lunedì 13 ottobre 2025

La Festa della Zucca di Gavirate e lo Spirito del Lago

Ero stata alla Festa della Zucca di Gavirate quattro anni fa, in un momento di cambiamento profondo nella mia vita. Il Lago di Varese, visto da quelle sponde, mi aveva accarezzato il cuore, gentile e accogliente. Sentivo che per qualcuno non sarei mai stata la benvenuta da quelle parti, avevo addirittura temuto qualche spiacevole incontro, ma davanti al lago ogni ombra si era dissolta. Il lago è il lago, e conosce le profondità – dei fondali e dell’animo umano. I suoi liquidi riverberi, le sue acque argentee, calme, forse il suo spirito, mi avevano sorriso e mi ero sentita accolta.
È passato tanto tempo da quei giorni, e oggi, in un nuovo momento di profondo cambiamento nella mia vita, sono tornata alla Festa della Zucca, sulle stesse sponde. Il lago questa volta era puro incanto, i suoi colori tenui, la foschia azzurrina, le lontananze velate, ricordavano Avalon e i suoi misteri. Era semplicemente stupendo. Questa volta non esisteva più nulla da temere – o meglio, nulla di ciò che temevo un tempo potrebbe più sfiorarmi né turbarmi – e il lago ha sussurrato la sua magia, liberamente.



Poco prima di partire, impostando il navigatore, ho notato che vicino alla mia destinazione era indicata la presenza di una statua particolare chiamata Lo Spirito del Lago. La prima volta non l’avevo notata, forse perché non ero arrivata fino ad essa, ma questa volta mi sono ripromessa di cercarla. Fortuna vuole che sia stata la prima cosa che mi è comparsa davanti, appena ho raggiunto la riva.
La fanciullina acquatica era lì, ieratica e immobile. La eternamente giovane protettrice del lago è percepita come genius loci di quelle acque d’argento, entità gentile e benevola. Nasce dalla roccia e guarda lontano, le mani giunte dietro la schiena.


Attorno alla scultura sono affisse alcune tavolette di terracotta con incisi brevi pensieri poetici, scritti da amiche e amici della scultrice che l’ha realizzata. Riporto i due che mi sono piaciuti di più:

Brezza leggera.
Oscurità svelata.
Soffio di vita.
Luce dell’anima.

(Cinzia P.)

Spirito d’acqua e di bruma
Fluttua senz’ala né piuma
Veglia su chiglie e pontili
Mormora a lidi e fondali
S’erge dal cavo dell’onda
Danza col vento e sprofonda.

(O.T.)



Dopo aver incontrato il dolce Spirito del Lago ho passeggiato sul lungolago, fra bancarelle di artigiani e artisti, candele, vasetti di miele, marmellate e… zucche. Ho finalmente comprato un sacchettino di caldarroste appena tolte dal fuoco, poi una curiosa confettura di zucca, deliziosi taralli all’olio d’oliva, e mi sono invaghita di un poncho aderente di pura lana grossa, fatto a mano, color grigio fumo con grossi bottoni di legno. La signora che lo aveva realizzato mi ha invitata a provarlo, senza alcun impegno, ma quando me lo sono vista addosso l’ho semplicemente tenuto. Mi terrà compagnia nelle prossime giornate autunnali, specialmente quelle di nuvole, nebbia e fumo di fuoco a legna. Mi piace mimetizzarmi con la natura circostante, entrare in armonia con essa anche attraverso i colori che indosso, sparire per non essere vista, osservare in silenzio, nascosta.

Dopo un ottimo cappuccino al Galpa Beach – preferivo l’arredamento etnico di quattro anni fa, ma resta un posto molto accogliente, col suo camino e il soffitto di legno – e dopo aver riempito la pancia di taralli e castagne sono tornata a salutare Lo Spirito del Lago, e soprattutto il lago, sempre più velato, immobile, argenteo.
Prima o poi tornerò a incontrarlo… e a solcarlo, verso una piccola isola che un tempo fu sacra, e forse – per chi vede oltre le nebbie – lo è ancora.


