravellona Toce. Quindi proseguire per Verbania e prendere la Statale del Lago Maggiore, che collega tutti i suoi paesini. Da Cannobio è possibile prendere la strada che porta, in pochi minuti, all’Orrido di Sant’Anna, seguendo le comode indicazioni.

martedì 8 aprile 2025

Brolo, il Paese dei Gatti

Avevo sentito parlare di Brolo, il cosiddetto Paese dei Gatti, più volte ultimamente, e lo avevo annotato nel mio quaderno dei viaggi per una giornata semplice e senza troppe pretese. In effetti devo ammettere che pensavo mi avrebbe appassionata di più, ma è stato comunque un viaggio carino, con qualche piccola piacevole sorpresa.
Brolo è un paesino che si trova sopra il Lago d’Orta, famoso per i suoi numerosi gatti dipinti e disseminati dappertutto. Ogni casa ha il suo, dipinto su una piastrellina vicina al numero civico, ma sono soprattutto ritratti in varie forme e colori nella caratteristica Strèscia dal Gatt, o Strècia di Gatt – dipende da che lato la si prende – una stradina che passa nel centro del paese, simile a una sorta di galleria.


Il vicolo sbuca in un cortiletto nel quale è presente un carinissimo pozzo, il Pozzo dei Desideri, dove si legge: “Qui i Desideri non restano Sogni”. Parola di gatto.


La Strescia dal Gatt porta quindi verso la strada, oltre la quale si trova un terrazzo con belvedere sul lago sottostante. Qui si trova il caratteristico Monumento al Gatto – più piccolo di quanto ci aspettassimo, ma simpatico – che guarda proprio verso le acque e la riva opposta.




Esiste una sorta di leggenda riguardo il paese di Brolo. La si legge proprio accanto al Monumento al Gatto. Si dice che il 10 ottobre del 1756, durante una seduta del Consiglio della Comunità, la piccola frazione di Brolo chiese la separazione a livello ecclesiastico dalla parrocchia di Nonio, e il permesso di diventare parrocchia autonoma. Promise che avrebbe provveduto autonomamente ad arredare la propria chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate e che avrebbe saldato tutti i debiti con Nonio. La richiesta fu presa con derisione dai cittadini di Nonio, che esclamarono “Quand al vien parrocchia Brol al ratt metarà su al friol”, ovvero “Quando Brolo diventerà parrocchia, il topo metterà il mantello.” Tuttavia Brolo non si arrese e il 27 aprile del 1767 ottenne la sua vittoria, poiché quel giorno venne firmato il decreto che permise l’erezione della Parrocchia di Sant’Antonio Abate. A qualche abitante di Brolo, tuttavia, il motteggio non era proprio andato giù, e il giorno dopo la firma del decreto, sulla porta di casa delle autorità di Nonio venne trovato un topo abbigliato con un piccolo mantello – non specifico in che modo perché questo proprio non mi è piaciuto.
Si dice anche che Brolo avesse poi ingaggiato un gruppo di gatti per scacciare i topi che infestavano il borgo, meritandosi il nome che assunse solo diversi anni dopo. Nell’agosto del 2006 nacque infatti l’idea di decorare il paese con numerose raffigurazioni di gatti, realizzate dai suoi abitanti.


A dire il vero, noi speravamo di trovare più gatti veri, fatti di baffi e pelo, perché ne abbiamo incontrati solo tre. Il primo però è stato davvero un gatto gentile e premuroso. Lo abbiamo incontrato proprio all’inizio del borgo, ci è venuto incontro miagolando, come a darci il benvenuto e a fare gli onori di casa, o meglio, di paese. Si è fatto accarezzare con gioia per poi sdraiarsi a sonnecchiare felice.

Dopo un breve giretto fra i gatti di Brolo siamo quindi scesi prima ad Alzo, per osservare di nuovo il lago visto dall’alto, e poi alla cara Pella per una passeggiata al sole e l’immancabile crêpe a La Torre, io la solita al cioccolato, il mio compagno di viaggio una deliziosa con miele di castagno e l’aggiunta di gherigli di noci.
Una giornata carina, semplice e senza troppe pretese, ma sempre bella e rigenerante.



Se amate i gatti, Brolo è il posto giusto per cercarli in ogni angolo, contarli, e scegliere quali sono i vostri preferiti. Il mio, quello sull’insegna della Strescia dal Gatt, e uno bianco e rosso dipinto su una piastrellina che ho scovato alla fine del giro.


