Ricordando il viaggio alla Sacra di San Michele, dove spiccano le rovine del muraglione perimetrale che nei crolli ha assunto la forma di una torre, chiamata Torre della Bell’Alda, ho recuperato quella che forse è la prima versione scritta della leggenda. È stata compilata da Domenico Carutti e pubblicata nel 1847.
Ne esistono versioni più recenti, come quella riportata da Tersilia Gatto Chanu nel suo libro sui racconti popolari piemontesi, di certo più scorrevole ed evocativa, e bisogna ammettere che quando si parla di leggende, non sempre quelle più antiche sono le più belle. Tuttavia spesso contengono elementi originari che col tempo possono perdersi o venire mitigati o appannati in narrazioni più ampie e articolate, per questo credo valga sempre la pena di conoscerle.
La leggenda della bell’Auta pare davvero molto vecchia. Il primo a parlarne è lo storico Gallizia, nel 1699, poiché pare che il fatto fosse accaduto ai suoi tempi. Egli infatti scrisse: “Tanto ci raccontavano i vecchi che erano coetanei ai tempi ne’ quali ciò successe”.
La leggenda della bell’Alda
“Vedete là quasi di faccia, in po’ a mancina, quel poggetto su cui non verdeggia un fil d’erba? Quella larga striscia oscura sul piovente orientale, è la terra che smotta; invano si vorrebbe porvi riparo; quella collina franerà sempre.
Sovra di essa altre volte era fabbricato un castello; vi abitava un Conte, nemico di Dio e degli uomini; i suoi delitti erano a migliaia, il suo nome gettava terrore in tutte le capanne delle Alpi.
Alda abitava i dintorni del convento; la sua bellezza le avea meritato il soprannome di bella; Bell’Auta la chiamano ancor oggi nel dialetto gli abitatori della vallata. Né era bella soltanto, era pura come il pensiero degli angeli, innamorata della Vergine celeste, divota all’Arcangelo Michele, alla cui badia veniva ogni giorno pregando. Amava le leggende dei santi e delle vergini, e la sua mente s’infiammava all’udir raccontate le gesta delle inermi fanciulle che sfidano le minacce dei barbari padri e gli aculei dei tiranni; il suo cuore che non avea mai palpitato pei giovani presi della sua bellezza, batteva pensando ai miracoli coi quali Iddio premia e protegge la fede e l’innocenza.
Come mai la bell’Alda viveva impunemente nelle terre dello scellerato Barone? Questi da due anni era assente e guerreggiava come vassallo del Duca; guardato da poca masnada il castello; nelle capanne e nei villaggi si respirava.
Ritornò egli, terminata la guerra, e con lui gli scherani dall’orrido ceffo, dalle mani violente, dalla prepotente volontà. Come stormo di colombe all’appressarsi del falco, vedresti donne, fanciulli e vecchi riparare nel domestico tetto e sogguardarsi come chi sente l’annunzio di una grave sventura.
Un giorno il focoso Conte passeggiava solo fuori del castello; camminava senza saper dove andasse, colle braccia incrocicchiate, coll’occhio immobile. La bella Alda ritornava dalla Sacra, ed ei la incontrò. Fissolla lungamente quasi distratto; poi risensando, il fuoco della cupidità brillò nel suo sguardo. Non le parlò, ma fermatosi, la seguì coll’occhio. Mirò la svelta persona, le agili mosse, l’ondeggiare delle forme giovanili. Il Conte serrò i denti, sciolse dal petto le braccia conserte, e con passo affrettato ritornò al castello.
Il domani due grisi de’ più scomunicati par che vadano a zonzo intorno alla Sacra; di tanto in tanto danno un’occhiata alla porta del convento.
La bell’Alda ne esce finalmente soletta, bella e radiante come chi, pregando, si è levato a Dio e serba in volto le tracce dell’estatico esaltamento.
Gli scherani si dilungano dallo spianato e precedono la giovinetta. Quando parve tempo, s’arrestano ed attendono.
– Alda, bell’Alda, vi piacerebbe l’amore di un uomo che fosse più potente di tutti gli altri uomini e comandasse a tutti?
– Io non intendo le vostre parole, lasciatemi ire.
– Alda, bell’Alda orgogliosetta, ti piacerebbe abitare un ricco castello, aver damigelli e damigelle a tuo servizio, cavalcare un bianco cavallo e non incallirti i piedi per questi sassi?
– Da sedici anni io vivo nella capanna di mio padre, e mi è sempre paruta troppo bella per me; e da un pezzo fo questa via, e ci sono avvezza. Tiratevi da un lato che il sentiero è stretto.
– Alda, ascoltaci. Noi dobbiamo condurti ad un uomo che ti ama, ed è il più ricco signore del Ducato.
– Se voi siete maligni spiriti che venghiate a tentarmi, io vi comando di partire in nome del Signore.
– Il tuo Signore non è quello che ci dà le paghe, e noi non siamo di casa sua. Vieni con noi.
Lo scherano l’afferra; Alda si divincola e fugge: fugge e dietro a lei i due uomini del Conte. Fugge, e li lascia indietro di molti passi, e giunge dove il monte finisce tagliato a picco. Da un lato il muro della badia, dall’altro la voragine.
– Fermatevi o non m’avrete viva, grida ella; la Beata Vergine e San Michele mi aiutino.
Ma gli scherani la deridono, già le sono vicini; ed Alda, invocata Maria, si precipita dall’alto. Quelli, attoniti, gettano un grido e si chinano sul precipizio per vedere.
E vedono la bell’Alda circondata da una nube bianca che dolcemente discende colle mani giunte e levate al cielo, portata lentamente come foglia che si trastulla sull’ale dei venti.
Divulgatosi il fatto, da tutti i paesi traeva gente a vedere e lodare la mirabile fanciulla, ed allora si cantò una canzone che incominciava così:
La bell’Alda perseguita
Qui dal balzo si gettò;
E nel fondo della valle
Lene il vento la posò.
E narra che quando gli scherani perseguitavano la giovinetta, il Conte se ne stesse sulla sommità d’una torre, e di là vedesse il salto della bell’Alda, e che in quel punto il poggio si commovesse come per terremoto, e crollasse il castello e perisse il Barone e sua iniqua masnada; e dicesi che il monte sul luogo ove fu edificato detto castello, smotti e debba smottare per sempre.
Ora Alda comincia a compiacersi singolarmente delle lodi che le vengono date; rammenta l’insulto, la fuga, il salto miracoloso… e già considera se stessa maggiore delle fanciulle sue compagne, si crede prediletta da Dio. E siccome pessima consigliera è la vanità, un giorno, in presenza di numerosi spettatori accorsi, ella promette di lanciarsi una seconda volta dal balzo; e si slancia, e le punte delle rocce ne trattengono il corpo frantumato.
Allora corse un’altra canzone che diceva:
La bell’Alda inorgoglita
Qui dal balzo si gettò;
Sfracellata nella valle
La bell’Alda se ne andò.”
***
Leggenda tratta da Domenico Carutti, La bell’Alda e i laghi di Avigliana, in Tradizioni Italiane per la prima volta raccolte in ciascuna provincia dell’Italia e mandate alla luce per cura di rinomati scrittori italiani, Vol. I, a cura di Angelo Brofferio, Stabilimento Tip. Di Al. Fontana, Torino, 1847, pagg. 713-716.