giovedì 16 ottobre 2025

Cassano d'Adda e le sue streghe

Questo breve viaggio nasce da alcuni studi svolti la scorsa primavera, quando sono venuta a conoscenza di due processi alle streghe che si erano svolti a Cassano d’Adda nel 1519 e nel 1520. Del primo processo non è rimasta alcuna documentazione, e tutto ciò che si conosce proviene dai vari accenni trascritti nel secondo. Questo pare abbia avuto un esito positivo, in quanto le accusate vennero con ogni probabilità rilasciate. Ma il primo si concluse in modo completamente diverso: tre delle cinque povere donne accusate vennero messe al rogo.
I processi si svolsero interamente nel Castello Visconteo di Cassano d’Adda, nelle cui fredde prigioni sotterranee le presunte streghe vennero relegate. I nomi di quelle imputate nel primo processo erano Leonarda da Inzago, Petrina de’ Terreni, Vanina detta la Zoppa di Pontirolo Vecchio, Caterina de’ Cerbalii di Pontirolo Nuovo e Cossina detta Formiga di Groppello.
Caterina venne infine rilasciata, e Cossina subì una verberazione – una fustigazione pubblica – con una verga e poi lasciata andare anche lei. Le altre tre furono meno fortunate. Leonarda e Petrina vennero arse vive sulla sponda dell’Adda, proprio davanti al castello e al paese di Cassano, così che tutti potessero vederle bruciare, i riverberi delle loro fiamme a illuminare le acque del fiume. Leonarda invece venne bruciata nel centro della piazza di Cassano, probabilmente davanti al castello.



Di questa storia avevo guardato con interesse un episodio di Martesana Fantastica condotto da Giancarlo Mele – non privo di incorrettezze ma comunque interessante – ed era sorto in me il desiderio di conoscere quel posto, soprattutto quella riva di fiume sulla quale si affaccia l’intero paese. Volevo vedere con i miei occhi ciò che gli occhi delle povere Leonarda e Petrina avevano visto per l’ultima volta, e quindi osservare dall’alto ciò che invece era apparso agli occhi attoniti dei paesani.


Sono quindi partita verso Cassano d’Adda con l’intenzione di visitare anche un altro luogo vicino che mi aveva inquietata non poco.
Giunta a Cassano, dopo aver studiato il percorso per raggiungere il cosiddetto Traversino, ovvero la stradina asfaltata che costeggia la riva del fiume fino alla biforcazione fra l’Adda e il canale Muzza, e si affaccia esattamente davanti al paese e al castello, sono scesa verso Villa Maggi Ponti e ho lasciato la macchina. Quindi mi sono incamminata verso l’ingresso del Traversino. Una cancellata indicava il divieto d’accesso, ma è possibile passarvi accanto e superarla – non ero l’unica ad averlo fatto.


Ecco dunque il luogo esatto dove i roghi di Leonarda e Petrina avevano divampato, e le volute nere del fumo avevano incupito il cielo. Un’immagine contrastante con la lucentezza e la pace che invece appariva davanti a me, rincuorandomi.
Naturalmente al tempo dei roghi il Traversino non c’era, e le pire di legna dovettero essere montate sulla sponda sassosa, di cui rimane ampia traccia accanto al sentiero.


Sono rimasta lì in ascolto, e su un tetto poco distante le taccole si sono fatte sentire. Capita spesso che le incontri in luoghi antichi e stregati, come se ne fossero le protettrici. (1)

Dopo aver camminato e osservato a lungo, ho lasciato il Traversino e dopo una piccola tappa intermedia – di cui parlerò a parte – mi sono spostata verso il centro di Cassano, raggiungendo la piazza del castello. Era completamente deserta. Il castello è diventato un ristorante e una location per eventi – che detta così atterrisce un pochino, ma tant’è – e non è possibile entrare.


Sapevo che non avrei potuto visitare l’interno, men che meno i sotterranei e la sala dove si era svolto il processo, così mi sono accontentata di girarci attorno. Mi sono spostata verso la parete esterna, quella che si affaccia sul fiume e sulla riva dove Leonarda e Petrina erano bruciate, e ho guardato giù. Non vi è dubbio che chiunque, da quell’altezza e con quell’ampia visuale, le avrebbe viste chiaramente. Il Frate Inquisitore Gioachino Beccaria, nella sua fanatica spietatezza e teatralità, aveva scelto bene.


La piazza del resto era stata anch’essa teatro del terzo rogo, svoltosi qualche settimana dopo il primo. La povera Vanina la Zoppa era arsa qui, probabilmente attorniata dalla folla accorsa per vedere la strega bruciare.