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Con queste parole profonde e bellissime Maria Grazia Ferraris ha descritto il suo incontro con Lo Spirito del Lago nel 2020:

Più guardo la statua e più ne vengo catturata. (…) volge decisamente all’astrazione, lo spirito aleggia presente e quasi tangibile, ma è allusivo, simbolico, misterioso. La concentrazione e la staticità sono un invito ad andare oltre, ad abbandonare il presente coi suoi quotidiani richiami che ci inchiodano alla terra. (…) Nell’immobilità una ricerca di assoluto. All’interno di ciascuno di noi c’è un luogo immobile di pace e quiete, che non ha bisogno di sollecitazioni visive o di gesti, un lago che ha a che fare con lo Spirito. Osserva in silenzio ogni cosa facciamo, accade e ci accade; distaccato, intangibile, invulnerabile alle influenze del mondo, in attesa di essere rievocato.

Maria Grazia Ferraris, Lo Spirito del Lago, brano tratto da Alla volta di Leucade, blog di Nazario Pardini

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ALBUM FOTOGRAFICO

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La statua di bronzo che rappresenta Lo Spirito del Lago è stata scolpita dalla scultrice Stella Ranza nel 2006 ed è stata installata sulle sponde del Lago di Varese, sul lungolago di Gavirate, nel 2016.

La Festa della Zucca di Gavirate è organizzata ogni anno, ma per assaggiare le prelibatezze preparate con la zucca bisogna andare sul presto, possibilmente non oltre l’ora di pranzo. È invece possibile acquistare zucche da cucinare, piccole e grandi, durante tutte le giornate della festa.
Quest’anno la Festa della Zucca è il 9, il 12 e il 19 ottobre.

venerdì 3 ottobre 2025

Casa ed Emporio Macchi. Dove il tempo si è fermato

A Casa Macchi non c’è nulla di straordinario, né nel giardino, né nell'architettura, né nelle decorazioni o negli arredi, né infine negli oggetti o nella storia dei suoi abitanti. Eppure la prima visita qui soddisfa: è il fascino di penetrare in un mondo che è stato conservato fin nei suoi minimi dettagli e congelato nel momento dell'abbandono - quasi furtivo, repentino e inevitabile. Un mondo che ancora odora di vita quotidiana, della caffettiera rimasta sulla stufa o della pipa lasciata sul tavolino tra le poltrone del salotto.” (1)


Una casa antica, rimasta pressoché intatta da cinquant’anni, sorge nel centro di Morazzone, un paesino a poca distanza da Varese. È Casa Macchi e la sua storia nasce nel 1800, epoca della quale conserva la tipica architettura. Nel 1898 diviene proprietà di Adele Bottelli, moglie di Giuseppe Macchi, e da allora resterà sempre un rifugio sospeso nel tempo per la famiglia Macchi, che per tre generazioni la abiterà e se ne prenderà cura. Ereditata dall’ultima erede, Maria Luisa, una donna assai bella che decise di non sposarsi e rimanere libera, verrà vissuta da lei fino alla morte dei suoi genitori, di cui si prese cura in quelle stesse stanze. Sarà Maria Luisa, nel 2015, a donarla al FAI prima di ritirarsi in una casa di riposo. Nella sua donazione espresse il desiderio che la casa fosse restaurata eppure mantenuta com’era, così che potesse ricordare il tempo che fu e “dare lustro al paese di Morazzone”. E così è stato.



Maria Luisa ha conservato il fascino della casa, abitandola con la famiglia per gran parte del Novecento. Le stanze, arredate con i mobili originali, custodiscono un prezioso archivio di famiglia fatto di lettere, fotografie, diari e cartoline che raccontano la storia dei Bottelli-Macchi sullo sfondo delle vicende italiane dal Risorgimento alla Seconda Guerra Mondiale.” (1)

Ho voluto visitare questa casa antica con mia mamma per camminare – letteralmente – in un passato che sembra ancora vivo. È rimasta intatta come allora. Ogni cosa è al suo posto, laddove, dopo essere stata usata quotidianamente, veniva accuratamente riposta. Gli orologi sono fermi, non li si sente ticchettare, né l’alta pendola suona le ore: fa parte dell’incantesimo che ferma il tempo e lascia tutto come deve essere. Una porta si chiude, il piccolo mondo antico si ferma, come assopito, nel silenzio.
Persino la polvere ha il suo significato, vela ciò che è stato, perché nulla venga spostato.
Uno strato di polvere fra i trafori lavorati ad uncinetto dei centrini disegna forme armoniose sull’ebano dei vecchi mobili. Un ricordo impresso nel tempo.