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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note di Viaggio:
Per raggiungere Brolo, il Paese dei Gatti, prendere l’autostrada A26 per Gravellona Toce, uscendo a Borgomanero e proseguendo per il Lago d’Orta. Imboccare quindi la strada che da Gozzano porta alla sponda sinistra del lago, e poco prima di Pella, all’altezza dell’antica chiesa di San Filiberto, salire verso Alzo di Pella e quindi proseguire a destra per un moderato tratto di strada, fino a raggiungere Brolo. Noi abbiamo lasciato la macchina nel parcheggio accanto a una sorta di fermata dell’autobus. Qui, in una cassettina appesa, potete trovare i dépliant di Brolo con la mappa da seguire per trovare tutte le sue tappe più caratteristiche.

martedì 1 aprile 2025

Le rovine del Castello di Vintebbio

Fu albergo un dì di castellane belle
Dai limpidi e profondi occhi sognanti?
Di forti cavalier, audaci amanti
Di paggi arditi e di gentili ancelle?
Forse nelle sue sale le donzelle
Riser del menestrello ai lazzi e ai canti.
Vide battaglie forse, ospitò fanti
Nelle notti profonde e senza stelle.
Ora sui resti di sue mura infrante
Ride nel rigoglioso vegetare
L’edera verde e cuopregli le spalle
E sulla cima, al vento, verdeggiante
L’ultima fronda manda a salutare
L’azzurro ciclo e la ridente valle.
” (1)

Forse il Castello di Vintebbio fu davvero un luogo nel quale dame e cavalieri vissero fra cerimonie e battaglie. Di certo fu un luogo di guardia e protezione dell’intera valle sottostante. Dalla collina su cui sorge si intravede la torre del Castello di Sopramonte e forse altri luoghi di altezza, ognuno atto a vegliare sulle terre di sotto e proteggerle dalle invasioni.


Ci siamo stati proprio ieri, in una giornata di sole splendente, nella quale l’intera catena montuosa spiccava limpida e innevata e i colori brillavano ognuno nella sua singolare sfumatura.
Era da diversi anni che sentivo parlare di questo posto, e molte volte lo avevo visto lassù in cima, passandoci accanto per andare verso Varallo Sesia. Finalmente, dopo aver letto il resoconto entusiasta che una travel blogger ne aveva fatto, ho sentito che era il momento di incontrarlo. E sono davvero felice di averlo fatto.
Il Castello di Vintebbio si trova nella frazione Vintebbio di Serravalle Sesia, e per raggiungerlo a piedi sono accessibili due percorsi. Noi abbiamo imboccato quello che parte dal borgo di Vintebbio, dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio al centro del paese. Il sentiero per arrivarci è abbastanza difficoltoso, fra sassi e alti scalini fatti di radici di alberi. Anche qui le erbe selvatiche sono fiorite in tutta la loro bellezza: violette, piccole e grandi, pratoline, anemoni nemorose e tanta, tanta consolida maggiore.
Dopo il tratto in salita siamo arrivati a un grande pianoro, nel quale le possenti rovine si stagliano sul cielo turchese, memorie di un castello che un tempo doveva essere stato portentoso. Attorno, il sinuoso movimento della Sesia dalle acque celesti.



Conosciuto in origine come castrum Vintidi, non ci sono pervenuti documenti che ne determinino una data di costruzione, anche se sembra che il suo nucleo più antico risalga al 750, o al più tardi, ai primi dell’800. È tuttavia probabile che fosse sorto sui resti ancora più antichi di un castrum romano, la cui funzione era sempre la stessa, quella di guardia e protezione della valle. Forse venne rimaneggiato nel 1200, per poi venire distrutto dai valsesiani nel 1559.




Camminarci davanti e soprattutto attorno fa tornare indietro nel tempo, ammirando ciò che è rimasto in piedi di un lontano passato. Ho esplorato quelle mura a lungo, in ogni loro angolo nascosto, e mi sono persa ad osservare il lontano movimento del fiume.
Ho cercato una storia da raccontare, ma non l’ho trovata. E allora lascio parlare le immagini, il potere del luogo e la sua semplice bellezza.



Sono certa che ci tornerò, quando gli alberi saranno colmi di verde fogliame, ma soprattutto quando l’autunno li tingerà di oro e rame, e forse, fra nebbie e nuvole, questo luogo rivelerà ciò che, sento, sta ancora custodendo.

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note di Viaggio:
Per raggiungere le rovine del Castello di Vintebbio prendere l’autostrada A26 verso Gravellona Toce e uscire a Ghemme, proseguendo poi per la Valsesia. Alla rotonda all’ingresso di Serravalle Sesia, si può lasciare la macchina nel parcheggio del Bowling e prendere il sentiero che da lì diparte, oppure proseguire per Vintebbio e parcheggiare vicino alla chiesetta o nel centro del borgo, seguendo le indicazioni del parcheggio pubblico.
La stradina che sale verso il castello non è semplice, e necessita di agilità e comode scarpe da trekking. All’inizio del sentiero abbiamo trovato alcuni lunghi bastoni, gentilmente lasciati apposta per facilitare la salita.

Note:

1. La poesia, di autrice o autore sconosciutə, era presente sul sito del Comune di Serravalle Sesia, dove non è più disponibile, e su Archeocarta.