Dopo aver scattato diverse fotografie, con l’intenzione di accompagnare questo resoconto alla ricerca che avrei pubblicato l’indomani, mi sono rintanata in un bar per il caffè di rito e un dolcetto.
Rinvigorita e riposata mi sono quindi spostata verso Inzago, paese di Leonarda. Nel secondo processo di Cassano è riportato che, durante gli interrogatori del primo, l’imputata Cossina detta Formiga aveva dichiarato di aver visto certe streghe nel bosco Tuneda, mentre si deliziavano con insalata e ciliegie “come fanno i demoni” (2). Il bosco Tuneda al tempo era ampio e rigoglioso, e si estendeva a triangolo fra Inzago, Cassano d’Adda e Groppello. Ad oggi ci sono solo campi coltivati, a parte qualche arbusto e sporadico albero a ricordare ciò che era stato.
Al margine di quello che era stato il bosco, tuttavia, sorge ancora oggi una vecchia costruzione, la Cascina Draga. Come narrato nel video di Giancarlo Mele, quella doveva essere l’ultima abitazione prima del bosco, o meglio, l’abitazione si affacciava direttamente sul bosco, e questo doveva fare molta paura. Se poi in quel bosco si diceva che si incontrassero le streghe, la paura diventava terrore. La cascina nel 1500 esisteva già, anche se probabilmente col tempo subì gravi danni e dovette essere rattoppata o ricostruita – con i mattoni rossi oggi ben visibili. Ma qualcosa di antico è rimasto. Per proteggere la casa dal male, dai demoni, dalle streghe, da tutto ciò che era invisibile, ignoto e potenzialmente pericoloso, venne infatti murata sulla parete esterna che fronteggiava il bosco Tuneda una enorme croce. Il potere di questa croce rivolta al bosco maledetto doveva tenerlo lontano, lui e tutto ciò che di malefico vi si aggirasse.



Ho voluto vederla quella croce, e come immaginavo, mi ha profondamente inquietata. Di certo tiene lontano me, ho pensato, e data la mia natura non ha tutti i torti.
Sono però rimasta stupita dal fatto che del legno della croce vera e propria non rimanesse quasi più nulla. Nel video girato per Martesana Fantastica solo pochi anni fa la croce era ancora quasi intera, e deve essere rimasta cementata lì per diversi secoli. Pertanto mi è sembrato strano che in una manciata di anni da quando è uscito il filmato sia quasi del tutto scomparsa.

Ad ogni modo, allontanarmi dalla Cascina Draga è stata una gioia. Rispetto a chi cementifica enormi croci scure sui muri per tenere lontano il bosco con i suoi diavoli, io avrei scelto il bosco, sarei fuggita nel bosco. Dopotutto, ancora oggi la croce ha sortito il suo effetto. Con una certa inquietudine nel cuore mi sono quindi avviata verso casa, in direzione del tramonto.
Camminare nei luoghi di processi e di streghe al rogo lascia qualcosa dentro di inafferrabile. Un altro tipo di ombra, un velo scuro di tristezza e impotenza, grigio e pesante come il fumo di un fuoco ormai spento. E la sensazione che le cose sono cambiate, sì, ma neanche poi tanto.
Eppure raccontare queste storie, ricordare questi luoghi e coloro che vi hanno subito il martirio della superstizione e del fuoco è importante. Questo noi oggi lo possiamo fare, lo dobbiamo fare. Se non noi, chi? E se non oggi, quando?
Un pensiero di comprensione e affetto va a Leonarda, Petrina e Vanina.
Non siete state dimenticate. Possiate aver trovato pace e rinascita.

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Per leggere la ricerca I processi alle streghe di Cassano d’Adda, così come le fonti riportate nella bibliografia, rimando a Radici di Strega, a questi collegamenti:
I processi alle streghe di Cassano d’Adda – Parte prima. Accenni al primo processo e i roghi di Leonarda, Petrina e Vanina la Zoppa
I processi alle streghe di Cassano d’Adda – Parte seconda. Frammenti di tradizione stregonica nel secondo processo

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note:

1. La presenza delle taccole in certi luoghi magici, e soprattutto in quelli legati alle streghe, mi ricorda sempre che una delle sembianze che la famosa strega scozzese Isobel Gowdie soleva assumere, era proprio quella di una taccola.

2. Cfr. Tullio Bazzi, Da un processo di streghe, in Archivio Storico Lombardo: Giornale della Società Storica Lombarda, Serie 2, Volume 7, Fascicolo 4, 1890, pag. 881.