A Casa Macchi si accede dal grazioso emporio, nel quale è possibile acquistare prodotti confezionati alla vecchia maniera, le scatole di latta decorate, quaderni, matite, caramelle e liquerizie. Dalla bottega si entra quindi nel bel cortile della casa, sulle cui mura crescono glicini, vite rampicante, edera e la mia preferita, la rosa canina. In questa stagione è ancora verde ma le sue bacche scarlatte spiccano già fra le foglie. Resteranno solo loro, fra le spine, quando i rami saranno spogli. Promessa di nuova vita dopo la resa e il sonno.



All’inizio della nostra visita veniamo accompagnate da una gentile volontaria nella scuderia, dove è stato allestito un piccolo cinema con panche e sedie di legno e paglia. Qui assistiamo alla proiezione nella quale Casa Macchi viene raccontata in modo poetico ma sobrio dalla grande Lella Costa. La sua voce calda e amorevole ci racconta la storia di questa vecchia casa e di chi l’ha abitata. Persone comuni dell’epoca, niente di straordinario, solo la vita, la vita semplice e genuina, vera.


Dopo aver ascoltato e ammirato il filmato veniamo quindi accompagnate all’interno della dimora, fra le vecchie stanze, e il tempo si ferma, sussulta, e torna indietro.
Io cammino osservando curiosa ciò che vedo, alcune cose mi ricordano mia nonna, ma sono troppo giovane per sapere cosa volesse dire vivere in quel modo. La più entusiasta è mia mamma, che invece ricorda e riconosce. I secchi dove si conservava l’acqua attinta dal pozzo, appesi accanto alla stufa, la cucina a legna, gli scaldini per il letto, perché allora si faceva così, e la notte si dormiva sotto otto strati di coperte. Mentre ci muoviamo per le stanze sembra quasi che sia lei a raccontare alla nostra guida, come si usavano certi utensili. Era una vita più difficile, ma aggiunge, vivevamo bene lo stesso.



Per me è più complicato, e mi rendo conto di quanto siamo fortunati adesso, nonostante spesso ci lamentiamo. Eppure qualcosa mi manca… quella vita era più reale, più genuina, ogni gesto era carico di significato, mai inutile, era sopravvivenza, ed era così perché così era giusto. L’esperienza lo aveva insegnato, e così doveva essere tramandato.
Tradizione, cura, una praticità priva di fronzoli… eppure qualche vezzoso suppellettile bisognava sempre possederlo. Perché la vita è dura, e la bellezza la addolcisce.

Doveva essere una casa vissuta, allegra forse, e sempre piena di cani, perché i Macchi adoravano i cani, specialmente quelli da caccia. Di certo in quel passato li si sentiva abbaiare spesso. Sono ritratti dappertutto: dipinti, fotografie, soprammobili. Erano loro i veri re di casa.
E anche in questo si riflette la vita della famiglia, nelle sue cose più vere e preziose.
Quelle che rendono anche la vita più semplice degna di essere vissuta, e ricordata.




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Al di là di ragnatele fittissime e polvere di tarli, quel che colpisce a Casa Macchi è la possibilità di cogliere la vita autentica di una dimora che non fu né cascina né palazzo, né ordinaria né straordinaria, ma tipica, tradizionale, semplice, vicina nelle forme e nel tempo, tanto da generare curiosità ed empatia nel visitatore, che qui riconoscerà oggetti e consuetudini in un paesaggio domestico che appartiene alla sua stessa tradizione.” (1)



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Nota:

1. Le citazioni sono tratte dal sito del FAI – Casa ed Emporio Macchi

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ALBUM FOTOGRAFICO

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Note di Viaggio:
La Casa e l’Emporio Macchi si trovano a Morazzone, alle porte di Varese. Per arrivare si prende l’autostrada A8 e si può uscire a Castronno, seguendo poi le indicazioni. Curata e gestita dal FAI, segue gli orari delle altre strutture che ne fanno parte, ed è visitabile dal mercoledì alla domenica dalle 10 alle 18.
Se si desidera visitare la casa con una visita guidata della durata di circa un’ora e mezza – noi abbiamo preferito farci accompagnare solo dalla gentilissima volontaria che ci ha raccontato a grandi linee la storia della casa e delle sue stanze – è meglio prenotarla e informarsi sugli orari fissi nei quali vengono effettuate.