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Note di Viaggio:
Per arrivare a Cassano d’Adda si prende l’autostrada Milano-Venezia e con un buon navigatore satellitare la si raggiunge facilmente. Per arrivare al Traversino, invece, bisogna attraversare il centro di Cassano, quindi passare il ponte sull’Adda e scendere verso Villa Maggi Ponti, che si trova sull’Isola Ponti, affacciata verso Cassano.
La Cascina Draga invece si trova su una stradina di campagna, la Strada della Draga. Bisogna percorrerla fino in fondo, dove apparirà la grande costruzione e l’ombra della sua croce.

lunedì 13 ottobre 2025

La Festa della Zucca di Gavirate e lo Spirito del Lago

Ero stata alla Festa della Zucca di Gavirate quattro anni fa, in un momento di cambiamento profondo nella mia vita. Il Lago di Varese, visto da quelle sponde, mi aveva accarezzato il cuore, gentile e accogliente. Sentivo che per qualcuno non sarei mai stata la benvenuta da quelle parti, avevo addirittura temuto qualche spiacevole incontro, ma davanti al lago ogni ombra si era dissolta. Il lago è il lago, e conosce le profondità – dei fondali e dell’animo umano. I suoi liquidi riverberi, le sue acque argentee, calme, forse il suo spirito, mi avevano sorriso e mi ero sentita accolta.
È passato tanto tempo da quei giorni, e oggi, in un nuovo momento di profondo cambiamento nella mia vita, sono tornata alla Festa della Zucca, sulle stesse sponde. Il lago questa volta era puro incanto, i suoi colori tenui, la foschia azzurrina, le lontananze velate, ricordavano Avalon e i suoi misteri. Era semplicemente stupendo. Questa volta non esisteva più nulla da temere – o meglio, nulla di ciò che temevo un tempo potrebbe più sfiorarmi né turbarmi – e il lago ha sussurrato la sua magia, liberamente.



Poco prima di partire, impostando il navigatore, ho notato che vicino alla mia destinazione era indicata la presenza di una statua particolare chiamata Lo Spirito del Lago. La prima volta non l’avevo notata, forse perché non ero arrivata fino ad essa, ma questa volta mi sono ripromessa di cercarla. Fortuna vuole che sia stata la prima cosa che mi è comparsa davanti, appena ho raggiunto la riva.
La fanciullina acquatica era lì, ieratica e immobile. La eternamente giovane protettrice del lago è percepita come genius loci di quelle acque d’argento, entità gentile e benevola. Nasce dalla roccia e guarda lontano, le mani giunte dietro la schiena.


Attorno alla scultura sono affisse alcune tavolette di terracotta con incisi brevi pensieri poetici, scritti da amiche e amici della scultrice che l’ha realizzata. Riporto i due che mi sono piaciuti di più:

Brezza leggera.
Oscurità svelata.
Soffio di vita.
Luce dell’anima.

(Cinzia P.)

Spirito d’acqua e di bruma
Fluttua senz’ala né piuma
Veglia su chiglie e pontili
Mormora a lidi e fondali
S’erge dal cavo dell’onda
Danza col vento e sprofonda.

(O.T.)



Dopo aver incontrato il dolce Spirito del Lago ho passeggiato sul lungolago, fra bancarelle di artigiani e artisti, candele, vasetti di miele, marmellate e… zucche. Ho finalmente comprato un sacchettino di caldarroste appena tolte dal fuoco, poi una curiosa confettura di zucca, deliziosi taralli all’olio d’oliva, e mi sono invaghita di un poncho aderente di pura lana grossa, fatto a mano, color grigio fumo con grossi bottoni di legno. La signora che lo aveva realizzato mi ha invitata a provarlo, senza alcun impegno, ma quando me lo sono vista addosso l’ho semplicemente tenuto. Mi terrà compagnia nelle prossime giornate autunnali, specialmente quelle di nuvole, nebbia e fumo di fuoco a legna. Mi piace mimetizzarmi con la natura circostante, entrare in armonia con essa anche attraverso i colori che indosso, sparire per non essere vista, osservare in silenzio, nascosta.

Dopo un ottimo cappuccino al Galpa Beach – preferivo l’arredamento etnico di quattro anni fa, ma resta un posto molto accogliente, col suo camino e il soffitto di legno – e dopo aver riempito la pancia di taralli e castagne sono tornata a salutare Lo Spirito del Lago, e soprattutto il lago, sempre più velato, immobile, argenteo.
Prima o poi tornerò a incontrarlo… e a solcarlo, verso una piccola isola che un tempo fu sacra, e forse – per chi vede oltre le nebbie – lo è ancora.


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Con queste parole profonde e bellissime Maria Grazia Ferraris ha descritto il suo incontro con Lo Spirito del Lago nel 2020:

Più guardo la statua e più ne vengo catturata. (…) volge decisamente all’astrazione, lo spirito aleggia presente e quasi tangibile, ma è allusivo, simbolico, misterioso. La concentrazione e la staticità sono un invito ad andare oltre, ad abbandonare il presente coi suoi quotidiani richiami che ci inchiodano alla terra. (…) Nell’immobilità una ricerca di assoluto. All’interno di ciascuno di noi c’è un luogo immobile di pace e quiete, che non ha bisogno di sollecitazioni visive o di gesti, un lago che ha a che fare con lo Spirito. Osserva in silenzio ogni cosa facciamo, accade e ci accade; distaccato, intangibile, invulnerabile alle influenze del mondo, in attesa di essere rievocato.

Maria Grazia Ferraris, Lo Spirito del Lago, brano tratto da Alla volta di Leucade, blog di Nazario Pardini

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ALBUM FOTOGRAFICO

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La statua di bronzo che rappresenta Lo Spirito del Lago è stata scolpita dalla scultrice Stella Ranza nel 2006 ed è stata installata sulle sponde del Lago di Varese, sul lungolago di Gavirate, nel 2016.

La Festa della Zucca di Gavirate è organizzata ogni anno, ma per assaggiare le prelibatezze preparate con la zucca bisogna andare sul presto, possibilmente non oltre l’ora di pranzo. È invece possibile acquistare zucche da cucinare, piccole e grandi, durante tutte le giornate della festa.
Quest’anno la Festa della Zucca è il 9, il 12 e il 19 ottobre.

venerdì 3 ottobre 2025

Casa ed Emporio Macchi. Dove il tempo si è fermato

A Casa Macchi non c’è nulla di straordinario, né nel giardino, né nell'architettura, né nelle decorazioni o negli arredi, né infine negli oggetti o nella storia dei suoi abitanti. Eppure la prima visita qui soddisfa: è il fascino di penetrare in un mondo che è stato conservato fin nei suoi minimi dettagli e congelato nel momento dell'abbandono - quasi furtivo, repentino e inevitabile. Un mondo che ancora odora di vita quotidiana, della caffettiera rimasta sulla stufa o della pipa lasciata sul tavolino tra le poltrone del salotto.” (1)


Una casa antica, rimasta pressoché intatta da cinquant’anni, sorge nel centro di Morazzone, un paesino a poca distanza da Varese. È Casa Macchi e la sua storia nasce nel 1800, epoca della quale conserva la tipica architettura. Nel 1898 diviene proprietà di Adele Bottelli, moglie di Giuseppe Macchi, e da allora resterà sempre un rifugio sospeso nel tempo per la famiglia Macchi, che per tre generazioni la abiterà e se ne prenderà cura. Ereditata dall’ultima erede, Maria Luisa, una donna assai bella che decise di non sposarsi e rimanere libera, verrà vissuta da lei fino alla morte dei suoi genitori, di cui si prese cura in quelle stesse stanze. Sarà Maria Luisa, nel 2015, a donarla al FAI prima di ritirarsi in una casa di riposo. Nella sua donazione espresse il desiderio che la casa fosse restaurata eppure mantenuta com’era, così che potesse ricordare il tempo che fu e “dare lustro al paese di Morazzone”. E così è stato.



Maria Luisa ha conservato il fascino della casa, abitandola con la famiglia per gran parte del Novecento. Le stanze, arredate con i mobili originali, custodiscono un prezioso archivio di famiglia fatto di lettere, fotografie, diari e cartoline che raccontano la storia dei Bottelli-Macchi sullo sfondo delle vicende italiane dal Risorgimento alla Seconda Guerra Mondiale.” (1)

Ho voluto visitare questa casa antica con mia mamma per camminare – letteralmente – in un passato che sembra ancora vivo. È rimasta intatta come allora. Ogni cosa è al suo posto, laddove, dopo essere stata usata quotidianamente, veniva accuratamente riposta. Gli orologi sono fermi, non li si sente ticchettare, né l’alta pendola suona le ore: fa parte dell’incantesimo che ferma il tempo e lascia tutto come deve essere. Una porta si chiude, il piccolo mondo antico si ferma, come assopito, nel silenzio.
Persino la polvere ha il suo significato, vela ciò che è stato, perché nulla venga spostato.
Uno strato di polvere fra i trafori lavorati ad uncinetto dei centrini disegna forme armoniose sull’ebano dei vecchi mobili. Un ricordo impresso nel tempo.



A Casa Macchi si accede dal grazioso emporio, nel quale è possibile acquistare prodotti confezionati alla vecchia maniera, le scatole di latta decorate, quaderni, matite, caramelle e liquerizie. Dalla bottega si entra quindi nel bel cortile della casa, sulle cui mura crescono glicini, vite rampicante, edera e la mia preferita, la rosa canina. In questa stagione è ancora verde ma le sue bacche scarlatte spiccano già fra le foglie. Resteranno solo loro, fra le spine, quando i rami saranno spogli. Promessa di nuova vita dopo la resa e il sonno.



All’inizio della nostra visita veniamo accompagnate da una gentile volontaria nella scuderia, dove è stato allestito un piccolo cinema con panche e sedie di legno e paglia. Qui assistiamo alla proiezione nella quale Casa Macchi viene raccontata in modo poetico ma sobrio dalla grande Lella Costa. La sua voce calda e amorevole ci racconta la storia di questa vecchia casa e di chi l’ha abitata. Persone comuni dell’epoca, niente di straordinario, solo la vita, la vita semplice e genuina, vera.


Dopo aver ascoltato e ammirato il filmato veniamo quindi accompagnate all’interno della dimora, fra le vecchie stanze, e il tempo si ferma, sussulta, e torna indietro.
Io cammino osservando curiosa ciò che vedo, alcune cose mi ricordano mia nonna, ma sono troppo giovane per sapere cosa volesse dire vivere in quel modo. La più entusiasta è mia mamma, che invece ricorda e riconosce. I secchi dove si conservava l’acqua attinta dal pozzo, appesi accanto alla stufa, la cucina a legna, gli scaldini per il letto, perché allora si faceva così, e la notte si dormiva sotto otto strati di coperte. Mentre ci muoviamo per le stanze sembra quasi che sia lei a raccontare alla nostra guida, come si usavano certi utensili. Era una vita più difficile, ma aggiunge, vivevamo bene lo stesso.



Per me è più complicato, e mi rendo conto di quanto siamo fortunati adesso, nonostante spesso ci lamentiamo. Eppure qualcosa mi manca… quella vita era più reale, più genuina, ogni gesto era carico di significato, mai inutile, era sopravvivenza, ed era così perché così era giusto. L’esperienza lo aveva insegnato, e così doveva essere tramandato.
Tradizione, cura, una praticità priva di fronzoli… eppure qualche vezzoso suppellettile bisognava sempre possederlo. Perché la vita è dura, e la bellezza la addolcisce.

Doveva essere una casa vissuta, allegra forse, e sempre piena di cani, perché i Macchi adoravano i cani, specialmente quelli da caccia. Di certo in quel passato li si sentiva abbaiare spesso. Sono ritratti dappertutto: dipinti, fotografie, soprammobili. Erano loro i veri re di casa.
E anche in questo si riflette la vita della famiglia, nelle sue cose più vere e preziose.
Quelle che rendono anche la vita più semplice degna di essere vissuta, e ricordata.




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Al di là di ragnatele fittissime e polvere di tarli, quel che colpisce a Casa Macchi è la possibilità di cogliere la vita autentica di una dimora che non fu né cascina né palazzo, né ordinaria né straordinaria, ma tipica, tradizionale, semplice, vicina nelle forme e nel tempo, tanto da generare curiosità ed empatia nel visitatore, che qui riconoscerà oggetti e consuetudini in un paesaggio domestico che appartiene alla sua stessa tradizione.” (1)



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Nota:

1. Le citazioni sono tratte dal sito del FAI – Casa ed Emporio Macchi

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note di Viaggio:
La Casa e l’Emporio Macchi si trovano a Morazzone, alle porte di Varese. Per arrivare si prende l’autostrada A8 e si può uscire a Castronno, seguendo poi le indicazioni. Curata e gestita dal FAI, segue gli orari delle altre strutture che ne fanno parte, ed è visitabile dal mercoledì alla domenica dalle 10 alle 18.
Se si desidera visitare la casa con una visita guidata della durata di circa un’ora e mezza – noi abbiamo preferito farci accompagnare solo dalla gentilissima volontaria che ci ha raccontato a grandi linee la storia della casa e delle sue stanze – è meglio prenotarla e informarsi sugli orari fissi nei quali vengono effettuate.